La rivolta fa tremare il Cairo
Passata dalla Tunisia, la rivolta popolare si è allargata ora anche all’Egitto. Negli scorsi cinque giorni la rabbia della piazza è cresciuta e né il coprifuoco né il rombo dei caccia l’hanno placata. I quotidiani elvetici commentano, analizzano e si interrogano sugli ultimi avvenimenti della rivoluzione.
«Mubarak va condotto dinnanzi a un tribunale», titolano il Tages Anzeiger e il Bund. «Cocciutaggine fino alla rovina», gli fanno eco la Basler Zeitung, «Il regime egiziano in equilibrio», la Neue Zürcher Zeitung, «L’esercito, arbitro incerto», Le Temps.
La stampa svizzera segue e commenta con apprensione gli ultimi eventi della rivolta in Egitto. Si interroga soprattutto sui possibili sviluppi della collera dei manifestanti.
La piazza chiede da giorni all’uomo forte del paese di lasciare il potere. Per il momento, però, Hosni Mubarak è sordo alla richiesta dei manifestanti. E così la protesta continua, malgrado le centinaia di morti, le migliaia di vittime e il coprifuoco.
Le sorti dell’Egitto appese a una decisione
«L’Egitto sprofonda nella violenza e nel caos. Tutto dipende da una decisione: le dimissioni del presidente Hosni Mubarak. Soltanto quando il capo dello Stato se ne andrà, il paese potrà ritrovare la calma. Tuttavia il sovrano rimane aggrappato al potere affermando che non vuole lasciare l’Egitto nel caos», si legge su Tages Anzeiger e Bund.
Anche per la Basler Zeitung, Mubarak è disposto a difendere il potere con le unghie e con i denti. «Per Mubarak ogni mezzo è lecito. Aerei da guerra, elicotteri e carri armati sono le ultime bocche di fuoco utilizzate, dopo che i gas lacrimogeni e le pallottole di gomma non hanno sortito l’esito sperato».
Ma la sollevazione popolare non si è placata. «Il grido per fare crollare il presidente e il regime tuona ancora più forte», continua il quotidiano della città sul Reno.
Per Tages Anzeiger e Bund, Mubarak è un «cinico calcolatore». Spera, infatti, di riuscire ad impersonare ancora il traghettatore del paese, colui che «l’ha preservato dalla dissoluzione. Il suo calcolo è cristallino: se questa immagine farà breccia, l’esercito rimarrà al suo fianco e riporterà l’ordine con la forza, lui e il suo entourage potranno rimanere al potere».
L’esercito, l’ago della bilancia
E se non fosse così? «Al vecchio non importa. Se affonda, con lui porterà anche il suo paese e il suo popolo. […] Intanto la gente muore sotto il fuoco della polizia, saccheggia alberghi, negozi e appartamenti».
«Mubarak ha perso l’attimo di cedere il passo e di fare un favore al popolo», si legge ancora nei Tages Anzeiger e Bund. «Se l’esercito prenderà il potere, i generali dovranno chiedersi cos’è più importante per loro: lasciar scappare Mubarak o condurlo dinnanzi a un tribunale, lì dove dovrebbe essere da tempo?».
Anche Le Temps si interroga sul ruolo dell’esercito, ago della bilancia e «arbitro incerto». «Ora che i manifestanti hanno dimostrato la loro forza, costata un centinaio di morti, se la nomina di due vecchi generali alle cariche di primo ministro e vicepresidente risponderà alla loro aspirazione di cambiamento. […] L’esercito sarà chiamato a sacrificare Mubarak per salvaguardare il sistema di cui lui è il nuovo garante».
Ma l’esercito deve guardarsi anche di un altro pericolo: i fondamentalisti islamici. stando all’analisi dell’editorialista del Corriere del Ticino. «Ad avvantaggiarsi della fase si instabilità potrebbero essere le formazioni radicali islamiche, come i Fratelli musulmani. Un copione che rasenterebbe da vicino quello iraniano di trentatré anni fa».
Egitto, l’importante alleato degli Stati uniti
Il Corriere del Ticino volge inoltre lo sguardo sull’Egitto nel tentativo di prevedere quali saranno le conseguenze sul piano geopolitico causate dall’uscita di scena di Hosni Mubarak per gli Stati uniti.
Nel suo commento, l’articolista ripercorre le tappe di un rapporto d’amicizia tra Washington e il Cairo. «L’Egitto è stato a fianco degli Usa su temi decisivi e strategici: il processo di pace israeliano-palestinese, l’opposizione all’Iran, la lotta ai terroristi di al Qaida, le pressioni su Hamas affinché assumesse, all’interno dell’Autorità palestinese, posizioni ragionevoli e costruttive».
E così – continua il foglio ticinese – «la rivolta egiziana pone Washington su un piano inclinato e lo mette di fronte a un dilemma fondamentale, racchiuso in un margine ristretto: difesa dei principi democratici o perdita di un alleato affidabile com’è l’Egitto. Se appoggia lo stesso Mubarak, Washington contraddice il suo impegno a far sventolare la bandiera dei diritti universali dell’uomo; se, d’altra parte, l’abbandona del tutto, la conseguenza è un vero e proprio salto nel buio».
Intanto, Mubarak ha ceduto alle pressioni internazionali e statunitensi nel tentativo di riportare una certa stabilità: ha designato Omar Suleiman come vicepresidente. La Neue Zürcher Zeitung traccia quindi un ritratto dell’«eminenza grigia del Cairo». Nato nel 1935, non è soltanto membro della generazione di Mubarak, ma anche, oltre a capo dei servizi segreti, un collaboratore molto vicino al capo di Stato.
Anche La Tribune de Genève e il 24Heures focalizzano la loro attenzione sui mutati equilibri nella regione. I due quotidiani romandi rivelano che Washington non ha ancora piantato in asso apertamente il presidente Mubarak, poiché «un Egitto senza il suo presidente autocrate non può che inquietare il governo Obama che si appoggia su di lui per il conflitto israelo-palestinese e ha fornito al Cairo un aiuto militare di 1,3 miliardi di dollari nel 2010».
17 gennaio: scocca la prima scintilla della rivolta. Al Cairo un uomo si dà fuoco, sulla scia di quanto accaduto in Tunisia e il movimento d’opposizione 6 aprile indice la giornata della collera.
25 gennaio: “giornata della collera”. Migliaia di manifestanti scendono in piazza al Cairo, a Suez e Alessandria per chiedere la fine del regime e condizioni di vita migliori. Le proteste degenerano in violenti scontri. Quattro i morti.
27 gennaio: la rivolta dilaga in tutto l’Egitto. Rientra in patria l’ex direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica e premio Nobel per la pace, Mohammed el Baradei, leader di uno dei movimenti di opposizione.
28 gennaio: seconda “giornata della collera” per il venerdì di preghiera: cortei anti-Mubarak. Al Cairo i manifestanti appiccano il fuoco al quartier generale del partito governativo, danno l’assalto ad alcuni ministeri, e alla sede della tv di Stato. A Suez gli insorti si impadroniscono del governatorato.
Il presidente Hosni Mubarak chiede l’intervento dell’esercito e proclama il coprifuoco dalle 18.00 alle 7.00 del mattino.
29 gennaio: la protesta non si ferma, mentre è varato un nuovo governo. Mubarak nomina come vice Omar Suleiman, potentissimo fedele capo dei servizi segreti. La manovra scontenta i manifestanti e tutta l’opposizione.
30 gennaio: per il terzo giorno consecutivo i manifestanti sfidano il coprifuoco. In piazza Tahrir al Cairo, diventata simbolo della protesta, si presenta Mohamed El Baradei, che annuncia di aver ricevuto il mandato dalle opposizioni di avviare un governo di salute pubblica. Con i manifestanti ci sono anche religiosi di Al Azhar, centro sunnita prestigioso e soprattutto molto vicino al governo.
31 gennaio: è lanciato un appello a uno sciopero generale.
Le attuali precarie condizioni di sicurezza hanno indotto Berna a consigliare ai cittadini svizzeri di non recarsi in Egitto e coloro che vi abitano a lasciarlo temporaneamente.
I cittadini elvetici residenti in Egitto che partono sono invitati ad annunciarsi all’ambasciata svizzera al Cairo. La missione diplomatica aiuterà coloro che volessero abbandonare il Paese, ha precisato all’agenzia di stampa Ats il portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) Georg Farago.
I turisti svizzeri in Egitto sono invece esortati a rivolgersi al proprio operatore di viaggio o alle compagnie aeree per informazioni sui voli.
Secondo i dati diffusi il 30 gennaio 2011 dal DFAE, in Egitto vivono 1’574 cittadini elvetici, registrati all’ambasciata svizzera al Cairo.
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