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Libia, una vera falsa liberazione d’ostaggi

Ritorno all'ambasciata, ma non liberazione Reuters

Diversi media internazionali hanno parlato di «liberazione» dei due svizzeri bloccati in Libia da più di un anno. I due sono tornati lunedì all'ambasciata svizzera di Tripoli. Rassegna stampa con il ricercatore ginevrino Hasni Abidi.

«La Libia libera i suoi due ostaggi svizzeri», titolava Le Figaro. «Tripoli rilascia i due svizzeri rapiti nel 2008», assicurava dal canto suo Libération. Stessa linea per la BBC, che assicura: la Libia ha rilasciato i due uomini d’affari svizzeri. E andando a guardare la stampa in lingua araba, il tono non cambia.

Anche Amnesty International, che era intervenuta in favore dei due uomini, ha messo nel titolo del suo comunicato il titolo «liberazione dei due svizzeri».

Eppure, i due sono ancora in Libia e viene negata loro l’autorizzazione a lasciare il paese. Tripoli ha preso questa decisione nel luglio del 2008, poco dopo l’arresto a Ginevra di Hannibal, uno dei figli del leader libico Gheddafi.

Hasni Abidi, direttore del Centro studi sul mondo arabo e mediterraneo di Ginevra, ha accettato di parlare con swissinfo.ch della dimensione mediatica del conflitto che oppone Svizzera e Libia.

swissinfo.ch: In che modo i media, soprattutto quelli radicati nel mondo arabo-musulmano, hanno dato la notizia?

Hasni Abidi: La crisi tra la Svizzera e la Libia non è stata molto mediatizzata dalla stampa araba. La situazione è cambiata il 22 ottobre, quando Berna ha cominciato ad utilizzare toni più duri, per poi evolvere in modo deciso il 9 novembre.

L’edizione magrebina del telegiornale di Al Jazeera ha consacrato un servizio alla «liberazione» degli svizzeri. Anche Achark al Awsat, il più grande quotidiano panarabo, ha dato spazio alla liberazione dei due ostaggi. Piuttosto a favore della Libia, questi contributi lasciano intendere che Tripoli ha compiuto un gesto pieno d’umanità.

Un articolo assicura assicura che i due uomini erano stati nascosti per evitare l’intervento di un commando armato svizzero [teoria evocata anche sui media elvetici e mai confermata, ndr.].

Con il rapimento dei due svizzeri [avvenuto a fine settembre, ndr.], Berna si è potuta avvalere di un argomento di carattere umanitario che ha trovato la sua eco nella stampa araba. Il ritorno dei due uomini all’ambasciata [dove erano stati posti in residenza sorvegliata prima del rapimento, ndr.] è una buona notizia. Ma probabilmente sarà la Libia a trarne profitto.

swissinfo.ch: Il modo in cui i media hanno trattato la questione ha quindi avvantaggiato la Libia?

H. A.: Sì. Dopo la scomparsa dei due svizzeri, Berna ha atteso tre settimana prima di parlare pubblicamente di rapimento e di dare tacitamente luce verde all’intervento della comunità internazionale e della società civile.

A questo punto, in Libia hanno esaminato la situazione e si sono resi conto che nascondere i due uomini era controproducente.

swissinfo.ch: Significa che il sostegno internazionale alla Svizzera rischia di venir meno solo perché i suoi due cittadini non sono più scomparsi, ma soltanto «trattenuti» in Libia?

H. A.: Mi ha stupito molto constatare che per la stampa araba, ma anche occidentale, il problema è praticamente risolto. Il modo in cui è stata trattata questa crisi mostra che sui media internazionali la dimensione umanitaria ha un impatto molto più forte di quella politica (ovvero il tribunale arbitrale, l’accordo tra i due stati, le scuse, ecc.).

Si può dunque temere che la mobilitazione internazionale si esaurisca rapidamente.

La Svizzera dovrebbe mantenere alta la pressione, ripetendo che la questione non è ancora risolta. Dal canto suo, la società civile, potrebbe impegnarsi nel ribadire che il dramma dei due uomini continua e che le loro famiglie attendono ancora il loro rientro in Svizzera.

swissinfo.ch: Le autorità svizzere hanno prestato sufficiente attenzione a questa dimensione mediatica che la Libia sembra gestire con tanta abilità?

H. A.: Bisogna riconoscere che la Libia, abituata a questo genere di crisi, sa meglio degli altri come servirsi dei media. È un aspetto molto importante, che può anche diventare una carta da giocare nel corso delle negoziazioni.

La Svizzera sembra scoprire solo ora l’utilità dei media in questi frangenti, poiché storicamente la sua diplomazia si basa sulla discrezione. La diplomazia svizzera deve integrare al più presto questo nuovo dato – la dimensione pubblica di un problema – e utilizzare consapevolmente i media per difendere gli interessi del paese.

Frédéric Burnand, Ginevra, swissinfo.ch
(traduzione dal francese, Doris Lucini)

I due svizzeri non sono stati maltrattati. Lo ha dichiarato ai media la ministra degli affari esteri Micheline Calmy-Rey, che ha potuto parlare con gli ostaggi. I due sono in buona salute.

Secondo Calmy-Rey, la Svizzera non ha fatto concessioni. La ministra ha aggiunto che è impossibile prevedere quale piega prenderà ora la faccenda.

Sal canto suo, la sezione svizzera di Amnesty International (AI) ha salutato il ritorno all’ambasciata svizzera dei due ostaggi. L’organizzazione invita Tripoli ha concedere ai due libertà di movimento, così che possano tornare in Svizzera.

Nei giorni scorsi, AI aveva inviato una lettera alle autorità libiche. Al momento non c’è ancora una risposta ed è difficile dire se questo intervento ha contribuito in qualche modo al ritorno degli ostaggi all’ambasciata.

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