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La primavera araba riconcilia Fatah e Hamas

Mussa Abu Marzuk di Hamas (a sinistra) e Azzam al-Ahmad di Fatah durante l'incontro al Cairo. Keystone

Fatah e Hamas hanno sottoscritto un accordo che getta le basi per una riconciliazione palestinese. Un'intesa che secondo l'esperto di Medio Oriente Riccardo Bocco è stata favorita dai venti di cambiamento che soffiano nella regione, in particolare in Egitto.

L’accordo firmato mercoledì al Cairo da esponenti di Fatah e Hamas prevede la formazione di un governo di transizione composto da personalità indipendenti. Le elezioni presidenziali e legislative dovrebbero aver luogo entro un anno.

La Svizzera ha preso atto con soddisfazione dell’accordo di riconciliazione e ha salutato «il ruolo centrale svolto dall’Egitto nella conduzione dei negoziati», indica un comunicato del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE).

Per Berna, l’accordo «deve fare avanzare il processo di democratizzazione e il rispetto dei diritti dell’uomo sull’intero territorio». È però necessario giungere rapidamente a un cessate il fuoco duraturo, scrive il DFAE.

Per discutere delle ripercussioni dell’accordo palestinese sul processo di pace abbiamo contattato Riccardo Bocco, esperto di Medio Oriente all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra.

swissinfo.ch: Quale è la sua lettura dell’accordo, che secondo molti osservatori giunge un po’ a sorpresa?

Riccardo Bocco: Le negoziazioni erano effettivamente in stallo, perlomeno fino agli inizi del 2011. Gli eventi della “primavera araba” hanno accelerato le cose, spingendo Hamas e Fatah a riunirsi.

Quello che è successo in Egitto ha spaventato non solo gli israeliani, che potevano contare sull’appoggio di Mubarak, ma pure i palestinesi. Ci sono state diverse manifestazioni di giovani palestinesi che in modo velato hanno rimesso in questione la rappresentatività dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e di Fatah in Cisgiordania.

Ciò che sta succedendo in Siria solleva invece inquietudini in seno ad Hamas, visto che il sostegno di Damasco potrebbe vacillare.

Detto questo va pure menzionata la volontà di Mahmoud Abbas [leader di Fatah, ndr ] di chiedere il riconoscimento dello Stato palestinese alla riunione delle Nazioni Unite prevista in settembre. Per Abbas risulta infatti difficile presentarsi con una tale proposta sapendo che l’ANP controlla soltanto la Cisgiordania.

swissinfo: Questo accordo potrebbe sancire l’inizio di una nuova era per i palestinesi?

R. B.: La ratifica dell’accordo da parte di Abbas e Khaled Meshaal di Hamas dovrebbe avvenire la settimana prossima. Preferisco essere cauto: tante cose possono succedere da qui a là.

In passato abbiamo visto che accordi quasi fatti o firmati sono poi stati cancellati. Non solo per dissensi interni, ma anche per le interferenze esterne, principalmente da parte di Israele e della CIA. Non è un segreto che dopo gli accordi del 2007 gli Stati Uniti hanno armato 500 uomini di Fatah, i quali sono entrati a Gaza con l’obiettivo di distruggere Hamas.

swissinfo: Stando alle dichiarazioni del primo ministro israeliano Netanyahu, che ha intimato l’ANP di scegliere tra la pace con Hamas oppure la pace con Israele, l’intesa è destinata a fallire ancora prima di essere messo in pratica…

R. B.: Dobbiamo prima aspettare e vedere quali sono i contenuti esatti dell’accordo. Interessante sarà la posizione di Hamas: rinuncerà alla violenza e accetterà di riconoscere lo Stato d’Israele? Da un punto di vista puramente strategico Hamas potrebbe fare concessioni, a patto che ci sia reciprocità: anche loro vogliono essere riconosciuti.

Netanyahu non ha tuttavia alcun interesse nell’unità tra Fatah e Hamas. Non ha nessuna voglia di fare la pace. Per lui è sufficiente una forma di pace economica, che non implica affatto la creazione di uno Stato palestinese. Fino a quando ci saranno divisioni interne tra i palestinesi, Israele potrà far valer il fatto che non ci sono interlocutori rappresentativi dell’intero popolo palestinese.

Non voglio per questo difendere Hamas, ma siamo di fronte a due terroristi: Hamas uccide persone della società civile israeliana, Israele fa un terrorismo di stato uccidendo la popolazione civile palestinese. Uscire da questa questione implica una volontà politica che solo gli Stati Uniti possono imporre.

swissinfo.ch: In che modo i moti di protesta nel mondo arabo influiranno sul processo di pace in Medio Oriente?

R. B.: Se i processi di cambiamento in atto, in particolare in Egitto, daranno dei risultati positivi, ad esempio attraverso l’adozione di un pluralismo politico, si continuerà a dare una spinta ai processi di democratizzazione in altri paesi.

Israele si troverà in difficoltà dal momento che non potrà più affermare di essere l’unica democrazia del Medio Oriente. A quel punto, qualcuno potrebbe anche interrogarsi sul tipo di “democrazia” che esiste in Israele, un paese che discrimina la minoranza palestinese e che occupa un altro Stato con i processi di colonizzazione.

swissinfo.ch: La Svizzera è tra i pochi paesi occidentali ad avere un dialogo con Hamas. Il suo ruolo di mediazione è destinato ad assumere maggior peso?

R. B.: A mia conoscenza, in questi accordi al Cairo non c’è stato alcun lavoro diretto della Svizzera. Non so quale ruolo avrà in futuro, ma posso essere fiero di quanto ha fatto finora.

Quando c’è stato il boicottaggio di Hamas nel 2006, la Svizzera è stata tra i pochi a riconoscere il nuovo governo e a intrattenere un dialogo. La posizione del governo svizzero è stata molto intelligente. Di fronte al boicottaggio di Hamas da parte di americani e israeliani, al Qaeda e altri gruppi estremisti sono stati portati a pensare che seguire le vie democratiche per salire al potere non serve a nulla. Il risultato? Molti hanno proseguito nella lotta armata.

Israele: «Con questo accordo è stata superata la linea rossa», ha detto il ministro degli esteri Avigdor Lieberman. Secondo lui, è preoccupante il fatto che l’intesa preveda di liberare i rispettivi prigionieri politici, che ora «invaderanno la Cisgiordania».

Stati Uniti: l’accordo è stato accolto con scetticismo. La Casa Bianca continua a ritenere Hamas ««un’organizzazione terroristica che considera i civili un bersaglio».

Unione europea: il capo della diplomazia Catherine Ashton ha detto di seguire la situazione «con grande interesse».

ONU: l’inviato in Medio Oriente Robert Serry ha dichiarato che le Nazioni Unite «sostengono fortemente ogni sforzo che possa ricondurre alla riunificazione di Gaza alla Cisgiordania».

Due fazioni si contendono il controllo dei Territori Palestinesi: Fatah e Hamas.

Fatah è il movimento laico fondato nel 1959 da Yasser Arafat. Fino al 2006 è stata la maggior organizzazione palestinese. Il partito, che controlla la Cisgiordania, è guidato da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Per Israele si tratta dell’unico interlocutore affidabile del processo di pace.

Hamas è il movimento d’ispirazione islamica creato nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin. Elencato tra le organizzazioni terroristiche da diversi governi occidentali, si rifiuta tra l’altro di riconoscere lo Stato di Israele. Alle ultime elezioni (2006), ritenute regolari dagli osservatori, ha conquistato la maggioranza dei seggi in seno all’ANP. Ha in seguito preso il controllo della Striscia di Gaza.

Le tensioni tra Hamas e Fatah emerse dopo la morte di Arafat si sono intensificate dopo la vittoria elettorale del partito islamista.

Oltre a contendersi il potere, i due partiti divergono sulle precondizioni dell’apertura del dialogo con Israele.

Negli ultimi cinque anni si è assistito a una vera e propria guerra civile, soprattutto nella Striscia di Gaza. Nonostante i diversi cessate il fuoco e il tentativo negoziale del 2009, il conflitto ha lasciato sul terreno centinaia di morti.

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