L’accordo sui fondi ebraici ha “purificato” la Svizzera
Dieci anni fa, le grandi banche elvetiche concludevano un accordo per indennizzare le vittime dell'Olocausto. Secondo uno dei principali architetti del concordato, l'intesa servì a rimuovere le nubi che avevano coperto la Svizzera.
Quando nella metà degli anni ’90 le organizzazioni ebraiche riportano in primo piano la questione dei fondi appartenenti alle vittime dell’Olocausto che “dormono” nelle casseforti delle banche svizzere, nessuno prevede la tempesta che si scatenerà.
Il presidente del consiglio d’amministrazione di UBS, Robert Studer, cerca di minimizzare, definendo le somme in giacenza “peanuts”, bazzecole.
In Svizzera non si fanno però i conti con la perseveranza delle organizzazioni ebraiche e con l’intervento delle autorità statunitensi, in particolare del senatore Alfonse d’Amato.
Ruolo della Svizzera
La polemica si allarga rapidamente: ad essere chiamato in causa è ormai non solo il comportamento delle banche, ma il ruolo giocato dalla Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Per cercare di illuminare di nuova luce il passato, sono avviate due inchieste, una delle quali commissionata dal governo svizzero.
Le ricerche giungono alla conclusione che durante la più grande tragedia del XX secolo la Confederazione non è stata così virtuosa. I lati oscuri sono molti: politica d’asilo, relazioni economiche con le potenze dell’Asse, acquisto di oro nazista da parte della Banca nazionale elvetica…
Gli istituti di credito svizzeri, dal canto loro, nel dopoguerra si sono spesso comportati in modo scorretto nei confronti dei discendenti delle vittime alla ricerca dei patrimoni dei loro familiari. Inoltre, i fondi depositati nelle cassaforti delle banche elvetiche sono stati sottostimati.
Azioni collettive
Il 12 agosto 1998 UBS e Credit Suisse da un lato e i rappresentanti del Congresso ebraico mondiali e dei querelanti raggiungono un accordo per risolvere la contesa.
In cambio della garanzia di risarcire i discendenti con 1,25 miliardi di dollari (1,8 miliardi di franchi allora), gli istituti finanziari ottengono l’abbandono delle azioni legali collettive contro la Svizzera e le banche elvetiche per il denaro custodito in conti aperti da presunte vittime del genocidio nazista, per il trattamento dei rifugiati e per il lavoro coatto in imprese svizzere durante il Terzo Reich.
“L’atmosfera era molto aggressiva e molto polarizzata”, ricorda Stuart Eizenstat, rappresentante del governo statunitense durante i negoziati. “È stata una vicenda traumatica per la Svizzera”.
Un simile accordo era nell’interesse di tutte le parti in causa, sottolinea dal canto suo Rolf Bloch, all’epoca presidente della Federazione delle comunità israelite svizzere.
Nel 1998 UBS è appena nata dalla fusione di Società di banche svizzere e Unione di banche svizzere. Una fusione che necessita ancora del beneplacito delle autorità antitrust americane. “Con queste azioni collettive sulle spalle, negli Stati Uniti la fusione non sarebbe stata possibile”, osserva Bloch.
Il governo ne resta fuori
Nell’intesa non intervengono però né il governo svizzero, né la banca nazionale elvetica (BNS), che nel 1997 hanno istituito un fondo speciale per le vittime dell’Olocausto, grazie al quale negli anni seguenti sono distribuiti circa 300 milioni di franchi a 300’000 persone di 60 paesi.
Eizenstat si dice amareggiato dal comportamento del governo elvetico e della BNS: “In Germania, Austria e Francia i governi hanno aderito agli accordi. In Svizzera, il fardello è gravato solo sulle spalle delle banche private. Penso sia stata una mossa inopportuna”.
250 milioni ancora da versare
Secondo Eizenstat, l’accordo da 1,25 milioni di dollari era “corretto ed equo”. A fine giugno del 2008 sono stati versati più di un miliardo di dollari a quasi 450’000 ebrei, omosessuali, testimoni di Geova e rom vittime dell’Olocausto o ai loro discendenti. Altri 250 milioni devono ancora essere versati. Le procedure sono state rallentate dalle centinaia di migliaia di richieste e dall’iter legale per esaminarne la validità.
Il pagamento – afferma Rolf Bloch – ha risolto “finanziariamente ma non moralmente” le questioni legate al comportamento della Svizzera durante la Seconda guerra. Secondo Eizenstat, l’accordo ha avuto un effetto catartico sulla Svizzera e ha contribuito a spingere le banche a dotarsi di norme più severe per lottare contro il riciclaggio di denaro.
“Questo avvenimento ha avuto un effetto che definirei purificatore. Il fatto che la Svizzera sia riuscita ad accettarlo e a superarlo ha creato una dinamica positiva”, conclude Eizenstat.
swissinfo, Matthew Allen
(traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)
Nel 1995 le organizzazione ebraiche cominciano a far pressione sulle banche svizzere affinché forniscano dei dettagli sui conti in giacenza che si sospetta appartengano a vittime dell’Olocausto. Gli istituti di credito elvetici fanno resistenza, appoggiandosi sul segreto bancario.
Nei mesi seguenti, negli Stati Uniti vengono sporte denunce collettive nei confronti delle banche svizzere.
Nel 1996 l’Associazione svizzera delle banche e i politici elvetici accettano la creazione di gruppi d’esperti indipendenti. Il comitato Volcker si mette alla ricerca dei conti in giacenza e dei rispettivi aventi diritto, ritrovandone decine di migliaia.
La Commissione indipendente d’esperti Svizzera – seconda guerra mondiale (CIE) diretta da Jean-François Bergier e istituita dal governo svizzero si concentra su numerosi aspetti controversi, tra cui la politica d’asilo e i rapporti economici e finanziari tra la Confederazione e le potenze dell’Asse. I risultati delle ricerche confluiscono in 25 studi e in un rapporto finale pubblicato nel 2002.
Nel 1997 il governo svizzero, la banca nazionale e diverse altre ditte istituiscono un fondo speciale per le vittime dell’Olocausto, dotato di 300 milioni di franchi.
Il 12 agosto 1998, UBS e Credit Suisse accettano di pagare 1,25 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di franchi all’epoca) alle vittime della Shoah e ai loro discendenti.
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