La Tunisia sull’orlo della rottura
I disordini in Tunisia non accennano a placarsi. Nella notte su mercoledì è stata presa di mira anche l'ambasciata tunisina a Berna. Per calmare le acque, il presidente Ben Ali ha ordinato mercoledì il rilascio delle persone arrestate e ha nominato un nuovo ministro dell'interno.
Poco dopo la mezzanotte ignoti hanno lanciato oggetti incendiari contro la rappresentanza diplomatica tunisina a Berna. Il fuoco non è però divampato e i danni sono stati limitati, ha indicato la polizia.
Il gesto è stato condannato con fermezza dal Comitato di sostegno al popolo tunisino (CSPT) in Svizzera, che ha esortato la polizia a fare piena luce sulla vicenda. Interpellato dall’Agenzia telegrafica svizzera, il coordinatore del CSPT, Anouar Gharbi, ha dichiarato di nutrire dubbi su quanto accaduto. «È nell’interesse del regime del presidente Ben Ali di sviare l’attenzione da quanto succede in Tunisia e di rompere lo slancio di solidarietà creatosi in Svizzera verso il popolo tunisino», ha affermato Gharbi, rilevando le forti similitudini tra questo attacco e quello al consolato di Tunisia a Pantin, nei pressi di Parigi, dove domenica era avvenuta una debole esplosione.
Per il politologo e specialista del Maghred Ahmed Benani è anche plausibile che l’atto sia stato compiuto da maghrebini. «È solo un’ipotesi, ma bisogna sapere che l’appoggio – o il silenzio – di certi paesi occidentali nei confronti del regime di Ben Ali suscita la collera di molti maghrebini che vivono in Europa», ha dichiarato ai microfoni della Radio della Svizzera romanda.
Reazioni europee poco decise
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha dal canto suo reagito per la prima volta mercoledì a quanto sta accadendo in Tunisia e in Algeria, esprimendo la sua preoccupazione e presentando le condoglianze alle famiglie delle vittime. Berna ha inoltre lanciato un appello al dialogo e al rispetto dei diritti umani, «che includono anche la libertà d’opinione e di riunione».
Una reazione, quella di Berna, sicuramente poco decisa, che fa però il paio con quella di molti altri paesi europei. La Francia, ad esempio, ha detto di deplorare le violenze e ha insistito sulla necessità del dialogo, unica via «per superare i problemi economici del paese». L’Unione Europea è andata un po’ più in là, condannando l’uso «sproporzionato» della forza da parte della polizia.
«L’Unione Europea ha interesse ad avere una solida collaborazione con i paesi del Maghreb, per controllare fenomeni come il terrorismo o l’immigrazione illegale. Per questa ragione, Stati come la Francia, la Spagna o l’Italia non hanno condannato in modo chiaro quanto avvenuto in Tunisia e Algeria», ha spiegato ai microfoni della Radio della Svizzera italiana (RSI) l’esperto di relazioni internazionali Ivan Ureta.
Quale ruolo avrà l’esercito?
In Tunisia, intanto, le violenze non accennano a placarsi. Tra 20 e 50 persone (a seconda delle fonti) hanno perso la vita negli ultimi giorni. Mercoledì, il presidente Ben Ali ha ordinato il rilascio di tutte le persone arrestate e ha nominato un nuovo ministro dell’interno.
Non è detto però che questi provvedimenti calmino le acque. La promessa fatta qualche giorno fa di creare 300’000 nuovi posti di lavoro entro il 2012, ad esempio, non è servita a nulla.
«Ben Ali ormai non ha più credito. […] Non c’è più collante. La promessa di 300’000 posti di lavoro non sembra aver fatto presa sui giovani, perché non si tratta soltanto di impieghi. Questi giovani, proprio per il grande sviluppo dell’educazione portato avanti da Bourguiba prima e da Ben Alì poi, vogliono più libertà, più possibilità di esprimersi. Non credo che si possa tornare indietro dopo una presa di coscienza di questo genere e soprattutto dopo i morti», ha analizzato la giornalista Antonella Tarquini, esperta del Maghreb, intervistata dalla RSI.
Un’opinione condivisa anche da Ahmed Benani, secondo cui è ormai stato raggiunto un punto di rottura: «L’unica soluzione possibile per Ben Ali è di uscire di scena. Attraverso una sorta di colpo di Stato chirurgico, come aveva lui stesso fatto con Bourguiba, il suo predecessore».
L’esercito, dispiegato negli ultimi giorni in alcune località e che mercoledì è stato mobilitato anche a Tunisi, potrebbe svolgere un ruolo decisivo. Finora le forze armate non hanno preso posizione e la repressione è stata condotta principalmente dalla polizia. «A Kasserine [una delle località al centro della rivolta, ndr] le forze di polizia sono state rimpiazzate dall’esercito, che è stato accolto favorevolmente dalla popolazione. Ciò è molto significativo», ha spiegato il blogger e giornalista tunisino Ziad El Heni. Ahmed Benani ha dal canto suo, ha indicato che i manifestanti si «rifugiano dietro ai carri dell’esercito per proteggersi dai proiettili della polizia».
Violenze sono scoppiate in questi giorni anche in Algeria, uno dei principali paesi produttori di gas naturale e di petrolio.
Le proteste sono iniziate qualche giorno dopo Capodanno, in seguito agli aumenti di prezzo di alcuni generi alimentari come farina, olio e zucchero decretati dal governo. A creare il malcontento popolare è anche la mancanza di appartamenti, la corruzione di cui è accusata la classe dirigente e le inefficienze della politica economica. Nelle sommosse sono morte cinque persone e centinaia sono rimaste ferite. Le forze dell’ordine hanno proceduto a più di mille arresti.
Per cercare di calmare le acque, l’8 gennaio il governo ha fatto marcia indietro sospendendo fino al 31 agosto le imposte su olio e zucchero. La misura ha in parte prodotto gli effetti sperati, anche se scontri sono tuttora segnalati in Cabilia.
Da notare che altri paesi arabi sono corsi al riparo per evitare esplosioni di malcontento popolare. In Giordania il governo si appresta a varare provvedimenti per attenuare l’impatto della crescita dei prezzi dei prodotti di base, mentre l’aumento delle tariffe dei mezzi pubblici è stato congelato. La Libia ha dal canto suo abolito tutte le tasse sui prodotti alimentari importati.
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