Esportazioni d’armi sotto la lente del governo
La procedura per la vendita di materiale bellico ad altri paesi è rimessa in discussione da due casi riguardanti la cessione di blindati agli Emirati arabi uniti.
Nei giorni scorsi, il governo ha incaricato un gruppo interdipartimentale di riesaminare le procedure esistenti e di stabilire se sono necessari controlli più severi.
Tutti i partiti politici hanno approvato l’iniziativa del governo, che ha deciso di formare un gruppo di lavoro composto da rappresentanti dei Dipartimenti federali della difesa, degli affari esteri, di giustizia e polizia e dell’economia.
I verdi e i socialisti chiedono però che si faccia di più. Ritengono infatti che il Consiglio federale abbia perso il controllo della situazione.
«Fino a quando non saranno chiariti i dubbi in merito alle vendite d’armi, chiediamo di fermare immediatamente le previste esportazioni di materiale militare verso il Pakistan, l’India e la Corea del sud», si legge in un comunicato del Partito socialista. «Inoltre, devono essere fatte delle importanti modifiche alla legge sull’esportazione di materiale bellico».
Clausole non rispettate
A fine agosto, il ministro dell’economia Joseph Deiss aveva annunciato pubblicamente che 40 carri M-109 venduti nel 2004 agli Emirati arabi uniti (EAU) erano poi finiti in Marocco. Con la cessione dei carri a Rabat, gli EAU sono venuti meno alla clausola del certificato di destinatario finale (end-user certificate).
Abu Dhabi ammette di aver chiesto ed ottenuto il permesso degli Stati uniti, costruttori dei carri armati, ma non della Svizzera.
Deiss ha dichiarato che probabilmente la Confederazione non avrebbe concesso il suo benestare alla cessione degli M-109 al Marocco, paese dove si trascina da anni un conflitto tra le autorità e il fronte indipendentista Polisario per la regione del Sahara occidentale.
«Gli Emirati arabi uniti stanno cercando una soluzione… Ma non è chiaro se questi carri armati siano ancora di loro proprietà», afferma Rita Baldegger, portavoce del Segretariato di Stato dell’economia (seco).
I responsabili svizzeri hanno dichiarato di aver appreso da media stranieri che i carri, venduti per 4 milioni di franchi, sarebbero stati usati in Marocco, probabilmente per delle esercitazioni.
Ma giovedì è emerso che le autorità svizzere erano al corrente del desiderio degli Emirati di inviare i carri in Marocco.
Stando ad una dichiarazione del Dipartimento della difesa, rilasciata alla trasmissione delle televisione della Svizzera tedesca 10vor10, due anni fa gli EAU avrebbero chiesto a Berna il permesso di trasferire i carri dopo la vendita. La richiesta era stata respinta.
Vendita sospesa
Il caso è venuto alla luce a poca distanza dalla decisione del governo di sospendere la vendita di 180 carri blindati agli Emirati arabi uniti. I carri – costo totale della transazione 12 milioni di franchi – sarebbero stati donati dagli EAU all’Iraq.
Il Dipartimento dell’economia sta cercando di ottenere delle garanzie sull’utilizzazione finale dei veicoli che dovrebbe essere esclusivamente di tipo civile. Un articolo pubblicato dalla Basler Zeitung insinuava, infatti, che i carri non sarebbero stati destinati alla polizia, come previsto, ma all’esercito iracheno.
L’esperto di sicurezza Albert Stahel ha messo in guardia nei confronti dei rischi legati ad una tale operazione: la Svizzera potrebbe trovarsi coinvolta nel conflitto iracheno e diventare bersaglio di attacchi terroristici.
I verdi, che trovano inaccettabili le interferenze degli Stati uniti in entrambi i casi di vendita di materiale bellico agli Emirati arabi uniti, chiedono che la legislazione svizzera sull’esportazione d’armi venga inasprita.
Per il partito ecologista, il divieto di esportare armi verso paesi in guerra dovrebbe essere esteso agli stati che conoscono dei conflitti interni.
Basta con le esportazioni
Josef Lang, parlamentare dei verdi, si spinge anche oltre e ritiene che la cosa più sicura da farsi sia la cessazione completa delle vendite d’armi.
«Personalmente penso che tutto il materiale bellico che l’esercito svizzero non usa più dovrebbe essere distrutto», spiega Lang a swissinfo. «I costi politici per l’esportazione sono troppo alti. Ci sono danni per la neutralità del paese ed è sbagliato per quanto riguarda la politica estera».
Indipendentemente da quali saranno i risultati ai quali giungerà il gruppo di lavoro formato dal governo, l’associazione Small Arms Survey, che ha sede a Ginevra, afferma che sarà sempre difficile assicurarsi che i certificati di destinatario finale vengano rispettati.
«I certificati end-user sono basati sulla buona fede. È molto raro che i paesi esportatori abbiamo la possibilità di controllare il rispetto delle garanzie che gli sono state date», afferma Anna Khakee, consulente di Small Arms Survey.
Gli Stati uniti, fa notare Anna Khakee, hanno avuto recentemente dei problemi con uno dei loro più stretti alleati, Israele, colpevole di aver rivenduto del materiale bellico statunitense.
swissinfo, Adam Beaumont
(traduzione, Doris Lucini)
Il governo elvetico ha formato un gruppo di lavoro per riesaminare le procedure che regolano la vendita di materiale bellico all’estero.
La decisione è stata presa dopo che si è venuti a sapere che 40 carri armati venduti dalla Svizzera agli Emirati arabi uniti sono finiti in Marocco.
Critiche al Consiglio federale sono venute anche dalla vendita – ora bloccata – di 180 carri blindati agli Emirati arabi uniti. I carri sarebbero stati destinati all’Iraq.
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