Emigrazione, una storia senza fine
Cioccolatai, artigiani, vaccari o audaci cercatori d'oro. Per tradizione e necessità, il Ticino e il canton Grigioni condividono un passato fatto di emigranti partiti verso i quattro angoli del pianeta.
L’afflusso crescente di stranieri nella Confederazione è tra i temi più sentiti dal mondo politico e tra la popolazione. Nonostante abbia contribuito – e contribuisca tutt’ora – alla ricchezza della Svizzera, l’immigrazione (ed in particolare le misure per limitarla) è periodicamente al centro di dibattiti e campagne al limite della xenofobia.
La riflessione generale sul fenomeno migratorio lascia però poco spazio alla memoria. Spesso si tende a dimenticare che i panni dell’immigrato, costantemente sotto accusa, sono stati in passato indossati anche da uomini, donne e bambini svizzeri. Gente che ha lasciato il proprio villaggio per cercare da mangiare e per guadagnare qualche soldo dall’altra parte delle montagne, oltre le frontiere, al di là degli oceani.
Per la loro posizione periferica e la povertà endemica delle loro valli, il Ticino e i Grigioni sono stati tra i cantoni più toccati dall’esodo dei lavoratori. «L’emigrazione è stata una pagina importante della nostra storia economica e sociale», annota lo storico ticinese Giorgio Cheda. «Non si poteva vivere dei soli prodotti della terra».
Italia ed Europa
Il flusso migratorio poteva assumere diverse forme a dipendenza dell’epoca e dell’area geografica. Vi erano persone che lasciavano casa e famiglia con cadenza stagionale, spiega Luigi Lorenzetti, coordinatore del Laboratorio di Storia delle Alpi di Lugano, mentre altri si assentavano per periodi prolungati, se non addirittura per sempre.
Già dalla fine del Medioevo, la vicina Penisola costituiva la meta prediletta di artigiani qualificati e contadini della Svizzera italiana. «Il flusso migratorio tra le montagne ticinesi e le città del Nord Italia si è sviluppato in vari modi», spiega Giorgio Cheda. «Architetti e muratori della regione del Sottoceneri [Ticino meridionale, ndr] si sono diretti verso i principali centri italiani, dove hanno avuto la possibilità di accedere a mestieri ambiti e redditizi nel settore dell’edilizia; i contadini delle vallate del Sopraceneri sono invece stati ingaggiati come manovali o scaricatori di porto».
L’Italia, e in particolare le città dell’allora Repubblica di Venezia, rappresentavano una destinazione allettante anche per i lavoratori grigionesi. Gli emigranti dalla Val Poschiavo e dalla Val Bregaglia (come i loro vicini engadinesi di lingua romancia) si sono dedicati soprattutto all’arte della pasticceria e del caffè, mentre dalla Mesolcina e dalla Val Calanca sono partiti soprattutto spazzacamini, vetrai, scalpellini e imbianchini.
Nei secoli successivi la migrazione si spostò verso altre mete europee. Le opere realizzate da artisti giramondo e i caffè fondati da emigranti sono visibili ancora oggi nelle piazze non solo d’Italia, ma pure di Russia, Polonia, Inghilterra, Francia, Olanda, Belgio e Spagna.
Il richiamo dell’oro
Bisogna attendere la metà dell’Ottocento per assistere alle grandi emigrazioni di massa oltreoceano. La dura vita nelle valli e una drammatica concomitanza di eventi negativi (catastrofi ambientali, blocco commerciale degli alimenti provenienti dalla Lombardia, crisi finanziaria) hanno spinto migliaia di persone ad affrontare un lungo viaggio verso l’ignoto. Le famiglie si divisero, i villaggi si svuotarono.
«Tra il 1850 e il 1930 – rileva Luigi Lorenzetti – circa 50’000 ticinesi hanno lasciato il cantone per i paesi d’oltremare».
La maggior parte si è imbarcata sui bastimenti in direzione della California e dell’Australia, da dove erano giunte notizie della scoperta dell’oro. Altri hanno scelto l’America latina, in particolare l’Argentina, che offriva incentivi e facilitazioni alla manodopera estera intenzionata a partecipare allo sviluppo degli sconfinati territori dell’entroterra.
«Molti migranti in California hanno fatto fortuna ed hanno potuto investire i risparmi nell’acquisto di vasti appezzamenti. Col tempo sono stati raggiunti dai famigliari», racconta Giorgio Cheda, autore di un’ampia ricerca sulle lettere dei migranti. «L’emigrazione in Australia, limitata ad un paio d’anni, si è al contrario rivelata un disastro, sia sul piano umano che finanziario: le promesse delle agenzie di emigrazione, che garantivano lauti guadagni grazie all’oro, si sono rivelate fasulle».
Esodo dalle valli
Gli storici sono concordi nell’affermare che l’analisi del passato migratorio della Svizzera italiana offre due chiavi di lettura.
Da un lato vi sono le conseguenze negative su diversi aspetti della vita quotidiana. L’esodo dalle valli e il conseguente squilibrio numerico tra i sessi (l’emigrazione è un fenomeno prettamente maschile) hanno avuto effetti sulla demografia – calo delle nascite e dei matrimoni – e sull’economia locale.
Per finanziare il viaggio dei migranti, puntualizza Lorenzetti, famiglie e autorità sono poi state costrette ad indebitarsi, ciò che ha paralizzato gli investimenti pubblici.
D’altro canto, l’emigrazione ha favorito l’arrivo di importanti somme di denaro in Ticino e nei Grigioni. Grazie alle rimesse, molte case sono state rinnovate e il tenore di vita delle famiglie degli emigranti più fortunati è sensibilmente cresciuto.
L’emigrazione ha infine avuto il pregio di avvicinare le comunità rurali a società più moderne. «Molte persone hanno imparato a investire i guadagni in nuove attività economiche e finanziarie e a rinnovare quello spirito imprenditoriale già presente negli emigranti delle generazioni precedenti», rileva Lorenzetti.
«Ricordo l’esempio di un emigrante del Locarnese – aggiunge Ivano Fosanelli, autore di un libro sull’emigrazione in Argentina – che si fece spedire a Buenos Aires i sigari “Brissago” per venderli sul mercato locale, dov’erano molto richiesti».
Pochi successi, molte sofferenze
Con i suoi successi, i fallimenti, le speranze, le disillusioni e l’immancabile nostalgia di casa, il capitolo dell’emigrazione ha marcato come ferro rovente sul cuoio la storia della Svizzera italiana e di tutto il paese.
«Quando si parla di emigrazione – conclude Luigi Lorenzetti – si tende ad evidenziare i personaggi che hanno avuto successo. La maggior parte dei nostri antenati partiti all’estero ha però dovuto affrontare una vita difficile».
L’emigrazione ha radici profonde in Svizzera, al punto che nei secoli scorsi il numero di espatriati elvetici superava quello degli immigrati stranieri.
Per circa 450 anni il mestiere più noto esportato dalla Svizzera è stato quello del soldato: tra il 1400 e il 1848 più di due milioni di svizzeri combatterono come mercenari in guerre straniere.
A partire dal XVI secolo, alcuni svizzeri emigrarono, oltre che per cercare lavoro, per sfuggire alle persecuzioni religiose.
Dopo la metà dell’Ottocento si assiste all’emigrazione più spettacolare, quella oltreoceano. Le destinazioni preferite erano gli USA – in particolare il centro-ovest e la California – l’Argentina, il Brasile e il Cile.
Complessivamente, tra il 1850 e il 1914 emigrarono circa 400’000 svizzeri. In alcune zone dell’America settentrionale e meridionale fondarono colonie elvetiche, spesso dando loro il nome del luogo d’origine.
Si trova così Grütli nel Nebraska, Helvetia e Alpina nel Kentucky e Tell City nell’Indiana, senza contare le molte Bern e Lucerne sparse sul territorio.
Gli emigranti ticinesi non si sono spinti esclusivamente verso i paesi dell’Europa o le mete più esotiche al di là degli oceani. A partire dal XVIII secolo, molti lavoratori hanno trovato un impiego nelle città svizzere d’Oltralpe, che offrivano salari più alti e condizioni di lavoro migliori.
Il flusso migratorio verso nord si è intensificato con l’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, nel 1882.
Lavoratori edili ed artigiani si sono diretti soprattutto versi i cantoni di Zurigo, Berna, Basilea, Vaud, Ginevra e Neuchâtel.
Ad emigrare verso altre zone della Svizzera sono pure state le giovani donne nubili, le quali hanno trovato un’occupazione temporanea nei grandi stabilimenti tessili.
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