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La monocultura della piazza finanziaria

UBS, la più grande banca svizzera, torna a far parlare di sé. E con essa anche la piazza finanziaria - con le sue regole del gioco – è sotto i riflettori. Il sistema è forse malato? Intervista all'economista Silvano Toppi.

“Se vedi un banchiere svizzero che si butta dalla finestra, seguilo, ci sarà certo da guadagnare” disse il filosofo francese Voltaire. La bufera che travolge UBS – con tutte le implicazioni politiche, economiche e sociali – e, più in generale, la crisi dei mercati finanziari induce a pensare che qualcosa non funziona più.

Tra i più disorientati risparmiatori, consumatori, cittadini. Insomma comuni mortali che si chiedono se principi, regole e valori esistano ancora. Come si è arrivati a questo punto? Esiste un’etica nella finanza? swissinfo interpella l’economista e giornalista Silvano Toppi, osservatore critico della realtà economica nazionale e internazionale.

swissinfo: Sulla scena internazionale non è la prima volta che le banche svizzere si trovano nell’occhio del ciclone: dagli averi ebraici in giacenza negli anni Novanta, alle attuali accuse di evasione fiscale. Che cosa direbbe Voltaire oggi?

Silvano Toppi: Questa volta direbbe: seguitelo, se volete suicidarvi. Oppure, più intelligentemente, sono certo che da insuperabile conoscitore dei latini, com’era, commenterebbe con Virgilio, adattandolo: “Quid non elvetica pectora cogis, auri sacra fames!” (tradotto e adattato: a che cosa non costringi gli animi dei banchieri elvetici o esecrata brama del denaro?)

swissinfo: Le banche svizzere sono ritenute così vitali per il sistema economico svizzero. Senza le banche crollerebbe davvero tutto?

S.T.: Le banche sono necessarie, è indiscutibile. In Svizzera tutto è però finalizzato alle banche, sempre con priorità assoluta ed esclusiva. Si è creata una sorta di monocultura della piazza finanziaria.

Una monocultura favorita in ogni modo; gli esempi non mancano. Si pensi ai successivi privilegi fiscali, sempre in nome della concorrenza internazionale o al dispendio politico incredibile per la difesa del segreto bancario, oppure all’investimento enorme, contrario ad ogni logica antistatale sinora sostenuta, per salvare una sola banca.

Le è stato anche permesso di deregolamentarsi e di privatizzarsi ogni controllo per non avere ingerenze esterne pubbliche, che è poi la pretesa autoregolamentazione: il controllato che controlla se stesso.

Questa monocultura ha potuto anche istituzionalizzare conflitti di interesse enormi, che mandano all’aria la declamata trasparenza e persino la stessa democrazia o credibilità nelle istituzioni (come si sta verificando attualmente), perché anche le autorità di sorveglianza esterne sono emanazione delle stesse banche. La verità è che rischia di crollare tutto proprio per le banche.

swissinfo: In che misura la globalizzazione ha influito nelle regole del gioco?

S.T.: Quella che stiamo attraversando non può più essere considerata una crisi locale o regionale: è una crisi sistemica globale e non congiunturale, come si ostinano a sostenere con le loro misure i governanti federali o cantonali. Questa crisi ha innescato un effetto domino che stiamo ogni giorno costatando. Ed oltretutto non è solo economica-finanziaria: è lo stesso modo di sviluppo ad essere in discussione.

swissinfo: Per rispondere a questa grande crisi, la prima dopo il crollo del muro di Berlino, la società è adeguatamente armata, dal profilo delle idee e della progettualità in campo di politica economica?

S.T.: Se osserviamo il genere di risposte dei governi, dei politici e degli stessi partiti, direi proprio di no. Il genere di risposte, salvo pochissime eccezioni, sono tutte in funzione del breve termine (e in parte si può capire poiché si tratta di incrementare subito la domanda, l’attività, il lavoro, il consumo) e ben poche in funzione del medio-lungo termine e, quindi, del cambiamento del modo di sviluppo, dello stesso modo di essere.

swissinfo: In questi ultimi tempi si è parlato spesso dei banchieri come di persone insaziabili, avide e senza scrupoli. La domanda è probabilmente ingenua: esiste un modo etico di gestire la finanza, tenuto conto che uno degli obiettivi dichiarati è quello di generare profitti?

S.T.: Generare un profitto non è di per sé disdicevole. Un profitto può essere reinvestito, può accrescere la ricchezza da distribuire (non solo agli azionisti, ovviamente), può permettere allo Stato, se ha una sana politica fiscale, di praticare una politica sociale ridistributiva.

Disdicevoli possono essere il come lo si ottiene e l’utilizzazione del profitto. Ciò implica che devono esserci delle norme di comportamento, un’etica su principi comunemente condivisi. In realtà è quanto si è voluto o promesso di fare.

Ognuno, banche, industrie, gruppi, società, hanno avuto una fioritura incredibile di codici etici, di carte etiche ecc. Le stesse banche si sono date, rinnovata lo scorso anno, la Convenzione di diligenza. Il più delle volte, tuttavia, si trattava solo di un abile escamotage per dire “siamo bravi da soli”, non abbiamo bisogno di controlli esterni e, tanto meno, di sanzioni; eventualmente ci puniamo da soli.

Si è visto come è andata a finire. L’ultima vicenda di UBS dimostra proprio che la Convenzione di diligenza è stata completamente disattesa. D’altronde non dimentichiamoci che l’etica raccomanda mentre è solo la morale che comanda e sanziona.

Ma quando si parla di morale, che è quella che manca, si è subito fucilati come abietti moralisti. E allora andiamo avanti così.

Intervista swissinfo, Françoise Gehring

Silvano Toppi è nato a Lavorgo nel 1934. È economista-umanista, come ama definirsi; è stato allievo di Basilio Biucchi e seguace sin dai primordi del movimento francese “Economie et humanisme”.

Giornalista, autore di numerosi documentari televisivi, è stato responsabile del Dipartimento Informazione della Televisione della Svizzera italiana e successivamente direttore di due testate: il Giornale del Popolo e il Quotidiano, che ha fondato.

Apprezzato opinionista e commentatore a livello nazionale, attualmente collabora con diverse testate giornalistiche in qualità di giornalista indipendente.

La piazza finanziaria è un pilastro dell’economia svizzera per quanto riguarda l’occupazione, il valore aggiunto nonché il gettito fiscale. Con un tasso d’occupazione del 6% pari a 192 mila 900 impieghi (cifre del 2007), questo settore produce il 14% del valore aggiunto dell’economia svizzera.

Oltre la metà del valore aggiunto delle banche è dovuta alla forza tradizionale della piazza finanziaria, ossia la gestione patrimoniale. La Svizzera è il leader mondiale in questo ramo commerciale molto conteso.

Alla fine del 2005 il valore dei titoli gestiti nei depositi clienti delle banche svizzere, ammontava a oltre 4300 miliardi di franchi. Se ai titoli gestiti in depositi bancari, si aggiungono anche gli averi fiduciari, i conti di risparmio e i depositi a vista, alla fine del 2005 le banche svizzere gestivano un importo pari a oltre 5900 miliardi di franchi.

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