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La Serbia fa sentire la sua voce sul Kosovo

Micheline Calmy-Rey non modificherà le dichiarazioni rilasciate in Kosovo ad inizio agosto Keystone

Belgrado ha convocato l'incaricato d'affari elvetico in Serbia e Montenegro per protestare contro le dichiarazioni svizzere sul futuro status del Kosovo.

Ciò nonostante, il ministero degli esteri non è intenzionato a cambiare atteggiamento. Continuerà a pronunciarsi in favore di un’indipendenza formale del Kosovo.

La crisi diplomatica tra la Serbia e Montenegro e la Svizzera – l’ennesima sulla questione – è scoppiata in seguito alle dichiarazioni che la ministra degli esteri elvetica, Micheline Calmy-Rey, ha rilasciato nel corso del suo recente viaggio in Kosovo.

Durante il finesettimana, Micheline Calmy-Rey ha reiterato l’appello volto ad ottenere una forma d’indipendenza formale per il Kosovo.

La provincia serba a maggioranza albanese, pur facendo ufficialmente parte della Serbia e Montenegro, attualmente è sotto controllo dell’Onu e della Nato, una situazione che si protrae dal 1999, anno in cui ci furono episodi di pulizia etnica e aggressione nei confronti degli albanesi.

Mercoledì, le autorità serbe hanno una volta di più sottolineato la loro posizione, affermando che le dichiarazioni della responsabile della diplomazia elvetica «sono contrarie alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu e anticipano la definizione dello statuto finale del Kosovo, prima ancora che la comunità internazionale abbia avviato colloqui in merito».

swissinfo ha parlato di questo scontro con Roberto Balzaretti, diplomatico e consigliere della ministra degli esteri elvetica.

swissinfo: È sorpreso che la posizione di Micheline Calmy-Rey sul Kosovo sia sfociata in una disputa diplomatica con Belgrado?

Roberto Balzaretti: Non direi che sono sorpreso. Ciò che è sorprendente è che la posizione svizzera venga criticata ora in questo modo.

Le dichiarazioni di Micheline Calmy-Rey sono esattamente le stesse fatte due mesi fa durante la sua visita a Belgrado e corrispondono alla presa di posizione del nostro ambasciatore all’Onu nel corso di una sessione speciale del Consiglio di sicurezza che si è tenuta in maggio. La nostra posizione è la stessa da mesi.

swissinfo: Ritiene che le dichiarazioni di Micheline Calmy-Rey siano state mal interpretate o estrapolate dal loro contesto?

R.B.: Non so se siano state interpretate male, questo bisognerebbe domandarlo alle autorità di Belgrado. Posso immaginare – e questo è comprensibile – che poiché i negoziati sullo status del Kosovo cominceranno presto, tutte le parti in causa hanno interesse a riaffermare in modo chiaro la loro posizione. Questo potrebbe spiegare la reazione di Belgrado.

Certo, tutto sarebbe più facile se fossimo sulla stessa lunghezza d’onda. Questo non è sempre possibile e in fondo è per questo che esistono le rappresentanze diplomatiche. Noi abbiamo la nostra a Belgrado e i serbi hanno la loro a Berna. L’importante è che ci si continui a parlare.

swissinfo: Belgrado però insiste sul fatto che la Svizzera sta violando la risoluzione Onu 1244 e che sta prendendo posizione su delle trattative che non sono ancora cominciate…

R.B.: Ma noi non stiamo definendo lo statuto del Kosovo. Quello che stiamo dicendo è che ci piacerebbe vedere i diritti delle minoranze pienamente rispettati in Kosovo e questo vuole dire anche i diritti della minoranza serba.

In secondo luogo vorremmo che le parti cominciassero a dialogare per stabilire un nuovo statuto. Terzo punto: pensiamo che ritornare alla situazione precedente al 1999 non sia possibile, di conseguenza la soluzione è solo in una forma d’indipendenza per il Kosovo.

Quale? È una questione che le parti in causa devono risolvere da sole. Non c’è niente nella nostra posizione che violi la risoluzione 1244.

swissinfo: Nemmeno un po’ d’imbarazzo diplomatico per la Svizzera?

R.B.: Ci dispiace per quanto successo. Ma non siamo noi i mediatori ufficiali. È un ruolo ricoperto dall’Unione europea. Cerchiamo solo di facilitare il dialogo. Siamo dell’opinione che sia giunto il momento di dire che continuare a lavorare sul Kosovo senza prendere in considerazione lo statuto della provincia è controproducente.

Pensiamo che se le parti si facessero un’idea sullo statuto della provincia, probabilmente ciò le aiuterebbe a trovare delle soluzioni. Apparentemente, Belgrado non la pensa allo stesso modo. Ma noi siamo convinti che le parti in causa debbano avere un obiettivo se vogliono che il dialogo parta per davvero e sia coronato da successo.

La nostra posizione non cambierà. Tuttavia voglio sottolineare che non spetta alla Svizzera decidere del futuro della Serbia e Montenegro e del Kosovo. Spetta a loro, con l’aiuto della comunità internazionale.

Intervista swissinfo, Ramsey Zarifeh
(adattamento, Doris Lucini)

Il Kosovo, formalmente provincia del sud della Serbia (risoluzione Onu 1244), è sotto l’amministrazione delle Nazioni uniti dalla fine della guerra (1998-1999) che ha opposto le forze serbe e i separatisti albanesi.

La maggioranza albanese del Kosovo reclama l’indipendenza. Belgrado respinge categoricamente questa ipotesi e propone, dal canto suo, un’ampia autonomia per la provincia.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso, lo scorso maggio, di studiare il modo in cui il governo albanese del Kosovo garantisce gli standard democratici internazionali, standard che sono la conditio sine qua no per l’inizio dei negoziati sullo statuto finale della provincia.

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