In tempo di crisi prevale l’apertura verso l’Europa
I cittadini svizzeri hanno ribadito con chiarezza il loro sì alla libera circolazione delle persone con l'Unione europea. Di fronte alla crisi economica, la maggioranza ha preferito evitare esperimenti.
Un sì forte e chiaro, più netto del previsto e predominante nella maggior parte dei cantoni. Atteso con trepidazione, definito da più parti un momento storico per le relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea, il voto dell’8 febbraio ha fornito una risposta senza ambiguità.
Una solida maggioranza degli svizzeri continua a essere favorevole alla libera circolazione delle persone con l’Unione europea. Il voto di domenica conferma i risultati delle precedenti votazioni sull’argomento, nel 2000 e nel 2005.
Anzi, con il 59,6% di sì gli svizzeri hanno dato un sostegno più netto alla libera circolazione delle persone che nel settembre del 2005, quando si trattava di approvare l’estensione dell’accordo a dieci nuovi paesi dell’UE. Allora il sì aveva raggiunto quota 56%.
Conferma della via bilaterale
Il voto può essere letto anche come conferma della via bilaterale nei rapporti con l’Unione europea. Sul risultato scaturito dalle urne hanno senza dubbio influito le possibili conseguenze di un no sull’intero impianto degli accordi bilaterali I.
L’argomento dei promotori del referendum contro l’estensione della libera circolazione a Bulgaria e Romania, secondo cui un no all’accordo non avrebbe necessariamente fatto scattare la cosiddetta clausola ghigliottina, non sembra aver convinto.
In effetti, appariva difficile pensare che un no al rinnovo e all’estensione dell’accordo potesse rimanere senza conseguenze per i rapporti tra Berna e Bruxelles. Anche nella migliore delle ipotesi, nuovi negoziati con l’Unione europea si sarebbero svolti in un clima molto difficile.
D’altro canto, in tutte le votazioni sulle relazioni tra Svizzera e Unione europea, i cittadini elvetici si sono espressi a favore di un avvicinamento graduale e prudente a Bruxelles, mentre hanno respinto le proposte di una collaborazione più stretta (in particolare con lo storico no del 1992 all’adesione allo Spazio economico europeo).
Ragionevoli in un momento di crisi
Nel corso della campagna per il voto, i promotori del referendum hanno cercato in particolare di far leva sui timori della popolazione di fronte alla crisi economica e all’aumento della disoccupazione. Ancora pochi giorni prima del voto, la destra nazional-conservatrice ha lanciato una campagna d’inserzioni nella stampa basata sugli ultimi dati sulla disoccupazione in Svizzera.
I timori legati alla situazione economica non sono però bastati per spingere la maggioranza della popolazione ad adottare un atteggiamento di chiusura verso l’Europa. Anzi, si può ritenere che proprio i segnali di recessione abbiano indotto gli svizzeri a evitare esperimenti dagli esiti incerti e a compiere una scelta ragionevole.
Evidentemente, i rischi di un forte aumento dell’immigrazione dalla Romania e dalla Bulgaria sono stati considerati dai cittadini elvetici meno gravi di quelli di una possibile crisi nei rapporti con il partner commerciale di gran lunga più importante della Svizzera. L’accordo sulla libera circolazione delle persone è stato vissuto finora più che altro come fattore positivo per l’economia svizzera.
Altri sviluppi
Accordi bilaterali
La destra nazional-conservatrice perde di nuovo
Il voto di domenica segna anche una nuova sconfitta della destra antieuropeista e dell’Unione democratica di centro (UDC) sul tema dei rapporti tra Svizzera e Unione europea. Del resto, l’UDC è scesa in campo a favore del no solo dopo molte esitazioni, incalzata dai partiti alla sua destra e dalle sue organizzazioni giovanili e contro il parere della sua ala economica.
L’esperienza ha insegnato al partito che vincere una votazione contro il governo, la maggioranza del parlamento, le principali organizzazioni economiche e i sindacati è un’impresa disperata. Il fatto che all’UDC il colpo sia già riuscito una volta – nel 1992, in occasione del voto sull’adesione allo Spazio economica europeo – ha del resto contribuito in maniera determinante alla sua fama di temibile macchina elettorale.
Il 40,4% ottenuto domenica è un risultato abbastanza modesto, per i parametri della destra nazional-conservatrice. Rappresenta tuttavia una percentuale ben più ampia della forza elettorale dei partiti coinvolti nella campagna per il no.
Insieme al dato del Ticino, che mostra il profondo malessere di quel cantone nei confronti dell’Unione europea, questa percentuale rimane pur sempre un monito contro troppo facili entusiasmi.
Un regalo svizzero all’Europa
Ciò non toglie che il voto dell’8 febbraio assuma un ruolo simbolico che va anche al di là della sua importanza politica contingente. Domenica gli svizzeri hanno partecipato alla cinquantesima consultazione popolare svoltasi in un paese europeo su un tema riguardante l’Unione europea.
Il fatto che nel pieno di una delle peggiori crisi economiche degli ultimi ottant’anni dalle urne di un paese ritenuto, a torto o a ragione, fra i più euroscettici d’Europa sia scaturito un risultato favorevole all’ampliamento dei rapporti con l’Unione europea, rappresenta senza dubbio un segnale degno di nota.
swissinfo, Andrea Tognina
L’accordo concede ai cittadini elvetici ed europei il diritto di scegliere il paese in cui soggiornare e lavorare.
La libera circolazione non è incondizionata. Per ottenere un permesso di soggiorno occorre essere in possesso di un contratto di lavoro, dimostrare di esercitare un’attività indipendente oppure disporre di mezzi finanziari sufficienti e di un’assicurazione malattie.
Per evitare fenomeni di dumping salariale e sociale, la Confederazione ha introdotto delle misure di accompagnamento. In caso di abuso salariale reiterato possono essere adottate misure che garantiscono condizioni salariali minime obbligatorie.
L’estensione della libera circolazione alla Bulgaria e alla Romania avverrà gradualmente. Durante un periodo di sette anni l’immigrazione da questi paesi sarà sottoposta a diverse restrizioni: contingenti, priorità alla manodopera indigena, controllo preventivo delle condizioni salariali e lavorative
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