Scudo fiscale: segnali contraddittori dal Ticino
Dopo le stime quasi apocalittiche di dicembre sulle ripercussioni dello scudo fiscale italiano sulla piazza finanziaria ticinese, la musica sta cambiando. I capitali scudati realmente rimpatriati dal Ticino in Italia sarebbero nettamente inferiori al previsto. C'è dunque stata una tempesta in un bicchier d'acqua?
Ormai da mesi lo scudo fiscale italiano è al centro dei dibattiti in Ticino per i suoi effetti sulla piazza finanziaria locale, la terza del paese dopo Zurigo e Ginevra. In dicembre l’Italia ha prolungato fino ad aprile lo scudo – iniziato in settembre -, aumentando però l’aliquota penale in due tappe, portandola dal 5 fino al 7%.
Il governo ticinese ha ripetutamente dipinto a tinte molto fosche le ripercussioni dello scudo. Anche l’Associazione bancaria ticinese (ABT) non è stata clemente. Oltre che di perdite patrimoniali miliardarie, si è parlato persino della scomparsa di un migliaio di posti di lavoro negli istituti bancari ticinesi nei prossimi anni.
Le preoccupazioni economiche hanno agitato le acque anche in campo politico. La sezione cantonale del Partito popolare democratico (PPD) in novembre ha chiesto alla Confederazione 50 milioni di franchi per salvare il Ticino dalle disastrose conseguenze dello scudo fiscale. Una delegazione del governo cantonale si è incontrata con il ministro svizzero delle finanze Hans Rudolf Merz. Quest’ultimo ha designato il ticinese Renzo Respini, ex membro dell’esecutivo cantonale ed ex senatore, come consulente politico per le questioni fiscali con l’Italia.
Fuggi fuggi bancario da Lugano
L’andamento negativo della piazza ticinese nell’ambito della gestione patrimoniale sembrava confermato dalla chiusura a Lugano, alla fine del 2009, di alcune filiali di banche private. In poco tempo hanno abbandonato la capitale economica ticinese le filiali della lussemburghese Sal. Oppenheim, dell’italiana Ras Private Bank (Suisse), della belga-olandese Fortis, della ginevrina Anker Bank e della zurighese IHAG.
A queste partenze si è aggiunto il fallimento della Aston Bank di Lugano, fondata nel 1994. La società era dapprima attiva come fiduciaria e nel settore immobiliare. Poi, nel 2007 aveva ottenuto una licenza bancaria. In novembre, la Aston Bank era finita nel mirino della magistratura per presunte operazioni irregolari con le quali sarebbe stato scavato un buco attorno ai 20 milioni di franchi.
Nel cantone sudalpino, tuttavia, nel 2009, c’è stato anche chi si è allargato. La Wegelin & Co. ha aperto una succursale a Chiasso. Così, la banca privata è presente, oltre che a Lugano e a Locarno, anche al confine meridionale del Ticino.
Successi da tutte le parti
I timori di un’emorragia di capitali della piazza ticinese sono peraltro stati rafforzati dal bilancio dello stesso Giulio Tremonti: il ministro italiano dell’economia e delle finanze alla fine di dicembre ha dichiarato che lo scudo fiscale è stato un successo straordinario.
Gli italiani avrebbero rimpatriato 95 miliardi di euro. Per il 98% si tratterebbe di rimpatri fisici. Giornali italiani, come per esempio il quotidiano economico “Il Sole 24ORE”, hanno scritto che l’80% dei rientri proveniva dalla Svizzera, soprattutto dal Ticino.
Rimpatri solo virtuali?
Queste cifre sono in contrasto con le dichiarazione di Alfredo Gysi, Ceo della BSI (Gruppo Generali) e presidente dell’Associazione delle banche estere in Svizzera.
In un’intervista pubblicata recentemente dal periodico svizzero tedesco “Finanz und Wirtschaft”, Gysi ha dichiarato che “molti clienti della BSI hanno fatto capo al rimpatrio giuridico e continuano a far amministrare in Svizzera i loro patrimoni assoggettati al fisco attraverso società fiduciarie italiane”. Più della metà dei soldi scudati sarebbe rimasta sui conti presso la BSI. E, grazie alla ripresa della borsa, il patrimonio gestito dalla banca con sede a Lugano, nel 2009 non avrebbe subito mutamenti, nonostante la perdita di qualche cliente.
Guerra delle cifre
Secondo Gysi, le ripercussioni dello scudo ter sulle banche svizzere sono inferiori a quelle delle due amnistie fiscali italiane precedenti, nel 2001 e nel 2003. Le prime due erano coincise con un calo delle borse, mentre quella del 2009 è giunta in un momento di rialzo dei mercati finanziari che ha attutito gli effetti negativi dello scudo.
Ma non solo. Le banche ticinesi hanno “il vantaggio e la sfida di gestire i patrimoni correttamente dichiarati con prodotti e servizi competitivi”, osserva Alfredo Gysi.
Dal canto loro, i grandi istituti nel frattempo hanno diversificato geograficamente le loro attività. Perciò l’amnistia fiscale italiana pesa meno rispetto al passato. Stando a stime della Morgan Stanley, grandi banche elvetiche con filiali in Italia (UBS, Credit Suisse e Julius Baer), avrebbero rimpatriato tra il 60 e il 65% dei capitali scudati dei loro clienti italiani.
Insomma, sembra di assistere ad una guerra di cifre. Franco Citterio, direttore dell’Associazione bancaria ticinese (ABT), conferma a swissinfo.ch: “Mi sembra che nessuno voglia veramente scoprire le carte”.
Primo responso in febbraio
“Credo che alla fine la verità stia probabilmente a metà”, prosegue Citterio. L’ABT comunque sta indagando fra i suoi associati, per capire la reale portata dello scudo fiscale italiano. I risultati dello studio sono attesi per inizio febbraio.
“È una situazione ambigua”, ci dice pure il sindaco di Lugano Giorgio Giudici. La città teme le ripercussioni dell’andamento delle banche per il fisco cittadino. In un incontro con le banche previsto fra due settimane la città vuole vederci più chiaro.
Gerhard Lob, Lugano, swissinfo.ch
La piazza finanziaria ticinese – la terza della Svizzera dopo Zurigo e Ginevra – conta una settantina di banche e istituti di credito.
Nei rami bancario e fiduciario complessivamente lavorano circa 15’000 persone.
Si stima che in Ticino siano amministrati 400 miliardi di franchi.
Il settore, che crea circa il 17% del prodotto interno lordo (Pil) cantonale, ha avuto una crescita costante dagli anni 1950/1960 approfittando di tanti capitali portati dagli italiani e amministrati in modo occulto (off-shore-banking).
Visto che oggi il segreto bancario viene equiparato all’evasione e alla frode, si va verso una penalizzazione dei clienti e del banchiere che difende il segreto bancario. Alfredo Gysi, presidente della BSI, per questo motivo ha proposta la soluzione “Rubik”. Si vuole preservare la protezione della sfera privata del cliente, restando al contempo in regola con le norme fiscali, tramite il pagamento di un’imposta ai paesi di provenienza dei capitali amministrati.
La Svizzera rinuncerebbe al 25% che oggi trattiene per sé, per riversarlo agli Stati esteri interessati. In cambio, l’imposta sarebbe liberatoria da ogni altra pretesa e il cliente conserverebbe l’anonimato. Invece di essere “paradiso fiscale”, la Svizzera diventerebbe il “paradiso della privacy”.
Alfredo Gysi, secondo indiscrezioni, avrebbe dovuto avere un colloquio con il ministro italiano Giulio Tremonti, a Roma, per parlare di questa proposta. Ma l’incontro non c’è stato, ha detto Tremonti ad un giornalista della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana RSI a Bruxelles.
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