Frontiera sud, un giorno di novembre
Il lavoro delle guardie di confine è impegnativo, a tratti anche pesante. Non tutti i giorni sono uguali, è vero. Ma con i pericoli le guardie devono imparare a convivere. Cronaca di un turno alla frontiera italo-svizzera.
Giovedì 20 novembre: il cielo è nascosto da una deprimente cappa grigia, freddo pungente, calma piatta, almeno in apparenza. A metà giornata, in realtà, sono già stati fermati due clandestini egiziani e tre clandestini maghrebini con sei documenti falsi.
Lungo il confine verde – in cui boschi e sterpaglie si intrecciano fitti nel silenzio – la calma è sempre solo relativa. La ramina, la lunga rete metallica che separa il confine italo-svizzero, è piena di buchi, di strappi, di passaggi, da dove transitano disperati, spacciatori e criminali.
Il turno guidato dal sergente maggiore Alan Nessi è iniziato da poco. Occhi verdi, capelli cortissimi, grinta da vendere, piglio deciso: “È lei la giornalista? Venga, mi segua”. La cronaca di un turno con le guardie di confine a Chiasso-Strada inizia così.
Dalla coste italiane alle porte del Ticino
Il passo deciso del caposquadra rivela una personalità forte e determinata. A soli 37 anni, l’ufficiale ha accumulato una grande esperienza. “Nel nostro lavoro – spiega a swissinfo – l’esperienza è molto importante. In certi casi è addirittura determinante: le incognite quotidiane portano con sé potenziali insidie”.
In questo periodo i flussi migratori stanno occupando in modo particolare le guardie di confine. Basti pensare che cinque giorni dopo lo sbarco sulle coste italiane di gommoni stracolmi di persone in fuga, la frontiera italo-svizzera si trasforma nella seconda tappa del viaggio. “In una manciata di chilometri – puntualizza Alan Nessi – passa il flusso migratorio da sud di tutta la Svizzera”.
Nell’ufficio accanto, i colleghi stanno ultimando le prime verifiche su due clandestini egiziani, da cui è difficile ottenere informazioni comprensibili. Altri agenti sono alle prese con tre clandestini maghrebini in possesso di sei documenti falsi: aspettano, seduti, senza dire una parola.
Sebbene l’accordo sulla riammissione con l’Italia permette di ricondurre in territorio italiano le persone entrate illegalmente in Svizzera e non in possesso di un diritto di dimora, i tempi delle verifiche possono essere lunghi e laboriosi.
Con un bimbo di sei giorni avvolto in un fagotto
Se anni di lavoro sul terreno contribuiscono a valutare meglio le situazioni e ad adeguare la risposta della guardia di confine, un margine di rischio c’è sempre. “Anche quando ti trovi davanti dei clandestini spaesati, non puoi mai sapere come reagiranno. La paura – racconta il sergente maggiore – può portare a reazioni imprevedibili, che possono essere potenzialmente violente”.
“In queste situazioni – aggiunge – occorre mostrare fermezza, mantenere il sangue freddo ed essere pronti ad agire”. Al confine non arriva soltanto gente povera e disperata, come molti somali stremati e affamati, solo ossa e poche speranze. “Le guardie di confine – sottolinea Nessi – hanno anche a che fare con clandestini spregiudicati, spacciatori, criminali, passatori”.
Ci sono però casi in cui è necessario mostrare comprensione e umanità. “C’è un episodio che non scorderò mai. In piena notte mi è capitato di fermare una famiglia; la madre teneva stretta al petto un fagotto. Mi sono avvicinato per vedere che cosa contenesse, e ho scoperto un neonato. Ho saputo solo dopo che aveva appena sei giorni. Il passatore aveva costretto la famiglia ad aspettare due ore nel bosco, al freddo e al gelo”.
L’altra notte, invece, altro tipo di scenario. Nel tentativo di entrare illegalmente in Svizzera, sono stati fermati un passatore e due clandestini, uno dei quali ricercato per rapina e stupro e per il quale è stato necessario un intervento energico.
Le storie di ogni giorno e la gioia di essere vivo
Mentre ricordi e episodi affiorano nella memoria, a Chiasso-Strada tutto apparentemente tranquillo e occhi sempre aperti. Prima di iniziare il turno, la squadra di agenti si aggiorna dettagliatamente sui bollettini di polizia e sul rapporto di attività dei colleghi che li hanno preceduti.
La quotidianità delle guardie di confine è composta anche dai controlli di sempre: contrabbando, generi alimentari e qualche infrazione dettata dall’irresistibile passione per gli abiti firmati, per i quali si chiede a due passi dalla frontiera svizzera il rimborso dell’IVA, mentre alla guardia di confine si mente spudoratamente sull’origine dei capi.
Massima attenzione, come sempre, al traffico di stupefacenti. “Due sere fa – racconta Nessi – abbiamo fermato un ‘sans-papier’ con in tasca 800 franchi. Ha negato di avere venduto cocaina. Condotto allora all’ospedale per una radiografia che confermasse la presenza di ‘bolas’ nell’organismo, stretto improvvisamente da crampi, ha evacuato un ovetto kinder pieno di bolas”.
Per Alan Nessi il lavoro è una vera passione: lo si capisce da come ne parla, da come si muove. Ma sa bene che la vita ha un valore e un prezzo. E ce lo spiega in un racconto che non ha bisogno di commenti.
“Cinque anni fa, la notte di Natale, ero di turno. Erano da poco passate le due. Un giovane, dall’andatura incerta, stava cercando di passare in Italia. L’ho chiamato. Gli ho chiesto il documento. Ha messo la mano dentro la giacca e ha effettivamente estratto il passaporto”.
“Il mio collega – continua Nessi – si è incaricato della verifica. Due minuti dopo, bianco come un lenzuolo, mi chiama e mi dice di entrare: il ragazzo fermato, che non aveva opposto la minima resistenza, era ricercato per un omicidio commesso la mattina prima nella Svizzera tedesca. È solo dopo che mi sono reso conto della fortuna di essere ancora vivo. Perché da quella giacca avrebbe potuto estrarre anche un’arma. E io adesso non sarei qui”.
swissinfo, Françoise Gehring, Chiasso
Il Corpo svizzero delle guardie di confine dispone complessivamente di circa duemila agenti, di cui trecento attivi in Ticino. La maggior parte delle guardie è schierata lungo i 90 chilometri del confine tra il Ticino e la Lombardia.
Sulla spinta dell’integrazione economica, sociale e culturale la frontiera che determinava la separazione tra queste due regioni transfrontaliere, si è progressivamente trasformata in una zona di scambio e di passaggio.
Una nuova realtà, sempre più consolidata, che costituisce non solo una zona di contatto con potenziali opportunità, ma anche con potenziali problemi legati alle grande problematiche del continente: flussi migratori, grande criminalità internazionale, flussi di merci illecite, stupefacenti e contrabbando, micro-criminalità transfrontaliera.
Il Ticino, regione di frontiera a sud della Svizzera, è dunque un cantone costantemente esposto a queste pressioni , che comportano una sorta di stato di vigilanza permanente. L’ accresciuta mobilità delle guardie di confine ha favorito l’ efficienza dei controlli e ha dato ottimi risultati sul fronte della sicurezza.
Le guardie di confine a Chiasso hanno in dotazione un Drone, un piccolo aereo senza pilota dotato di un sistema di ricognitori telecomandati per la sorveglianza del confine. L’impiego di questo mezzo ausiliare contribuisce a fermare persone entrate illegalmente e persone già ricercate.
Le altitudini di volo – che devono essere rispettate per motivi tecnico-operativi (inquinamento fonico/visibilità) – consentono unicamente riprese fotografiche di qualità limitata. Le immagini registrate permettono di riconoscere soltanto sagome di persone e i rispettivi movimenti.
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