«Non ci fermeremo a lungo»
Originario della Valle Maggia, Leonardo Pozzi emigra verso l'Australia nel maggio del 1855. Come tanti altri giovani, intraprende il viaggio con la speranza di trovare l'oro e tornare a casa da uomo ricco.
Leonardo Pozzi spedisce la prima di una lunga serie di lettere dal porto di Amburgo, in Germania, poco prima di imbarcarsi per Melbourne.
Giunto a destinazione dopo quasi quattro mesi trascorsi in mare invia una seconda lettera alla moglie (vedi Altri Sviluppi), in cui descrive i trattamenti «barbari» subiti sul bastimento. Nella sezione “Una nuova patria” riportiamo un terzo esempio dell’epistolario di Pozzi che racconta, 50 anni più tardi, la vita in Australia e Nuova Zelanda.
Le lettere di Leonardo Pozzi sono raccolte nel libro di Giorgio Cheda “L’emigrazione ticinese in Australia” (Armando Dadò Editore, 1979).
Amburgo, il 29 maggio 1855
Amata mia cara madre!
Partito da Giumaglio il 19 corrente, arrivati qui ieri alle quattro pomeridiane; da mia parte e da parte di oneste persone, possiamo ringraziare Iddio ed il nostro conduttore perché ben trattati fin qui. Si è inteso delle lamentazioni per due volte che si è dovuto dormire sopra un semplice materazzo, in terra per mancanza di letti, perché non puossi avere dappertutto la comodità di ben alloggiare 155 persone e ciò dico solo due notti, ma come il caldo impediva di tener le lenzuola per copertarsi, quindi non è cosa da lamentarsi, non potranno poi dire che dovevano andare a dormire con fame, perché il conduttore ci diceva, se alcuno non piacesse tal vivere o che non ve ne sia abbastanza devono domandare con tutta libertà e non voglio che si levano da tavola senza esser contenti.
Con ciò se alcuno si lamenta è di propria colpa se non ha domandato ciò che voleva. Quanto a me vorrei augurare ad ogni onesta persona di finire i suoi giorni come li abbiamo passati noi in questo viaggio. Oltre quello che si mangiava a tavola ognuno aveva empito le tasche di pane, da mangiare nelle vetture.
I nostri di Giumaglio sono anch’essi contenti come tutti in generale, e delle prigioni per essi non ve ne sono né in Svizzera né in Alemagna, le balle del Curato Neuroni e dei Piezzi non hanno valuto niente.
Quella pezza grossa d’oro, io credevo ch’era una pezza di 100 fr. e l’ho data al Müller solo per 4 marenghi. Io avrò un secondo posto [seconda classe, ndr] nel bastimento. Il bastimento non è dei più grandi ma in pieno ordine noi saremo circa 160 o 170 persone.
Ho avuto il tempo di vedere Amburgo, ed uno dei padroni mi ha condotto per tutta la città nella quale vi trovano delle delizie e rarità, i costumi sono pressa poco come in Svizzera, c’è un grande porto di circa 100 bastimenti e vari battelli a vapore, la città è di circa cento mila abitanti.
Il cugino Musci è assai contento fin qui, e dice che egli non può dir altro che fu trattato non come si diceva ma ben di più, infine come inglesi. Lo stesso è del piccolo bestiame che ha insieme. Ognuno saluta caramente i suoi di casa. Il detto piccolo ha una guancia gonfia, ciò credo sia effetto d’aria.
Domani entriamo nel bastimento. Il console Svizzero è già venuto a spiegarci il regolamento, e quest’oggi alle quattro dopo mezzogiorno verrà la polizia del Governo per visitare il tutto. Io sto assai bene e come l’Alessandro conosce colà meglio di noi e forse più giudizioso e quindi quello che farà sarà ritenuto buono.
Leggerete la presente agli altri di Giumaglio, cioè ai tre Senatori e a Michele Bonetti, meno quello che ci riguarda in particolare. Dio vi conservi e vi protegga con la sua onnipotenza, prima di entrare nel bastimento ci rivolgeremo a Lui, giacché egli che ci sostiene in ambedue i mondi. Con la mia piena fiducia di ritornarsi dall’Australia e di potersi abbracciare, e forse con mia freddezza perché vi ho disgustato in questi tempi passati, e ne sono persuaso che mi avrete perdonato colla vostra tenera bontà, e nuovamente vi domando scusa e perdono in ciò che ho fallato.
Addio addio cercate di conservarvi in buona salute, e pel resto per tutti alla volontà di Dio. Non ci fermeremo a lungo in Australia. Salutandovi tutti di casa, parenti e amici e distintamente voi oh cara madre, credetemi vostro caro figlio.
Leonardo
Gran parte del flusso migratorio italiano nel corso dell’Ottocento transitò dal porto di Genova. Nel periodo tra il 1833 e il 1852 gli imbarchi per le Americhe furono alcune decine di migliaia.
Oltre agli artigiani e ai piccoli commercianti, ad alimentare il flusso erano avventurieri, perseguitati politici e marittimi in cerca di fortuna nel nuovo mondo. L’emigrante più celebre fu Giuseppe Garibaldi, il cui nome compare negli anni ’30 nelle liste di imbarco per l’Argentina.
Il transito s’intensificò nella seconda metà del secolo, quando il trasporto di emigranti diventò una lucrosa attività commerciale per le società di navigazione. Dal 1861 al 1874 l’emigrazione ufficialmente transitata per Genova raggiunse quasi le 200’000 unità.
Gli emigranti partiti dal porto ligure nel periodo compreso tra il 1876 al 1901 furono in totale quasi due milioni (il 61% degli espatri nazionali).
All’inizio del Novecento, Genova iniziò a condividere gradatamente il primato delle partenze con Napoli, e in misura minore Palermo.
(fonte: Centro Internazione Studi Emigrazione Italiana)
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