Integrazione difficile in Svizzera
La Svizzera non è tra i primi della classe per quanto riguarda l'integrazione di immigrati. I dati pubblicati dal British Council per il 2010 attestano la Confederazione solamente al 23° posto su 31. Secondo lo studio, la Svizzera è particolarmente debole nella lotta alla discriminazione.
In base ai 43 indicatori analizzati, nei paesi confinanti – Francia, Italia e Germania – l’integrazione degli immigrati è migliore rispetto alla Svizzera. È quanto emerge dall’«Indice delle politiche per l’integrazione degli immigrati» (Migration Integration Policy Index, Mipex) stabilito dal British Council per i paesi UE, la Norvegia, il Canada, gli USA e la Svizzera.
Lo studio dimostra che le politiche elvetiche in materia di immigrazione rimangono indietro anche rispetto alla maggior parte dei paesi UE, dove già da qualche anno sono applicati degli standard comunitari.
Lo scopo del 3° studio Mipex è stato quello individuare i cambiamenti nei sistemi legislativi dal 2007 al 2010. Nel caso svizzero, che ha perso tre posizioni in tre anni, ha per esempio inciso il referendum per l’espulsione di stranieri criminali accettato nel novembre 2010.
Ma tutto sommato, stando allo studio, in Svizzera non ci sono stati grandi cambiamenti in questi tre anni nonostante siano state emanate diverse nuove leggi. Ma quando si tratta di permessi di residenza a lungo termine, naturalizzazione e ricongiungimento familiare, gli immigrati in terra elvetica non hanno la vita facile. Uno dei problemi individuati dal Mipex è l’accesso limitato al mercato del lavoro e la mancanza di sostegno per gli extracomunitari.
Inoltre la Svizzera è la pecora nera per quanto riguarda le politiche anti discriminatorie, piazzandosi al penultimo posto davanti alla Lettonia. Contrariamente alla maggior parte degli altri paesi, la Confederazione non ha leggi specifiche volte a proteggere le vittime di discriminazioni.
Il sistema federale svizzero è ritenuto in gran parte responsabile di questa situazione. Dal rapporto emerge come le condizione «complessa e onerosa» della divisione nazionale per cantoni sia «particolarmente sfavorevole» all’integrazione. Manca una «definizione nazionale» in termini di integrazione.
L’ostacolo del federalismo
Denise Efionayi, vicedirettrice del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione dell’Università di Neuchâtel – che ha fornito i dati allo studio –, ritiene che i risultati dell’indagine sono corretti e rappresentano dei buoni punti di riferimento.
«Penso che lo studio rifletta la realtà anche se per la Svizzera è difficile accettare il fatto che non si è sempre il numero uno», commenta scherzosamente la specialista in flussi migratori.
«Anche qui ci sono problemi. Il fatto di essere uno stato federale con grandi differenze a livello cantonale non è una situazione facile. Si potrebbe pensare che è lo stesso in Germania, Austria o negli Stati Uniti, ma non è così. Credo che in Svizzera questo si manifesta anche nelle differenze culturali delle regioni linguistiche», spiega Efionayi.
«A livello federale le cose si stanno muovendo nella direzione giusta. Stiamo cercando di introdurre degli standard. Ma d’altro canto si creano sempre delle situazioni conflittuali tra i margini di manovra cantonali e dello stato. Ci sono alcuni cantoni che si stanno però comportando veramente bene».
A inizio aprile, dopo il Consiglio nazionale (camera bassa) anche il Consiglio degli stati – l’equivalente del Senato – si è detto favorevole all’elaborazione di una legge tesa a standardizzare l’integrazione degli stranieri a livello nazionale.
Ma alcuni cantoni e città sono scettici all’idea di una standardizzazione in tale senso e ribadiscono la volontà di mantenere la loro sovranità anche in materia di integrazione.
Punto dolente: la discriminazione
L’indice più problematico per la Svizzera è la discriminazione. Efionayi speiga che fino a tempi recenti, la questione era un tabù. Le persone in Svizzera si rifiutavano di accettare quanto stava accadendo a livello di forza lavoro.
Oggi la popolazione elvetica è più consapevole e accetta che la discriminazione esista. Tuttavia sussiste il problema legato a come discuterne, portare avanti e affrontare il tema, sottolinea Efionay.
«È proprio un problema svizzero. Non ci sono leggi specifiche contro discriminazione in ambito lavorativo o nel settore immobiliare. Esistono solo leggi molto generali che però in realtà non funzionano perché ogni caso deve essere verificato e la persona che sporge denuncia si trova confrontata a enormi costi legali», ribadisce Christina Hausammann, dell’ONG humanrights.ch.
«In tale ambito, la Svizzera è in fondo alla lista!». Hausammann spiega che i paesi membri dell’UE sono stati obbligati da una direttiva comunitaria a emettere leggi di questo tipo. La giurista trova ciononostante consolante il fatto che lo studio Mipex confermi una volta di più l’esistenza di un reale problema in materia di discriminazione in Svizzera.
Voci critiche
Non tutti però avallano ciecamente i risultati dello studio Mipex. Una delle critiche mosse riguarda l’aspetto puramente legale preso in considerazione, che non costituisce una rappresentazione fedele della situazione reale delle politiche di integrazione.
L’esperto di integrazione della città di Basilea, Thomas Kessler, ha affermato al Tages Anzeiger che «i paesi che sono tra i primi della classifica hanno delle leggi simboliche per l’integrazione. Ma queste servono più che altro a fornire una buona immagine del paese».
Stando a Kessler, è piuttosto la prestazione economica di un paese ad essere il «più importante fattore di integrazione». Uno degli elementi che conferma un’integrazione positiva in Svizzera è il fatto che gli immigrati con un permesso di residenza di tipo B pagano più tasse dei cittadini svizzeri.
Kessler ha inoltre affermato che molti paesi dispongono di ottimi principi e leggi in materia di integrazione ma che poi, nella realtà, le cose vanno molto diversamente. In Italia, per esempio, le leggi anti discriminazione «non sono prese sul serio da nessuno».
L’esperto conclude affermando che è quasi ironico che la Danimarca si sia posizionata meglio della Svizzera se si considera che le leggi di questo paese scandinavo sono «oppressive, xenofobe e molto rigide per quanto riguarda il ricongiungimento familiare».
Svedesi numeri uno
La Svezia, come peraltro già nel 2007, è risultata la prima della classe. Cosa distingue il paese nordico dagli altri?
«Credo che in Svezia esistano una volontà e un consenso politico volti ad attuare le pari opportunità e gli equi diritti. Questo si riflette anche a livello legislativo», afferma Thomas Huddlestone, uno degli autori dello studio e tra i responsabili dell’ONG Migration Policy Group.
«Uno dei risultati più importanti emersi dallo studio Mipex è l’importanza della volontà politica. Conta di più della storia o della tradizione di un paese in termini di immigrazione».
«Nella maggior parte dei paesi europei, i lavoratori provenienti legalmente da altri paesi possono accedere direttamente al mercato del lavoro e contribuire così economicamente al paese d’accoglienza. Dopo cinque anni possono diventare residenti a lungo termine. In Europa gli immigrati di questo tipo sono protetti da leggi pertinenti contro la discriminazione razziale ed etnica», aggiunge Huddlestone.
«Credo che in questi ambiti la Svizzera possaimparare molto dai suoi vicini».
L’Indice delle politiche per l’integrazione degli immigrati (Migration Integration Policy Index, Mipex) è condotto dal British Council e dal Migration Policy Group. È cofinanziato dal Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi.
Il Mipex misura le politiche di integrazione di tutti i membri dell’UE, più Norvegia, Svizzera, Canada e Stati Uniti.
La Svezia si è posizionata al primo posto nel Mipex del 2010. Segue Portogallo, Canada, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Norvegia, Spagna, USA e Italia.
Lo studio Mipex è stato svolto nel 2010. Il terzo studio di questo tipo assegna 43 punti dei 100 possibili alla Svizzera che si posiziona così al 23° posto su 31. Non ci sono stati grandi cambiamenti dall’ultimo studio realizzato nel 2007.
Per la Svizzera, nessuno dei 43 indicatori è stato catalogato come «leggermente favorevole». Il paese ha perso 3 posizioni rispetto al 2007.
Gli immigranti hanno soprattutto problemi con i criteri di impiego e le condizioni per ottenere permessi di residenza a lungo termine.
Le complesse condizioni per ottenere la cittadinanza sono state giudicate «particolarmente sfavorevoli» all’integrazione. La Svizzera è stato l’unico paese a non ottenere nemmeno un punto per questo indicatore.
Anche il ricongiungimento familiare è stato giudicato «poco favorevole» dallo studio e la Svizzera si è posizionata tra i peggiori.
Per quanto riguarda gli allievi di origine straniera le difficoltà di accesso all’educazione sono simili come negli altri paesi. In Svizzera però hanno più facilità ad imparare la lingua e la cultura del loro paese d’origine.
Per gli extracomunitari, in Svizzera l’accesso al mondo del lavoro è difficile e ci sono poche misure di sostegno. In questo aspetto la Confederazione si posiziona tra i peggiori.
La partecipazione politica è garantita anche per gli stranieri in alcuni cantoni e comuni, ma non in tutti.
La Svizzera ha la peggiore protezione in materia di discriminazione. Non ci sono leggi specifiche per le vittime né un organo competente.
(traduzione e adattamento, Michela Montalbetti)
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