Guerra fiscale: l’UE dibatte del mandato negoziale
La Commissione europea ha già ricevuto un "ampio sostegno" dei paesi membri dell'UE sulla sua richiesta di un mandato per negoziare con la Svizzera nell'ambito della vertenza sulla fiscalità delle imprese.
Trattative vere e proprie non dovrebbero però iniziare prima delle elezioni federali dell’autunno prossimo, secondo fonti europee.
La richiesta della Commissione europea di ricevere un mandato di negoziazione nell’ambito del conflitto fiscale con la Svizzera sta trovando un “ampio sostegno” tra i 27.
È quanto emerso martedì da una riunione del gruppo AELS, che riunisce i diplomatici dell’Unione Europea che si occupano dei rapporti con l’Associazione europea di libero scambio, di cui fa parte la Svizzera appunto.
Finora 16 delegazioni di Stati europei si sono espresse sulla domanda dell’esecutivo, ha indicato una fonte comunitaria.
Nessuna di loro ha criticato la presa di posizione della Commissione, che il 13 febbraio scorso ha deciso di chiedere alla Svizzera di sopprimere o modificare i privilegi fiscali concessi da alcuni cantoni a certi tipi di imprese poiché li considera “aiuti di stato” e quindi incompatibili con il buon funzionamento dell’accordo di libero scambio del 1972.
Una posizione che il governo elvetico ha sempre respinto, sostenendo di non veder alcun legame tra le pratiche fiscali cantonali e l’accordo del 1972.
L’esecutivo UE ha chiesto agli stati membri un mandato di negoziazione “allo scopo di trovare una soluzione reciprocamente accettabile” e si è riservato il diritto di adottare misure di protezione, che per la Svizzera potrebbero significare sanzioni economiche.
Fra le delegazioni che si sono espresse figurano anche quelle di Irlanda e Gran Bretagna, che finora si erano sempre opposte ad ogni tentativo di armonizzare le imposte in seno all’UE.
No alle minacce, sì ai negoziati
I governi di Lussemburgo ed Austria, dal canto loro, hanno ribadito di comprendere la posizione svizzera, ciò che non significa però di escludere l’apertura di negoziati.
“Per il Lussemburgo non vi è nessun problema ad aprire trattative, i colloqui non devono però avvenire in un clima minaccioso”, ha dichiarato il premier del Granducato Jean-Claude Juncker in margine ad una riunione dei ministri delle finanze dell’UE.
“Non abbiamo nessun interesse a lasciar degenerare questo conflitto”, ha dal canto suo sottolineato il ministro delle finanze austriaco Wilhelm Molterer, ribadendo quanto già dichiarato lunedì alla ministra dell’economia svizzera Doris Leuthard.
Decisione il 13 marzo?
Non è quindi da escludere che le ultime riserve in seno al gruppo AELS possano essere superate nella prossima seduta del 13 marzo: se i diplomatici saranno d’accordo il successivo via libera da parte del Consiglio dei ministri dovrebbe essere solo una formalità.
Fonti diplomatiche europee hanno fatto sapere peraltro che veri e propri negoziati con la Svizzera su questo tema così sensibile non dovrebbero tenersi prima delle elezioni federali dell’autunno prossimo.
Dietro le quinte, si sussura che Bruxelles spera che dopo la scadenza elettorale il governo svizzero scenda a più miti consigli.
swissinfo e agenzie
La Svizzera è convinta che l’accordo bilaterale di libero scambio concluso nel 1972 con l’Ue non si applichi alle agevolazioni fiscali accordate a certe società da alcuni cantoni. Esso si applica soltanto al commercio di alcuni beni (prodotti industriali e prodotti agricoli trasformati).
Berna sostiene che al momento della firma dell’accordo la Svizzera e la Comunità europea non prevedevano di armonizzare le loro legislazioni. Inoltre, le regole di questo accordo non devono essere interpretate alla stessa stregua della regolamentazione interna dell’Ue in ambito di concorrenza, molto più dettagliata.
Secondo la Commissione europea, alcuni regimi fiscali in vigore in certi cantoni elvetici in favore delle imprese costituiscono una forma di aiuto statale incompatibile con il buon funzionamento dell’accordo del 1972.
I privilegi fiscali in questione sono accordati a società che hanno sede in Svizzera, ma che realizzano i propri profitti all’estero.
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