La Svizzera coopera, ma chiede più peso
Strategie e strumenti per salvaguardare gli interessi della piazza finanziaria ed economica elvetica di fronte alle pressioni internazionali, sono stati al centro dei lavori di una seduta speciale del governo elvetico. L'esecutivo non si scosta dalla linea difensiva.
Nessuna misura sensazionale: dopo le decisioni del G20 che hanno portato all’inserimento della Svizzera sulla lista grigia dei paradisi fiscali, Berna mantiene la rotta seguita finora e ribadisce la sua volontà di collaborazione internazionale. Ma rivendica anche il diritto di essere più strettamente associata ai lavori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e del G20.
Il governo vuole evitare di ritrovarsi davanti al fatto compiuto come nel caso delle liste nera, grigia e bianca dei paradisi fiscali stilata dall’OCSE. “Non lo accetteremo più”, ha rilevato oggi il presidente della Confederazione e ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz, in una conferenza stampa al termine della seduta di clausura.
Dall’esecutivo non arriva neppure alcun segnale di autocritica. Il Consiglio federale resta convinto di avere “agito al momento opportuno, in modo adeguato, mantenendo il senso della misura”, ha dichiarato il tesoriere della Confederazione, respingendo le critiche.
L’obiettivo immediato di Berna è di partecipare rapidamente, possibilmente con l’aiuto di paesi partner, alla definizione dei criteri alla base delle liste approvate dal G20. In proposito ci sono ancora in questione diversi aspetti. In particolare chi fissa i criteri e cosa s’intende con “paradiso fiscale” e “Stato non cooperativo”, ha osservato Merz, reclamando l’introduzione di elementi “qualitativi”.
Il blocco di 200mila franchi destinati al segretariato dell’OCSE – rivelato ieri – rappresenta un semplice mezzo per attirare l’attenzione e farsi ascoltare, non è affatto l’inizio di una politica di rottura. Il Consiglio federale resta convinto che la collaborazione con la comunità internazionale sia la via giusta per evitare l’isolamento, ha puntualizzato il presidente della Confederazione.
Dalle parole ai fatti
Dichiarazioni di buona volontà che il governo accompagna con fatti concreti, chiedendo al parlamento di aprire una linea di credito per un massimo di 10 miliardi di dollari in favore del Fondo monetario internazionale (FMI).
È nell’interesse della Svizzera fare in modo che la crisi finanziaria ed economia sia superata in tempi brevi. Il sistema finanziario internazionale va quindi stabilizzato e rafforzato in modo duraturo, ha spiegato il ministro delle finanze.
Merz si è anche rallegrato che la Svizzera in futuro avrà un secondo seggio nel Financial Stability Board (l’ex Financial Stability Forum), organo che si impegna a favore della stabilità finanziaria internazionale.
Al seggio che la Svizzera disponeva già siede il presidente della Banca nazionale svizzera Jean-Pierre Roth. Il secondo sarà affidato al direttore dell’Amministrazione federale delle finanze Peter Siegenthaler.
L’ultima parola al popolo
Fra gli impegni assunti che la Svizzera dovrà onorare in tempi brevi spicca la revisione delle convenzioni di doppia imposizione (CDI). La recente decisione di abolire la distinzione tra frode ed evasione fiscale per i clienti delle banche svizzere domiciliati all’estero comporta un cambiamento radicale. Il governo ritiene perciò che giustificato sottoporre a referendum facoltativo la prima CDI rinegoziata.
Le altre lo saranno soltanto se il loro contenuto differirà in modo fondamentale da quello della prima. La decisione di sottoporle o meno a referendum facoltativo spetterà al parlamento, come da prassi.
Teoricamente la prima CDI rinegoziata potrebbe essere quella con il Giappone, poiché le trattative con Tokyo sono praticamente in dirittura d’arrivo. Ma Merz non esclude che il Giappone possa temporeggiare per evitare di essere al centro di questo esercizio di democrazia diretta.
Merz si toglie un sassolino dalla scarpa
Il presidente della Confederazione ha confermato che i negoziati con gli Stati Uniti inizieranno a Berna il 28 aprile. Qui la situazione è complessa. Sul tavolo ci sono varie pratiche. In particolare il dossier relativo all’UBS. Per agevolare le trattative, il governo ha affidato all’ambasciatore svizzero a Washington Urs Ziswiler l’incarico di “coordinatore” per le questioni giuridico-finanziarie fra i due Paesi.
Circa l’Unione europea (UE), il Consiglio federale spera di rinegoziare le CDI con tutti gli Stati membri. La Polonia dovrebbe essere la prima. Una cosa è comunque certa: l’esecutivo elvetico non vuole disdire l’accordo bilaterale sulla tassazione del risparmio con l’UE.
Merz ha peraltro fatto capire di non avere ancora ingoiato il rospo dei virulenti attacchi del ministro tedesco delle finanze Peer Steinbrück contro la Svizzera. Alla domanda se Berlino non è in testa all’agenda negoziale di Berna, ha risposto: “Credo che la Germania si sia annunciata, ma non ho ancora risposto”, aggiungendo che per negoziare occorre avere il giusto tono.
swissinfo con le agenzie e un articolo di Etienne Strebel
La decisione governativa di sottoporre a referendum facoltativo solo la prima convenzione di doppia imposizione (CDI) che sarà rinegoziata provoca malumori.
L’Unione democratica di centro esige la possibilità di un referendum per ogni accordo rinegoziato e annuncia che lancerebbe “in ogni caso” il referendum in occasione della prima revisione della CDI se questa autorizzasse uno scambio automatico d’informazioni.
Anche il Partito popolare democratico non vuol sentir parlare di automatismi e minaccia il referendum se fosse previsto uno scambio d’informazioni senza che vi siano sospetti fondati.
Sul fronte socialista, la deputata Susanne Leutenegger ha osservato che è “poco furbo” sottoporre a referendum facoltativo solo la prima CDI, poiché potrebbe essere quella con il Giappone, ossia un paese con cui la Svizzera ha legami economici ristretti.
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