Ritorno a casa dopo le rivoluzioni arabe
Quest'estate molte famiglie residenti in Svizzera hanno fatto temporaneamente ritorno in Libia, Tunisia ed Egitto, dopo gli eventi che hanno scombussolato il mondo arabo. Un rientro definitivo nei paesi di origine dipenderà dall’evoluzione della situazione.
La Svizzera è nota da tempo quale paese di immigrazione e meta per le persone alla ricerca di sicurezza e stabilità. Soprattutto a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, migliaia di persone originarie dei paesi arabi, per lo più rifugiati, sono così emigrate nella Confederazione.
La caduta dei regimi dittatoriali e corrotti, e il nuovo vento di speranza che soffia nel nord Africa, limiterà verosimilmente il numero di rifugiati arabi in Svizzera. La temuta emigrazione di massa dai paesi toccati dalla “primavera araba” verso l’Europa, non c’è stata. Finora, sono emigrati alcuni giovani tunisini e un numero limitato di stranieri attivi in Libia.
Cambio positivo
Nonostante la consapevolezza delle immense sfide del futuro, tra gli immigrati arabi che hanno fatto brevemente ritorno a casa regna l’ottimismo.
Per Essam Hassi di Vevey (canton Vaud), rientrato in Libia dopo 15 anni, la rivoluzione del 17 febbraio ha suscitato un «cambiamento radicale» nella struttura della società e nella mentalità della gente. «Ha indotto un’attività sociale, politica, culturale e militare senza precedenti», afferma Hassi, il quale ha potuto visitare Bengasi, città fulcro della rivoluzione libica.
«Ho visto dei leader militari condurre abilmente la rivolta, senza per questo essere stati formati nelle accademie militari. Ho visto giovani desiderare ardentemente la libertà, senza aver paura della morte. Ho anche trovato organizzazioni di soccorso, movimenti politici e media guidati da giovani. C’erano volontari che ripulivano le strade e sorvegliavano gli edifici pubblici».
«Una delle cose più incredibili è stato vedere un bambino che, vestito da vigile, dirigeva il traffico. La gente seguiva le sue indicazioni con disciplina e rispetto», ricorda Hassi.
La rivoluzione del 17 febbraio, prosegue, ha consentito ai libici di «ritrovare il morale e i valori tradizionali, che mancavano da 40 anni».
Timori
Il commediografo Umar Ghayat, residente a Zurigo, è stato in Egitto cinque mesi dopo la rivoluzione del 25 gennaio. Ciò che ha visto non lo ha tuttavia pienamente riconfortato.
Gli egiziani, spiega, hanno vissuto sin dal 1952 sotto la guida dittatoriale di un solo uomo. All’improvviso si sono poi ritrovati in uno Stato libero e democratico. «È come guidare per la prima volta un’automobile: c’è il rischio di fare un’incidente dalle gravi conseguenze». Secondo Ghayat, gli egiziani hanno bisogno di tempo per abituarsi al nuovo contesto.
Anche Ahmed Wahid, medico di Friburgo, è tornato in Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak. «Gli egiziani continuano a essere preoccupati. Alcuni sono inquieti per il processo ai responsabili del vecchio regime. Altri si preoccupano della sicurezza, della stabilità economica e dei prezzi elevati». La priorità degli egiziani, afferma, è che il processo agli ex vertici del regime sia corretto.
In Tunisia, spiega dal canto suo Taher al-Qal’i, consulente finanziario di Bienne (Berna), la popolazione teme che si ripeta l’esperienza del 1988, quando la promessa di democrazia dell’allora presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali, non venne mantenuta.
Ottimismo
I cambiamenti che stanno avvenendo in Egitto, sottolinea Ahmed Wahid, sono «reali e profondi». «I personaggi corrotti hanno iniziato a cadere e il loro influsso sulla società si è ridotto».
Secondo Essam Hassi, «il futuro non è roseo soltanto in Libia, ma in tutta la regione». Gli arabi, ritiene, saranno un modello per il mondo intero.
Ma la strada è lunga e piena di ostacoli. Gli arabi devono dar prova di pazienza e devono resistere a qualsiasi tentativo di ritorno al passato, sostiene Hassi.
Il successo dipenderà dalla capacità della nuova élite di essere vicina alla popolazione e di percepire i suoi timori e aspirazioni. Una situazione che, per ora, in Egitto non esiste, osserva Umar Ghayat. «L’élite parla a nome degli egiziani senza tuttavia esserne autorizzata. Sembra quasi di aver rimpiazzato la dittatura del regime con quella dei nuovi vertici. Hanno completamente dimenticato che ad aver fatto la rivoluzione è stata la gente, non loro».
Imparare dalla Svizzera
Per Hassi, i paesi arabi che hanno vissuto la rivoluzione possono trarre diversi insegnamenti dalla Svizzera. Ad esempio per ciò che concerne «la sicurezza economica e l’ordine sociale, le severi leggi a protezione dei cittadini e la cultura del dialogo».
«L’esperienza svizzera rimane un modello per le società arabe e dimostra che il progresso e la prosperità economica possono essere ottenuti nonostante la scarsità di risorse naturali. Bisogna puntare su innovazione, educazione, sviluppo personale e sviluppo sostenibile», aggiunge il tunisino Taher al-Qal’i.
L’elemento più importante che può essere ripreso dall’esperienza svizzera, conclude Ghayat, «è la questione del federalismo, che garantisce la coesione del tessuto sociale e l’unità nazionale nonostante le diversità linguistiche, religiose, culturali ed etniche».
Attraverso le sue istituzioni, la società civile e le organizzazioni non governative, la Svizzera sostiene la transizione democratica avviata dalle rivoluzioni arabe, intervenendo a vari livelli.
Congelamento degli averi dei dittatori
Il provvedimento è stato adottato nei confronti dell’ex presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali e di 40 persone a lui legate. Si stima che gli averi di Ben Ali depositati in Svizzera ammontino a circa 60 milioni di franchi.
Il governo elvetico ha pure congelato i fondi dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, della sua famiglia e di parte del suo entourage (per un totale stimato di circa 410 milioni di franchi).
Il 2 maggio 2011, la Confederazione ha adottato la medesima misura nei confronti del leader libico Muammar Gheddafi, attualmente in fuga (fondi stimati: 360 milioni di franchi).
In reazione alla crisi in Siria, sono poi stati congelati i fondi del presidente Bashar al-Assad ed è stata negata l’entrata in Svizzera a 14 esponenti del regime di Damasco.
Riforma della sicurezza
Il Centro per il controllo democratico delle forze armate di Ginevra ha intensificato i contatti con i paesi della primavera araba con l’obiettivo di riformare gli apparati addetti alla sicurezza.
Riportare la pace
La fondazione svizzera Swiss Peace ha organizzato incontri ai quali hanno partecipato esperti, esponenti della società civile e politici per scambiare opinioni e cercare un’intesa comune.
Sostegno
Tre organizzazioni svizzere (Terre des hommes, Hirondelle e Drosos) hanno fornito il loro sostegno in vari ambiti.
Hirondelle intende ad esempio sviluppare un codice di condotta presso le emittenti radiofoniche tunisine, in modo che ai rappresentanti politici vengano offerte le stesse condizioni per esprimere le proprie opinioni in vista delle elezioni.
Traduzione dalla versione inglese di Muhammad Shokry
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