Ruolo svizzero nella sfida della sicurezza in Libia
Vasti depositi di armi incustoditi, milizie armate e aree urbane contaminate da munizioni e mine: i problemi di sicurezza che devono affrontare le autorità provvisorie della Libia sono enormi. La Svizzera è disposta a dare una mano nella transizione verso la democrazia.
Berna ritiene di essere in grado di sostenere gli sforzi per riformare le forze di sicurezza e per disarmare la popolazione e di aiutare nelle attività di sminamento.
Dopo la cattura e l’uccisione di Muammar Gheddafi, il 20 ottobre, la Libia si accinge ora a costruire una democrazia. Entro il prossimo mese di giugno, i libici dovranno eleggere un’assemblea nazionale che dovrà portare dapprima alla stesura di una costituzione, poi alle elezioni parlamentari e presidenziali.
Il Consiglio nazionale di transizione (CNT) la scorsa settimana ha scelto un nuovo primo ministro, Abdurrahim el Keib, incaricato di formare un governo per il periodo di transizione. Ma la sicurezza resta un problema pressante.
In un recente discorso televisivo El Keib ha sottolineato la necessità di formare rapidamente nuove forze di sicurezza come pure di risolvere la questione della diffusione incontrollata di armi.
La scorsa settimana il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è detto allarmato per la sorte dell’enorme arsenale di armi – che comprende 20mila missili terra aria da spalla – costruiti in Libia sotto il regime di Gheddafi.
L’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ian Martin, ha detto al Consiglio di sicurezza che, mentre migliaia di armi sono state distrutte durante le operazioni della NATO, l’ONU la situazione è sempre più preoccupata per “il saccheggio e la probabile proliferazione” di armi e munizioni, per le aree minate, e per l’incertezza che regna sul comando e il controllo dei siti di materiali chimici e nucleari in Libia.
“Questa profusione di armi è uno dei maggiori problemi in questo periodo del dopo guerra civile”, ha detto a swissinfo.ch il portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri a Berna Georg Farago.
Know-how
La Svizzera ha manifestato la volontà di aiutare a ricostruire la Libia, dopo gli ultimi otto mesi di guerra civile. La Confederazione si è detta disposta a partecipare a una missione delle Nazioni Unite.
In una recente intervista al settimanale Sonntag, la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey ha dichiarato che il centro di Ginevra per la sicurezza e lo sviluppo potrebbe offrire le competenze necessarie.
Il Centro di Ginevra per il controllo democratico delle forze armate (DCAF), che è finanziato per la metà dal governo svizzero, il mese scorso ha presentato un’offerta formale per aiutare la Libia a riformare il settore della sicurezza e a sviluppare strutture giuridiche adeguate.
“È ancora molto presto, ma c’è l’interesse di avviare il dialogo”, ha spiegato Arnold Lüthold, assistente di direzione del DCAF e capo delle operazioni in Africa e Medio Oriente.
Il DCAF potrebbe avvalersi della sua esperienza in Europa orientale, Territori palestinesi occupati, Libano, Marocco e Tunisia, per consigliare i libici su questioni come il controllo di gruppi armati o per garantire il rispetto dei diritti umani, spiega Lüthold.
Ma il compito rimane immenso. “Nell’Europa dell’est, che era più facile da gestire, la transizione ha richiesto 20 anni. Qui è necessario partire da zero, dunque ci vorranno almeno 20 o 30 anni”, ha detto a swissinfo.ch.
Sminamento
La Svizzera sta già finanziando due programmi di sminamento in Libia. Ha devoluto 160mila franchi al “Mine Action Service” delle Nazioni Unite, che coordina tutte le attività di sminamento nel Paese, e 90mila franchi alla Swiss Foundation for Mine Action (FSD), che ha sede a Ginevra.
Dal mese di aprile, un centinaio di addetti della FSD ha partecipato alla rimozione di residuati bellici inesplosi da aree contaminate nell’ambito dello sforzo internazionale.
“Non si conosce in modo esaustivo la situazione delle mine antiuomo ereditata dalla guerra civile. Ma non ci aspettiamo che vi sia un numero di mine antiuomo particolarmente elevato e che le zone interessate siano molto estese, poiché i fronti di battaglia sono stati relativamente instabili e il conflitto breve”, ha spiegato il capo delle operazioni Alexander Griffiths.
“La maggior parte delle nuove mine è stata distribuita dall’artiglieria sotto forma di munizioni a grappolo, che sono state sparse sulla superficie. Perciò lo sminamento è più facile”.
Ma ci sono anche “campi minati ereditati”, ossia risalenti alla Seconda guerra mondiale, come anche campi minati estesi lungo i confini della Libia con il Ciad, l’Egitto e la Tunisia, ha aggiunto Griffiths.
Vasti depositi incustoditi
Il problema dei depositi di munizioni è completamente diverso e rientra nell’ambito degli sforzi contro il terrorismo internazionale e della sicurezza interna.
I depositi di Gheddafi sono stati colpiti sia da attacchi della NATO sia da operazioni di sabotaggio dei lealisti che volevano così impedire che le armi cadessero nelle mani dei ribelli. Il regime di Gheddafi aveva anche costruito depositi ad hoc nel deserto per disporre di armi per alimentare il campo di battaglia. Informazioni recenti descrivono vasti depositi incustoditi.
Griffiths precisa comunque che la Libia non era come lo Yemen o l’Afghanistan, dove ognuno possiede un’arma e munizioni. “Ma potrebbe diventare così”. E il rischio che armi e munizioni cadano nelle mani sbagliate è una grossa preoccupazione.
“Il denaro per affrontare questo problema c’è. (…) Ma aumentano le difficoltà di negoziare con le autorità libiche la messa al riparo di tali armi. Infatti, molti miliziani, brigate e comandanti non riconoscono il CNT”, afferma.
“Il collegamento e gli sforzi si stanno facendo a livello di ambasciata. Ma occorre veramente rimboccarsi le maniche e tessere relazioni con i giovani comandanti, che sono coloro che permetteranno l’accesso a questi siti o meno”.
Anche il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) sta partecipando alla rimozione di residuati bellici inesplosi in Libia.
Dal mese di marzo, il CICR ha rimosso o neutralizzato circa 1’400 ordigni militari a Bengasi, Ajdabiya, Misurata, Brega, Ras Lanuf e Nefusa. Ora si sta focalizzando sulle città di Sirte e Bani Walid, dove c’è la maggior concentrazione di tali ordigni e dove l’impatto umano è più grave.
(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)
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