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“In Tunisia non ho sentito parlare di vendetta”

Dick Marty dice di essere impressionato dalla dignità dei tunisini Keystone

L’Organizzazione mondiale contro la tortura ha tenuto recentemente a Tunisi una conferenza per aiutare il paese a superare i postumi della dittatura. Vicepresidente dell’OCMT, lo svizzero Dick Marty testimonia delle sfide che attendono questa democrazia nascente.

Conosciuto a livello mondiale per aver documentato e denunciato le pratiche clandestine di rapimenti e torture condotte nel quadro della guerra contro il terrorismo degli Stati Uniti, Dick Marty ha partecipato alla riunione organizzata a Tunisi dall’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT).

La conferenza, durata tre giorni, ha riunito ad inizio febbraio rappresentanti del governo, della società civile, nonché esperti nazionali ed internazionali. Al centro delle discussioni vi sono state le future riforme per sradicare la tortura e i maltrattamenti in Tunisia.

swissinfo.ch: Cosa l’ha colpita di più durante il suo soggiorno in Tunisia?

Dick Marty: È la prima volta che visitavo questo paese. Sono rimasto impressionato dalla dignità delle persone che ho incontrato. Non ho sentito nessuno parlare di vendetta, malgrado il fatto che la tortura sia stata praticata per decenni. Nonostante i numerosi prigionieri politici dell’ex regime, non ho percepito una volontà di rivincita, bensì un desiderio di verità e di stabilire i fatti e le responsabilità. Molte persone hanno bisogno di parlare, di testimoniare di quello che hanno subito.

swissinfo.ch: Per quanto concerne la protezione dei diritti umani, questa determinazione supera i divari politici?

D.M.: Da quel che mi è sembrato, esiste la volontà di lottare contro la tortura. La nostra riunione, voluta dalla società civile, ha in ogni caso suscitato l’interesse del governo, come testimonia la partecipazione del ministro dei diritti dell’uomo e portavoce del governo Semir Dilou e del ministro degli affari sociali Khalil Zaouia.

La conferenza voleva soprattutto essere un momento di riflessione comune e un’occasione per unire le nostre forze (ONG tunisine e internazionali). Evidentemente tocca alla società tunisina fare la maggior parte del lavoro.

Detto ciò, ci vorrà molto impegno per porre fine a pratiche radicate da decenni in un paese che non ha mai conosciuto la democrazia. Ho insistito affinché non passassimo per dei maestri che vogliono impartire una lezione. In Svizzera, come in Tunisia, i diritti dell’uomo devono essere conquistati e riconquistati ogni giorno.

swissinfo.ch: Dalla caduta di Ben Ali, sono state posate fondamenta importanti?

D.M.: La situazione attuale è molto delicata, poiché bisogna ricostruire tutto e la tentazione di voler regolare dei conti non è comunque allontanata.

Le prime elezioni democratiche organizzate in Tunisia in ottobre sono state regolari. La partecipazione, però, è stata appena superiore al 50%. Inoltre, nello scrutinio si sono affrontati un partito molto organizzato (gli islamici di Ennahda) e decine di liste di altre correnti. Risultato: a causa di questo sparpagliamento che ha avvantaggiato gli islamisti, il 30% dei votanti non è rappresentato in parlamento.

Per quanto concerne la protezione dei diritti umani, il compito è enorme e il nuovo governo manca di esperienza. È auspicabile che il governo e il partito maggioritario utilizzino tutte le risorse della società tunisina. Sarebbe molto inquietante se ignorassero tutte le forze che non appartengono all’attuale maggioranza, se non si avvalessero dei servigi di eccellenti giuristi e avvocati che possono dare molto alla redazione della nuova costituzione e all’apparato legislativo.

Uno dei timori è in effetti che ognuno abbia come principale, o addirittura unico obiettivo, le prossime elezioni previste nel 2014. Oggi la Tunisia ha bisogno di un’autentica unità nazionale.

Mi ricordo che dopo la caduta di Mussolini, l’Italia si era dotata di una nuova costituzione, firmata solennemente dai principali leader politici (liberali, democristiani e comunisti). Questo atto simbolico è stato fondamentale per un nuovo inizio del paese.

swissinfo.ch: Ritiene che gli islamici di Ennahda siano capaci di un simile gesto di apertura?

D.M.: Questo partito non è un monolite. Coesistono al suo interno diverse correnti, tra cui degli estremisti, ma anche dei liberali. Inoltre, la società tunisina, in particolare le donne, non dà l’impressione di essere disposta a lasciarsi convincere da un regime integralista. Mi sembra che la società tunisina sia ormai vaccinata per quanto concerne l’autoritarismo.

Rispettando la corrente islamista, aiutiamo tutti i tunisini. Al contrario, facendo pressioni e criticando questa corrente senza sosta, non facciamo altro che incoraggiare le ali più estremiste.

swissinfo.ch: Come altri paesi prima, la Tunisia deve costruire il presente e il futuro, affrontando nello stesso tempo l’eredità del passato…

D.M.: Alcuni vorrebbero tirare una riga sul passato, ad esempio con un’amnistia. Secondo me, questa scelta non dà mai i frutti sperati. Il passato risale sempre alla superficie. Dopo decenni di torture e abusi di ogni genere, sorvolare su quanto fatto dal regime di Ben Ali e sulla sete di giustizia delle sue numerose vittime non farebbe altro che accendere bombe a scoppio ritardato.

swissinfo.ch: La Svizzera sta procedendo nella giusta via per quanto concerne i diritti umani in Tunisia? Cosa ha potuto constatare?

D.M.: Ho incontrato l’ambasciatore Pierre Combernous e i suoi collaboratori, tra cui la persona che si occupa specificatamente dei diritti dell’uomo. Ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a gente molto motivata. Inoltre, bisogna dire che la Svizzera gode di un’eccellente reputazione, grazie anche al famoso discorso di Samuel Schmid in occasione dell’apertura del Vertice mondiale sulla società dell’informazione nel novembre 2005.

È un fatto che i tunisini sottolineano: contrariamente ai suoi vicini europei, la Svizzera ha in questo modo criticato pubblicamente e in maniera spettacolare il regime molto tempo prima che esso cadesse.

Già giudicato e condannato a pene severissime per reati legati a malversazioni o generici casi di malaffare, l’ex presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali dovrà rispondere anche di reati contro la persona. Il 21 febbraio è infatti stato rinviato a giudizio, insieme ad altre tre persone, per avere inflitto torture a detenuti civili.

La tortura ha continuato ad essere praticata in Tunisia dopo il 14 gennaio, data della caduta dell’ex presidente Ben Ali. Lo ha detto il ministro dei diritti umani e portavoce del governo di Tunisi Samir Dilou in occasione dell’apertura della conferenza organizzato dall’OMCT.

“Il vecchio regime è caduto, ma la tortura esiste ancora. Le torture continuano ad essere praticate anche dopo la rivoluzione. Una decisione politica non può porre fine a queste pratiche che erano la politica del regime di Ben Ali. Ci vogliono tempo e molti sforzi prima che tutti i servizi di sicurezza applichino e rispettino la legge”, ha dichiarato il ministro, che è un ex prigioniero politico di Ben Ali.

Fonte: Afp

“La Tunisia si è impegnata a rispettare le principali norme internazionali, tra cui la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e, recentemente, il Protocollo facoltativo che la obbliga a istituire un meccanismo nazionale di prevenzione.

La lotta contro la tortura e i maltrattamenti, come anche la creazione di un sistema efficace per la prevenzione della tortura sono questioni fondamentali per il successo della transizione democratica.

Le torture e altri maltrattamenti proibiti sono profondamente radicati nella cultura istituzionale del corpo della sicurezza tunisina.

Sarà compito della Costituente vigilare per la protezione contro la tortura e i maltrattamenti attraverso la nuova costituzione, creando misure di salvaguardia contro la tortura e gli abusi, e un quadro giuridico e istituzionale in grado di proteggere efficacemente contro la tortura”.

Comunicato dell’OMCT

(Traduzione dal francese: Daniele Mariani)

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