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L’arrivederci degli ambasciatori

Micheline Calmy - Rey diffonde le sue idee col sorriso sulle labbra Keystone

Si è conclusa giovedì l’annuale conferenza degli ambasciatori svizzeri. «Nessun clamore» per i progetti di riforma della diplomazia elvetica.

Ma qualche mormorio c’è stato e le riforme, se ci saranno, andranno avanti lentamente.

Aveva cominciato Micheline Calmy-Rey che in apertura di conferenza si era pronunciata in favore della fusione di alcune sedi diplomatiche con le rispettive sedi di aiuto allo sviluppo. Scopo: rafforzare le sinergie tra le rappresentanze svizzere all’estero e risparmiare denaro.

Poi Pascal Couchepin ha rincarato la dose: un presidente che resta in carica solo un anno non può tessere dei rapporti internazionali durevoli.

Il mondo diplomatico svizzero, riunitosi nell’annuale conferenza degli ambasciatori, si è trovato di fronte ad una voglia di cambiamento che non ha accolto sempre con tutti i favori. Il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) però minimizza le tensioni che sarebbero sorte in seguito alla proposta di riunire le funzioni di ambasciatore e cooperante.

Scettici? No aperti

I progetti di riorganizzazione della rete diplomatica caldeggiati dalla ministra degli esteri sono stati accolti «con un sentimento di apertura», ha dichiarato l’ambasciatore Ulrich Lehner, capo del Centro d’analisi e di prospettiva del Dfae e organizzatore della conferenza, che ha riunito a Berna 108 ambasciatori e sedici responsabili degli uffici di cooperazione elvetici all’estero.

«Non ci sono stati clamori», ha aggiunto Lehner, rimproverando alla stampa di aver cercato di accentuare in modo esagerato la portata di questa «cosiddetta riforma», volta a migliorare le sinergie fra la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (Dsc) e il resto del Dfae. I capi degli uffici di cooperazione potrebbero così assumere anche funzioni diplomatiche.

«Non ho rilevato particolari mugugni» da parte dei partecipanti alla conferenza al riguardo, conferma Blaise Godet, capo della Direzione politica del Dfae, interrogato dal giornale ginevrino «Le Temps».

Una riforma ancora lontana

Secondo Lehner la riorganizzazione, le cui modalità «non sono state ancora elaborate», potrebbe richiedere diversi anni e dovrebbe riguardare «un numero limitato di paesi». «Una mezza dozzina», aveva precisato Micheline Calmy-Rey nel discorso d’apertura il 25 agosto. «Gli incarichi sarebbero assegnati in base agli accenti posti sul lavoro da effettuare», aggiunge Lehner.

Per un paese come la Tanzania, con cui la Svizzera non ha «quasi nessuna relazione commerciale o diplomatica», l’accento è posto maggiormente sull’aspetto cooperazione; per un paese come l’India, invece, sulla diplomazia, afferma una fonte vicina alla Dsc che vuole restare anonima. «Paesi come il Canada e la Danimarca hanno già adottato un sistema del genere e funziona molto bene», prosegue la fonte. «Ma ciò richiede una certa flessibilità. Bisogna evitare di istaurare riserve di caccia».

Lehner afferma che queste sinergie costituiscono la soluzione «più innovativa» per la diplomazia elvetica. Ma altre piste sono state evocate durante la conferenza. L’idea di insediare ambasciate «light», con compiti limitati, oppure «ambasciatori itineranti» non è stata giudicata soddisfacente.

Un presidente diverso

Mercoledì, anche Pascal Couchepin ha gettato un sasso nello stagno della diplomazia elvetica, proponendo di riformare il ruolo del presidente della Confederazione. Tre le piste considerate: prolungare il mandato presidenziale a «due, tre, perfino quattro anni»; mantenere una presidenza a turno di un anno che coinciderebbe con la direzione del Dfae; fissare a quattro anni il mandato del presidente, che sarebbe pure ministro degli esteri.

«Bisognerà riflettere su questi scenari» che lo stesso Couchepin ha definito «fantapolitica», rileva Lehner. Da parte sua Blaise Godet sottolinea che la consigliera federale Calmy-Rey «desidera molto aiutare la presidenza a dare più visibilità alla politica estera». In questo contesto, «la soluzione più realistica» evocata da Couchepin sarebbe di costituire un «gabinetto diplomatico» di tre o quattro persone, diretto dal Dfae e connesso alla funzione presidenziale.

Micheline Calmy-Rey afferma di «condividere l’idea» di un sostegno accresciuto al capo dello Stato. «Rifletteremo sulla questione», ha dichiarato alla televisione svizzerotedesca DRS.

swissinfo e agenzie

L’annuale conferenza degli ambasciatori svizzeri è stata movimentata quest’anno dalle proposte di riforma del corpo diplomatico elaborate dalla ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey.

Ha suscitato qualche mormorio la proposta di fondere, in determinati paesi, le sedi delle ambasciate con le rappresentanze che si occupano di aiuto allo sviluppo.

Dopo tre giorni di dibattiti, ambasciatori e capi degli uffici di cooperazione della Dsc hanno concluso la conferenza con una escursione in Vallese. Guidati da Pascal Couchepin e da sua moglie Brigitte, si sono recati alla diga di Emosson, nella regione di Martigny, patria del presidente della Confederazione.

93 ambasciate svizzere nel mondo.
12 missioni presso le organizzazioni internazionali.
44 consolati generali.
35 uffici di coordinamento della Dsc

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