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Interrogativi ancora aperti dopo la risoluzione sul Kosovo

Ancora oggi non vi è traccia di oltre 1800 persone scomparse in seguito al conflitto in Kosovo Keystone

Approvando il rapporto di Dick Marty sul traffico di organi nel Kosovo, il Consiglio d'Europa ha adottato una risoluzione in cui chiede l'apertura di un'inchiesta internazionale. Una risoluzione che non è però vincolante e che lascia aperti vari interrogativi, ad esempio sulla protezione dei testimoni.

Dick Marty è un uomo tranquillo e ponderato, ma alquanto deciso nell’affrontare i problemi. “Tutti sapevano che la famiglia di Ben Ali era un clan di gangster e che aveva saccheggiato la Tunisia. Questo fatto è stato però riconosciuto ufficialmente soltanto quando dell’ex presidente tunisino è stato costretto a partire”, ha dichiarato il senatore svizzero, poco dopo l’approvazione da parte dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del suo rapporto sulle attività criminali in Kosovo.

L’istituzione parlamentare europea ha adottato martedì a Strasburgo una risoluzione, in cui chiede l’apertura di un’inchiesta per far luce sul traffico d’armi, di droga e di organi umani, che sarebbe stato condotto alla fine degli anni ’90 da alcuni militanti dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).

In questi giorni il primo ministro kosovaro Hashim Thaci e il governo di Pristina hanno dichiarato di essere favorevoli ad un’inchiesta. I dirigenti kosovari hanno accusato nel contempo Dick Marty di non disporre di alcuna prova e di diffondere soltanto falsità.

“Il nome di Hashim Thaci appare da 15 anni in vari rapporti. Come mai si dice solo ora favorevole ad un’inchiesta”, si chiede Dick Marty. Il primo ministro del Kosovo si è pronunciato a favore di un’inchiesta soltanto da quando il rapporto del senatore svizzero è stato pubblicato nel dicembre scorso.

Senza tracce

Secondo il rapporto di Dick Marty, un gruppo “ristretto, ma potente” di membri dell’UCK avrebbe deportato, torturato, ucciso centinaia di persone durante e dopo la fine del conflitto avvenuto tra il 1998 e il 1999 in Kosovo. Ad alcuni prigionieri sarebbero stati inoltre prelevati degli organi, messi in vendita all’estero.

Prima dell’arrivo delle truppe della KFOR nel giugno 1999, l’ex provincia serba è rimasta per qualche tempo senza nessun controllo, tranne quello dell’UCK, rileva il senatore svizzero. Proprio durante questo periodo sarebbero avvenuti molti crimini denunciati dal suo rapporto.

“Ancora oggi, non vi è traccia di 1800 a 1900 persone scomparse in quel momento in Kosovo”, sottolinea Dick Marty. “Tra le motivazioni principali del rapporto vi sono in particolare quelle famiglie, che continuano a cercare i loro figli. Ne abbiamo incontrate alcune a Pristina e a Belgrado. E ci hanno fatto capire l’importanza che il nostro lavoro riveste per loro”.

Ricerca della verità

Le violazioni dei diritti umani non possono essere oggetto di trattative, prosegue Dick Marty, puntando il dito sui parlamenti nazionali e sulla comunità internazionale. “Hanno ignorato i problemi, dal momento che le accuse non erano nuove”.

Non si possono chiudere sistematicamente gli occhi per motivi economici, sottolinea il parlamentare svizzero, secondo il quale, anche il Kosovo deve ora mettersi al lavoro per “cercare la verità”, invece di tentare di “nascondere la verità”.

In base alla risoluzione adottata martedì dal Consiglio d’Europa, la missione dell’Unione europea in Kosovo Eulex dovrebbe essere incaricata di aprire un’inchiesta sui fatti denunciati dal rapporto. Questa inchiesta dovrebbe inoltre ottenere piena cooperazione da parte delle autorità kosovare.

“La giustizia deve ora mettersi in moto. E tra i suoi compiti principali deve figurare la protezione dei testimoni. Senza misure efficaci per assicurare la loro incolumità, queste persone sarebbero in pericolo”, afferma Dick Marty. Il senatore svizzero ha promesso una totale discrezione ai testimoni con i quali ha parlato in Kosovo e non ha fornito i loro nomi neppure ai rappresentanti di Eulex.

Protezione dei testimoni

La questione della protezione dei testimoni non è ancora assolutamente regolata. In caso di processo presso la Corte penale internazionale all’Aja, gli avvocati degli imputati ricevono i nomi dei testimoni 20 giorni prima dell’inizio del procedimento giudiziario.

“Atti di accusa e condanne non sono immaginabili, se a Eulex non vengono conferiti mezzi adeguati per offrire una nuova identità e un rifugio all’estero ai testimoni e alle loro famiglie”, dichiara la parlamentare austriaca Ulrike Lunacek.

A suo avviso, anche le autorità del Kosovo devono fornire in tal senso il loro contributo: “Il Kosovo è l’unico paese dei Balcani occidentali, che non riconosce ancora una protezione ai testimoni conforme alle norme del Consiglio d’Europa. Bisogna sopperire il più presto possibile a questa lacuna”.

1974: lo statuto di autonomia del Kosovo, riconosciuto dalla Seconda guerra mondiale, viene ancorato nella Costituzione della Federazione jugoslava

 

1989: il presidente serbo Slobodan Milosevic annulla lo statuto di autonomia e invia l’esercito in Kosovo per sedare le proteste.
 
1998: decine di migliaia di kosovari abbandonano le loro case in seguito ad un’offensiva condotta da Belgrado contro l’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).
 
1999: la Nato lancia una serie di attacchi aerei contro la Serbia per porre fine al conflitto tra le forze serbe e gli indipendentisti albanesi. Dopo oltre due mesi di bombardamenti, soldati della Nato vengono stazionati in Kosovo e la provincia viene posta sotto il protettorato dell’Onu.
 
2007: il leader separatista Hashim Thaci vince le elezioni parlamentari e preannuncia la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo.
 
2008: diventato primo ministro, Hashim Thaci dichiara in febbraio il Kosovo uno Stato «indipendente, sovrano e democratico». Pochi giorni dopo, la Svizzera riconosce l’indipendenza del Kosovo e instaura relazioni diplomatiche e consolari con questo nuovo paese dei Balcani.

2010: il Partito democratico del Kosovo di Hashim Thaci vince le prime elezioni legislative dall’indipendenza del Kosovo.

Tra il Kosovo e la Svizzera sussistono stretti legami dagli anni ’90, quando le tensioni e la situazione economica precaria nell’ex provincia serba hanno spinto decine di migliaia di kosovari a cercare rifugio o lavoro sul territorio elvetico.

In Svizzera vivono attualmente tra 150’000 e 170’000 cittadini kosovari, ossia quasi il 10% della popolazione residente in Kosovo. Di questi, circa 10’000 sono di originese serba, rom o slava.

La Confederazione è uno dei più importanti paesi donatori del Kosovo. Tra il 1999 (anno del conflitto tra serbi e kosovari) e il 2010 le autorità elvetiche hanno stanziato circa 700 milioni di franchi per sostenere lo sviluppo e la stabilità politica ed economica del Kosovo.

La Svizzera partecipa inoltre dal 1999 alla missione di pace delle truppe internazionali KFOR (Kosovo Force), guidate dalla Nato. Ogni anno fino a 220 soldati svizzeri della Swisscoy sono stazionati in Kosovo.

Traduzione e adattamento di Armando Mombelli

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