Il «Super Tuesday» lascia ancora aperta la contesa
John McCain si profila come favorito in ambito repubblicano, mentre il duello tra i democratici Hillary Clinton e Barack Obama rimane molto incerto: sostanzialmente, è quanto emerge dai commenti della stampa svizzera.
In particolare, gli editorialisti interpretano la situazione come un segno di vitalità e rinnovamento per la democrazia americana, dopo gli anni difficili dell’amministrazione Bush.
«Per molti statunitensi, questa elezione è diventata più un’ossessione che una passione. Il “Super tuesday l’ha dimostrato una volta ancora: le elezioni di quest’anno si decideranno soltanto marginalmente sulla base dei programmi politici», scrive Luis Lema sul quotidiano romando Le Temps.
Secondo l’editorialista, infatti, «le emozioni suscitate da questa campagna elettorale non hanno eguali da decenni», e più precisamente dai tempi di John Kennedy. Luis Lema conclude poi evidenziando il fatto che «l’America sembra essersi riconciliata con sé stessa. Il paese ha inoltre in parte riconquistato l’affetto ambiguo nutrito nei suoi confronti dal resto del mondo, affetto di cui l’amministrazione Bush l’aveva privato».
Il medesimo giornale dedica alle elezioni una vignetta umoristica del disegnatore Chapatte, il quale definisce la situazione «storica»: «L’America eleggerà una donna, un nero o un anziano».
Segnale incoraggiante
Dal canto suo, il corrispondente a New York di 24heures, Jean-Cosme Delaloye, afferma che il senatore dell’Illinois Barack Obama «ha già avuto un impatto profondo sulla vita politica statunitense», in particolare facendo nascere «la voglia di votare presso una nuova generazione di elettori che condividono il medesimo desiderio di cambiamento dopo gli anni di George Bush alla Casa Bianca».
Maria-Pia Mascaro sottolinea, sul giornale friburghese La Liberté, come l’America abbia già vinto: «Anche se Barack Obama non dovesse riuscire a diventare presidente degli Stati Uniti, il movimento che è riuscito a far nascere – oltre le divisioni razziali, religiose ed economiche – ha già conquistato la battaglia di domani».
Sulla medesima lunghezza d’onda, il quotidiano zurighese Tages-Anzeiger afferma: «Dopo gli anni bui dell’amministrazione Bush, durante questi giorni la democrazia statunitense sta celebrando una vera e propria festa».
Tutto é possibile
Nel suo commento all’esito delle votazioni, l’editorialista della Neue Zürcher Zeitung Hansrudolf Kamer evidenzia a sua volta la situazione di grande equilibrio. «In campo repubblicano, anche John McCain ha mostrato qualche segno di debolezza, mantenendo così in corsa i suoi rivali», rileva.
Per quanto concerne i candidati democratici, aggiunge il giornalista, la situazione è contraddistinta da un sostanziale pareggio con un leggero vantaggio per Hillary Clinton. L’idea iniziale secondo la quale a metà febbraio le candidature sarebbero ormai state definite in entrambi gli schieramenti è ormai svanita, scrive Kamer: gli americani hanno più tempo per esaminare meglio i loro candidati.
A questo proposito, l’Aargauer Zeitung sottolinea che il fattore temporale potrebbe costituire un vantaggio per il carismatico senatore dell’Illinois. Barack Obama, brillante oratore, ha infatti l’opportunità di convincere un numero sempre maggiore di elettori.
Numerose variabili
Anche secondo l’editorialista del Corriere del Ticino, Gerardo Morina, la partita è tutt’altro che chiusa: «Nel partito democratico la sfida tra Hillary Clinton e Barack Obama andrà avanti, mentre tra i repubblicani John Mc Cain non è ancora completamente riuscito a mettere al sicuro la sua nomination». Quest’ultima, scrive il giornalista, dipenderà anche dalla capacità di consolidare la simpatia popolare degli indipendenti e dell’ala moderata dei liberali.
In campo democratico, sintetizza Morina, «i due contendenti continuano a combattersi l’una nel nome dell’esperienza, l’altro nel nome del cambiamento». In particolare, Hillary Clinton punta sui prossimi appuntamenti per rafforzare la sua base elettorale, composta – oltre che da elettrici non più giovanissime – dall’elettorato ispanico e da quello bianco operaio.
Prosa e poesia
Obama, continua Morina, «non perde lo slancio conquistato attraverso la sua immagine (la voce, lo stile, le pause sono quelle tipiche di un predicatore di colore come era Martin Luther King), il suo messaggio (il senso del nuovo, al di là di ogni barriera razziale e generazionale) e i sostegni ricevuti (fondamentale è stato quello della famiglia Kennedy). Ma il senatore dell’Illinois non dovrà abbassare la guardia, dribblando le insidie che continueranno a frapporgli i suoi avversari».
Tra questi, ricorda l’editorialista, non figurano soltanto quelli più diretti, come i Clinton, «che amano ripetere: “Barack è bravo a fare campagna elettorale in poesia, ma una volta eletti è in prosa che si governa”, ma anche tutti coloro che lo guardano con sospetto». In particolare, «i radicali di sinistra, i quali temono che l’idea di Obama di guarire le ferite del Paese coinvolgendo anche i repubblicani e i conservatori sia un’ingenuità destinata al fallimento.
swissinfo
L’idea del sistema elettorale statunitense è di permettere agli elettori dei singoli Stati di partecipare alla designazione dei candidati alla presidenza. La ripartizione dei voti dei delegati varia da uno Stato all’altro.
Il numero dei delegati dipende dal numero degli abitanti: quelli con le popolazioni più numerose dispongono del maggior numero di delegati.
Il Partito democratico applica un sistema proporzionale, mentre in quello repubblicano chi ottiene la maggioranza dei voti si aggiudica tutti i delegati. In entrambi i partiti vi sono poi i cosiddetti “superdelegati”, ossia deputati, senatori e altri esponenti politici.
L’elezione avrà luogo il 4 novembre. In tale occasione verranno nuovamente eletti dei delegati, i cosiddetti “grandi elettori”. Il candidato che raccoglierà il maggior numero di voti non diventerà però per forza il nuovo presidente.
Ad esempio nel 2000 Al Gore perse contro George W. Bush: quest’ultimo aveva ottenuto meno suffragi, ma aveva ottenuto le preferenze di 271 “superelettori”, contro 266 per Gore.
Democratici:
Hillary Clinton: 811 delegati
Barack Obama: 720 delegati
Necessari per la nomination: 2025
Repubblicani:
John McCain: 616
Mitt Romney: 269 (si ritira)
Mike Huckabee: 170
Necessari per la nomination: 1191
(stato: 07.02)
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