Obama: una politica estera più cooperativa
L'elezione di Barack Obama non rivoluzionerà prevedibilmente la politica estera degli Stati uniti. Il suo arrivo alla Casa Bianca dovrebbe tuttavia migliorare perlomeno la cooperazione con le organizzazioni internazionali e rafforzare la via delle trattative multilaterali.
“Mentre sulle questioni interne emergono spesso grandi divergenze, la politica estera degli Stati uniti suscita generalmente molti consensi tra democratici e repubblicani”, dichiara David Sylvan, docente di relazioni internazionali all’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo (IHEID) di Ginevra.
Ad esempio, anche numerosi rappresentanti del Partito democratico, tra cui anche il futuro vicepresidente Joe Biden, avevano sostenuto, almeno inizialmente, l’occupazione dell’Iraq da parte delle truppe americane.
“Questa tendenza al consenso si ritrova inoltre sulla questione delle spese militari. Durante la campagna elettorale, sia Barack Obama che John McCain si sono detti favorevoli ad un aumento di 90’000 soldati degli effettivi dell’esercito americano e ad rafforzamento della presenza militare in Afghanistan”, aggiunge David Sylvan.
Svolta già iniziata
Negli ultimi mesi, Obama ha affermato a più riprese di preferire i negoziati al confronto con l’Iran. “Questa svolta è già stata però avviata dall’attuale presidente. Secondo alcune voci che circolano a Washington, una delegazione diplomatica americana dovrebbe recarsi prossimamente a Teheran”, rileva l’esperto di relazioni internazionali.
“L’amministrazione Bush ha inoltre già imboccato la via dei negoziati con la Corea del nord e sembra voler aprire un dialogo anche con i talebani in Afghanistan. In altre parole, l’ideologia neoconservatrice seguita dal presidente americano dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 stanno lasciando il posto ad un approccio più pragmatico”.
Secondo Sylvan, Obama si appresta più che altro a confermare questa svolta, destinata a porre fine alla strategia unilaterale che ha segnato la politica estera degli Stati uniti sotto la direzione di Georges W. Bush.
Speranze per l’ONU
A detta di Daniel Warner, pure professore all’IHEID, si aprono così nuove prospettive per le organizzazioni internazionali e le trattative multilaterali. “Ci aspettiamo un cambiamento di clima a livello diplomatico e un’attitudine più cooperativa nei confronti delle organizzazioni internazionali”.
Una speranza condivisa dagli ambienti diplomatici svizzeri, come conferma Bénédict de Tscharner, ex-ambasciatore e attento osservatore della politica americana: “Sia a Berna che a Ginevra i diplomatici svizzeri sono ottimisti e prevedono una presenza più attiva degli Stati uniti in seno alle organizzazioni internazionali”.
Per David Sylvan, l’atteggiamento seguito dall’amministrazione americana nei confronti dell’ONU aveva non da ultimo finalità tattiche: “La diffidenza e l’insofferenza manifestata da Washington nei confronti dell’ONU aveva tra l’altro lo scopo di mettere sotto pressione questo organismo, per strappare delle concessioni”.
Impegno per i diritti umani
Rispetto all’era Bush, vi sono inoltre da attendere alcuni cambiamenti concreti con l’arrivo di Barack Obama alla presidenza. “Il nuovo numero uno della Casa Bianca chiuderà quasi sicuramente le prigioni di Guantanamo e rivedrà alcune misure straordinarie adottate nella lotta al terrorismo”, prevede David Sylvan.
Un cambiamento è prevedibile anche per quanto concerne l’atteggiamento delle autorità americane nei confronti del Consiglio dei diritti umani, snobbato dagli Stati uniti dalla sua creazione nel 2006. “Sono convinto che prima o dopo decideranno di aderire a questo organismo o, perlomeno, di migliorare la cooperazione”, afferma l’esperto.
Sylvan si dice meno ottimista per quanto concerne una futura cooperazione degli Stati uniti con la Corte penale internazionale. L’amministrazione Bush si è rifiutata di aderire a questa istanza per evitare che dei membri dell’esercito americano vengano eventualmente processati da un tribunale internazionale.
“Già l’amministrazione Clinton era piuttosto scettica nei confronti della CPI, alla stessa stregua dei rappresentanti democratici e repubblicani al Congresso”, ricorda Sylvan.
Sfide planetarie
A spingere l’amministrazione americana ad un maggior dialogo internazionale sarà inoltre il costante aumento delle sfide di portata planetaria, come la crisi finanziaria internazionale, la recessione economica mondiale, l’emergenza alimentare o i cambiamenti climatici.
Secondo Bénédict de Tscharner, per affrontare queste sfide a livello multilaterale sarà probabilmente importante il cambiamento di stile atteso da Obama. “Nei negoziati multilaterali è spesso il tono a fare la musica”.
swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione Armando Mombelli)
Eletto martedì dal popolo americano, Barack Obama diventerà l’anno prossimo il 44esimo presidente americano.
Il candidato democratico ha conquistato oltre il 52% dei voti, assicurandosi 364 Grandi Elettori su 539, contro 132 per il contendente repubblicano John McCain.
Barack Obama è il 15esimo rappresentante del Partito democratico eletto alla Casa Bianca. I presidenti repubblicani sono stati invece finora 19.
Il passaggio di consegne alla Casa Bianca tra il presidente uscente Georges W. Bush e il neoeletto Obama è in programma il 20 gennaio 2009. Nel frattempo, il nuovo presidente si occuperà tra l’altro della formazione del futuro governo americano.
Dal 1700 ad oggi almeno 460’000 svizzeri sono emigrati negli Stati uniti.
Circa un milione di cittadini americani hanno origini elvetiche.
Attualmente negli Stati uniti vivono 70’000 persone con passaporto svizzero, ossia oltre il 10% dei membri della Quinta Svizzera.
Gli USA sono il partner commerciale più importante della Svizzera al di fuori dell’Europa, nonché il maggiore destinatario degli investimenti diretti svizzeri all’estero.
Nel 2007, la Svizzera ha esportato verso gli Stati uniti merci per un valore di 18,3 miliardi di franchi (+0.37% rispetto al 2006). Le importazioni hanno raggiunto quota 9,4 miliardi (+13,52%).
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