Il sogno infranto della rivoluzione sandinista
A 30 anni dalla rivoluzione sandinista, che richiamò in Nicaragua oltre 800 brigatisti svizzeri, quel sogno di un mondo più giusto e solidale sembra essersi infranto. Eppure, al di là delle difficoltà politiche ed economiche, questo piccolo paese dell'America centrale porta ancora i segni di un'utopia.
Era il 19 luglio del 1979 quando i rivoluzionari sandinisti entrarono vittoriosi a Managua dopo aver rovesciato la dinastia Somoza che da oltre quarant’anni – con il sostegno degli Stati Uniti – aveva imposto al paese una dittatura sanguinosa.
Al grido di «Libertà e socialismo», il Fronte sandinista di liberazione nazionale (FSLN) varò un ambizioso programma per risollevare il Nicaragua dalla miseria e dall’oppressione, attraverso campagne di alfabetizzazione e di vaccinazione, una riforma agraria e l’istituzione di diritti sociali.
Gli ideali della rivoluzione suscitarono un grande movimento di solidarietà in tutta Europa. Nel 1986 si contavano in Svizzera non meno di 21 comitati locali, impegnati in diversi progetti umanitari, e oltre 800 persone portarono un sostegno diretto alle popolazioni locali.
Ma in pieno clima di guerra fredda, la vittoria sandinista provocò un’immediata reazione da parte degli Stati Uniti. Oltre ad imporre un embargo al paese, le presidenze Reagan e Bush finanziarono e diressero la guerriglia dei Contras per evitare di avere un’altra Cuba sotto casa.
«Il Nicaragua divenne un vero e proprio simbolo della lotta antimperialista, perché simboleggiava tutta la problematica dei rapporti Nord-Sud, dell’interventismo statunitense in America latina», spiega lo storico Thomas Kadelbach, autore di un libro sui volontari svizzeri in Nicaragua. «La rivoluzione sandinista era vista come una lotta tra Davide e Golia tra il giusto e l’ingiusto, con un paese estremamente povero attaccato indirettamente da una super potenza».
Tra entusiasmo e paura
Trascinati dall’euforia di un paese in completa trasformazione, in un momento in cui in Europa erano saldi i valori liberali, diverse centinaia di svizzeri partirono per il Nicaragua come brigatisti. «Malgrado la forte accezione di questo nome, il loro impegno era puramente civile – precisa Thomas Kadelbach – e durava normalmente dalle quattro alle sei settimane, il periodo di una “vacanza”».
«Si tratta per lo più di giovani appartenenti alla classe media, sensibili ai valori post-materialisti e impegnati in ambito sociale, educativo e culturale», continua Kadelbach. La solidarietà prendeva così forme molto diverse: dai gruppi non specializzati impegnati in progetti a corto termine, fino alle brigate professionali (agricoltori, personale medico e sanitario, operai…) la cui presenza nel paese era più lunga e incisiva.
«È stata un’esperienza dura, perché vivevamo in condizioni precarie ed eravamo confrontati con la povertà e a tutto ciò che la guerra civile porta con sé», racconta il sindacalista Philippe Sauvin impegnato in Nicaragua per diversi anni. «Eppure è stato formidabile, abbiamo dato e ricevuto tantissimo da questa gente». Un ricordo che rivive anche nelle parole della psicologa Ursula Scharer, brigatista per oltre dieci anni: «La cosa più impressionante era l’entusiasmo della gente e la volontà di lavorare per un progetto comune. Tutta questa libertà in un colpo solo era qualcosa di davvero incredibile da concepire… ».
Un sogno infranto
L’euforia iniziale suscitata dalle riforme sandiniste si scontrò ben presto con la realtà di un paese in piena guerra civile. Nel 1985 lo Stato consacrò quasi la metà del suo budget per difendersi dagli attacchi dei contras e nel 1990 decise di indire elezioni anticipate per porre fine al conflitto. «L’aggressione di Washington fu così violenta da guadagnarsi, nel giugno 1986, una condanna per “terrorismo di stato” da parte della Corte internazionale di giustizia dell’Aja», spiega il giornalista Sergio Ferrari, anch’egli ex brigatista e attivo nell’ONG svizzera e-changer.
Il 25 febbraio del 1990, nonostante i sondaggi dessero il presidente Daniel Ortega in vantaggio, i nicaraguensi – stremati dalla guerra – optarono per la neoliberale Violeta de Chamorro mettendo così fine all’esperienza rivoluzionaria sandinista. Il contributo dei brigatisti svizzeri fu dunque vano? Lo storico Thomas Kadelbach non ne è convinto: «Se in termini politici l’azione dei volontari svizzeri è stata un “fallimento” – proprio perché non sono riusciti a cambiare il corso della storia e a consolidare la rivoluzione -, ha comunque portato un importante sostegno morale alla popolazione».
«Il fatto stesso che migliaia di europei scegliessero di vivere in condizioni analoghe a quelle del popolo nicaraguense, di condividere l’esperienza della guerra e della povertà, ha sicuramente aiutato la gente ad andare avanti, a continuare a lottare per gli ideali in cui credeva», continua Kadelbach. E, gli fa eco Ursula Scharer, «nei quartieri popolari è rimasta la consapevolezza di potercela fare, di poter diventare attori del proprio futuro».
Una solidarietà senza confini
Contrariamente alle aspettative, tuttavia, la presenza di volontari stranieri non ha impedito ai Contras di usare le armi e di uccidere, tra gli altri, anche due cooperatori svizzeri – Maurice Demierre e Yvan Leyvraz – nel 1986. Questi eventi spinsero il governo svizzero a delimitare le zone più pericolose e alcuni parlamentari di destra a rimettere in questione l’aiuto umanitario al Nicaragua.
«In questo senso, le informazioni diffuse dai brigatisti rappresentavano un’alternativa alla propaganda americana», precisa lo storico grigionese. «La stampa svizzera veicolava un’immagine fuorviante di ciò che stava accadendo, definendo il regime sandinista una “dittatura comunista” quando in realtà il sistema politico era fondato proprio su un pluralismo partitico».
Nel 2006 il Nicaragua ha ritrovato in Daniel Ortega il sogno di una società più giusta e solidale dopo oltre un decennio di governo neoliberale. Eppure, questo ex leader sandinista sceso a patti con l’estrema destra e con gli ambienti cattolici più conservatori, ricorda più un “caudillo” che un rivoluzionario.
E se il ripristino di un sistema educativo e sanitario gratuito, nonché il rafforzamento di accordi regionali con i paesi dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), ricalcano gli ideali sandinisti, la proibizione dell’aborto e la limitazione di una democrazia popolare non possono che destare qualche interrogativo.
Ma al di là delle divergenze politiche, Daniel Ortega si trova oggi confrontato con una sfida più che ambiziosa: risollevare il Nicaragua dalla condizione di paese più povero delle Americhe dopo Haiti.
Una sfida che la Svizzera è pronta a raccogliere: «Ancora oggi il Nicaragua rimane uno dei paesi dove la solidarietà elvetica è più presente e organizzata – conclude Sergio Ferrari – e la ventina di volontari attivi nei diversi villaggi porta avanti ogni giorno questi antichi ideali di giustizia e libertà».
Stefania Summermatter, swissinfo.ch
Negli anni Ottanta, oltre 800 brigatisti svizzeri si recano in Nicaragua per dare il loro contributo alla rivoluzione.
Diversi i tipi di intervento:
– Le brigate della solidarietà, non specializzate, sostengono progetti di corta durata (uno o due mesi) come il raccolto o i lavori sui cantieri. Rappresentano la categoria più importante (oltre i ¾ degli effettivi).
-Le brigate della pace sono legate alle chiese cristiane e agli ambienti vicini alla teologia della liberazione. In Svizzera realizzano un importante lavoro di informazione attraverso diverse manifestazioni.
– Le brigate operaie e sanitarie sono professionalizzate e attive su un arco di tempo più lungo. A loro si deve, tra l’altro, la costruzione dei villaggi di Yale, El Carmen e El Galope.
Antica colonia spagnola, il Nicaragua è indipendente dal 1821.
Dall’inizio del XX secolo deve far fronte a una crescente influenza americana.
Nel 1927 il ribelle nazionalista Augusto César Sandino combatte le truppe d’occupazione statunitensi, prima di essere ucciso dalla Guardia nazionale nel 1934.
Negli anni Trenta sale al potere il dittatore filostatunitense Anastasio Somoza Garzia.
Nel mese di luglio del 1979, i rivoluzionari del Fronte sandinista di liberazione nazionale (FSLN) entrano trionfalmente a Managua e mettono fine alla dinastia somozista.
Gli Stati Uniti rispondono finanziando i Contras, milizie contro-rivoluzionarie e imponendo un embargo al paese.
Nel 1984 i nicaraguensi rinnovano la propria fiducia al FSLN e confermano Daniel Ortega alla presidenza.
Nel 1990, dopo sei anni di guerra civile, il paese elegge la neoliberale Violeta Chamorro, che sarà seguita da Arnoldo Aléman e Enrique Bolanos.
Nel 2009, a trent’anni dalla Rivoluzione sandinista, e a due anni dalla sua rielezione alla presidenza del Nicaragua, Daniel Ortega continua a definirsi un partigiano della politica antimperialista, ma è da molti considerato più un “caudillo” che un rivoluzionario.
Capitale: Managua
Popolazione: 5,6 milioni di abitanti
PIL pro capite: 2’510 dollari
Debito estero: 3’390 dollari (2007)
Mortalità infantile (-5 anni): 35‰
Speranza di vita: 73 anni
Fonte: Banca mondiale (2007)
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