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In Iran per parlare con l’Islam

Lettura del Corano in una moschea di Teheran Reuters

In un periodo caratterizzato da violenti attacchi contro le comunità cristiane in Iraq, Nigeria ed Egitto, una delegazione di vescovi svizzeri ha trascorso una settimana in Iran per promuovere il dialogo interreligioso.

Alla testa del «Gruppo di lavoro Islam» della Conferenza episcopale svizzera, nel mese di gennaio il vescovo di Lugano Pier Giacomo Grampa si è recato in Iran. Swissinfo.ch l’ha intervistato di ritorno dalla visita in terra persiana.

swissinfo.ch: Quali erano gli obbiettivi del viaggio?

Pier Giacomo Grampa: Il nostro viaggio aveva due obbiettivi. Incontrare le comunità cristiane per dimostrare loro solidarietà e sostegno e dialogare con gli esponenti del clero sciita – gli ayatollah – sulla dignità umana, i diritti delle minoranze e l’importanza dell’educazione per il rispetto della dignità.

swissinfo.ch: Per quanto è stato possibile constatare, come vivono i cristiani in Iran?

P. G. G.: I cristiani in Iran godono della libertà di culto, non della libertà di religione, quindi sono limitati anche nella libertà di coscienza e di credenza. Se prima della rivoluzione islamica del 1979 erano circa 300’000, oggi sono ridotti a 80’000. Fanno riferimento soprattutto a delle comunità etniche. La più numerosa è quella degli armeni ortodossi di circa 30-40’000 unità.

Numerosi sono anche gli evangelici, anche se più difficili da quantificare perché dispersi in chiese domestiche. I cattolici non arrivano a 10’000, suddivisi in tre comunità: la caldea, l’assira e la latina, che purtroppo, è numericamente la più sacrificata, non avendo una comunità etnica di riferimento. Forse i latini-cattolici non arrivano nemmeno al migliaio.

Qualcuno ha osservato che dal punto di vista religioso sembra d’essere in un regime sovietico con contenuti islamici, dove le Chiese finiscono, se non per essere soffocate, per mancare dell’ossigeno necessario per conservarsi e crescere.

swissinfo.ch: Vi sono elementi che lasciano sperare in un’evoluzione positiva?

P. G. G.: Il fatto che la gente sia amica dei cristiani e ne abbia grande rispetto; che almeno alcuni tra il clero sciita cerchino il dialogo con i cristiani; la speranza che migliorino le condizioni politiche generali e venga tolto il blocco economico al paese; che oltre alle Chiese etniche possa ritrovare slancio la Chiesa latina che è l’unica che si esprime in farsi, la lingua del paese, anche nella liturgia.

swissinfo.ch: Sono stati evocati i recenti attentati contro i cristiani in Egitto, Iraq e Nigeria?

P. G. G.: Chiaramente non sono mancati accenni a queste situazioni di violenza e di intolleranza, ma essendo l’Islam iraniano sciita, e non sunnita, gli interlocutori non si sentivano particolarmente coinvolti e responsabili di questi eccessi, di questi eccidi che attribuivano più a cause sociali e politiche che non religiose.

swissinfo.ch: Di ritorno in Svizzera, come valuta i giorni trascorsi in Iran?

P. G. G.: Credo di poter affermare che il bilancio del viaggio è positivo. L’incontro personale e il dialogo, anche se talvolta acceso, permettono di superare gli stereotipi e di convergere su posizioni di maggiore comprensione, accoglienza e rispetto reciproci.

Personalmente, sono uscito da questi incontri più illuminato e confermato nella mia posizione cristiana e al tempo stesso, ancor più convinto che la strada da percorrere è quella del dialogo se vogliamo evitare quella dell’incomprensione e della violenza.

Vorrei poi sottolineare che mi ha colpito l’immagine di un Islam certo radicale e rigoroso, ma non necessariamente violento. Gli iraniani sono persone molto accoglienti e anche generose che ci hanno offerto una ospitalità capace persino di mettere in imbarazzo un occidentale.

swissinfo.ch: Lei ha menzionato la necessità di superare gli stereotipi. Concretamente, quali pregiudizi devono cadere da entrambe le parti affinché il dialogo tra musulmani e cristiani sia davvero efficace?

P. G. G.: Da parte musulmana: l’identificazione tra Occidente e Cristianesimo; la prevenzione che da noi la maggioranza sia atea, infedele, materialista, corrotta; la mancanza di profondità storica, per cui a noi si riprovano le crociate, dimenticando che furono la risposta ad una guerra santa; la difficoltà, per non dire l’impossibilità, apparentemente insormontabile, di distinguere fra politica e religione, tra la sfera dell’umano e quella del divino; l’impegno a rispettare maggiormente la presenza delle minoranze cristiane nei paesi musulmani.

Da parte cristiana occorre non considerare tutti i musulmani come terroristi ed estremisti fondamentalisti, condizionati dall’appartenenza comunitaria che limita la libertà personale; accettare che i costumi ed i comportamenti possano essere propri e diversi e non volere appiattire tutto su un modello neutrale, incolore e mortificante; avere fiducia nella possibilità di chiarire – mediante il dialogo – certi punti di convivenza e capire come occorra passare da una realtà legalista ad una più libera e personale.

swissinfo.ch: I rappresentanti musulmani sono coscienti delle discussioni relative ai simboli cristiani in Europa?

P. G. G.: Sì, li abbiamo informati di questo, spiegando loro che non esiste in Occidente solo una posizione di laicità condivisibile, ma anche una di laicismo estremo, dissacratore e negatore di ogni valenza sociale della religione.

(intervista realizzata per iscritto)

Eletto nel 2005, il presidente iraniano Ahmadinejad ha inasprito la repressione delle opposizioni. Forte del sostegno della guida spirituale Khamenei, della Guardia rivoluzionaria e dei media controllati dal governo, il gruppo conservatore legato al presidente si è confermato maggioritario alle elezioni legislative dell’inverno 2008.

Sul fronte internazionale, la strategia aggressiva di Ahmadinejad si è manifestata con l’esasperazione dell’atteggiamento antioccidentale e antiisraeliano, fino alla negazione del diritto all’esistenza dello Stato di Israele, il sostegno agli hezbollah del Libano e alla fazione estremista palestinese di Hamas, il rilancio del programma nucleare iraniano e l’intensificazione dei rapporti con i regimi antiamericani.

Nel giugno 2009 la rielezione di Ahmadinejad alla guida del paese è stata accompagnata da manifestazioni di piazza da parte dei componenti della società civile sostenitori del candidato riformista Mousavi.

Nella Confederazione vivono circa 350’000 musulmani (stime del 2008); il 10-15% è praticante. Il loro numero è raddoppiato tra il 1990 e il 2000 e circa il 10% dei musulmani possiede la cittadinanza svizzera.

Nel 2000 (ultimo censimento) rappresentavano il 4,3% della popolazione svizzera. Si tratta della principale comunità religiosa del paese dopo i cattolici e i protestanti.

Il 56% dei musulmani che vivono nella Confederazione proviene dai Balcani (soprattutto kosovari e bosniaci), il 20% dalla Turchia, il 4% dal Maghreb, il 3% dal Libano e il 15% dall’Africa nera.

In Svizzera esistono quattro moschee dotate di un minareto (Zurigo, Ginevra, Winterthur e Wangen bei Olten) e circa 180 luoghi di preghiera islamici, situati prevalentemente all’interno di centri culturali.

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