Sommaruga prevede un aumento delle richieste d’asilo
Quando in Nordafrica la gente rischia la vita per la democrazia, l’Occidente applaude. I profughi di queste regioni non sempre però vengono accolti a braccia aperte. Simonetta Sommaruga vuole garantire ai rifugiati una procedura d’asilo più corretta ed equa.
È uno dei grandi dilemmi al quale è confrontato il pianeta negli ultimi decenni: nel mondo i rifugiati sono circa 45 milioni. Nessuno però li vuole, tantomeno la ricca Europa. Anche in Svizzera le norme che reggono il diritto d’asilo sono state rese sempre più severe.
La responsabile del Dipartimento di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga ritiene che le richieste d’asilo aumenteranno. Se i paesi europei non dovessero dar prova di solidarietà in materia di politica dei rifugiati, il sistema di Dublino rischia di cadere a pezzi, mette in guardia la consigliera federale socialista.
swissinfo.ch: Da un lato molte persone cercano rifugio in Europa. Dall’altro le barriere per ottenere l’asilo sembrano essere sempre più elevate. Lei da che parte sta?
Simonetta Sommaruga: Sto dalla parte di una politica d’asilo credibile, garante del fatto che persone minacciate nel loro paese d’origine possano ottenere accoglienza.
Il mio obiettivo è di assicurare protezione, mediante una procedura corretta, a quelle persone che, secondo la Convenzione sui rifugiati del 1951, hanno motivi validi per fuggire. Chi non ha motivi validi, deve ritornare nel suo paese.
swissinfo.ch: Nessuno lascia però il suo paese senza motivi…
S.S.: Laddove vi sono motivi per lasciare il paese, dobbiamo impegnarci, tramite l’aiuto allo sviluppo, a far sì che vi sia un sistema politico ed economico che funzioni. I paesi più poveri devono poter ricostruire la loro economia.
swissinfo.ch: La Primavera araba ha avuto quale corollario anche l’aumento del numero delle persone che cercano asilo. Da un lato, questi sviluppi democratici sono stati applauditi. Dall’altro, però, si cerca di scongiurare l’afflusso di rifugiati. Non è un po’ ipocrita?
S.S.: La Svizzera non ha solo applaudito, ha anche fornito aiuti. Il Consiglio federale ha promesso rapidamente 12 milioni di franchi. La Svizzera è stato uno dei primi paesi a bloccare i fondi dei potentati.
Dalla Tunisia giungono soprattutto giovani uomini in cerca di lavoro. Capisco che vogliano venire da noi, ma non otterranno l’asilo e quindi devono tornare indietro.
Dobbiamo prendere sul serio le preoccupazioni di chi vive in Svizzera e dobbiamo essere pronti a far fronte a un eventuale forte aumento delle richieste d’asilo. Ciò non ha nulla a che vedere con il fatto di chiudere le porte. Si tratta piuttosto di dimostrarci responsabili nei confronti della nostra popolazione.
swissinfo.ch: Quasi la metà dei 900’000 profughi che sono scappati dalla Libia vive in condizioni molto precarie in campi allestiti in Tunisia. L’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati ha lanciato un appello agli Stati europei affinché accolgano parte di questi richiedenti l’asilo. Perché la Svizzera, che ha spesso messo in avanti la sua tradizione umanitaria, non ha dato il buon esempio?
S.S.: Ma lo fa. Non bisogna dimenticare che la Svizzera già da molti anni accoglie, ad esempio, profughi dall’Eritrea. Quest’anno abbiamo ancora accolto degli eritrei fuggiti dalla Libia. In Svizzera vive la più importante diaspora eritrea di tutta l’Europa. E ne verranno altri, poiché qui risiedono loro conoscenti.
Detto ciò, non voglio però utilizzare la carta di questi rifugiati a scapito dei profughi che provengono dalla Tunisia, bensì preservare la tradizione umanitaria della Svizzera.
swissinfo.ch: Quanti sono gli eritrei che arrivano in Svizzera?
S.S.: Dall’inizio dell’anno abbiamo registrato 8’120 domande d’asilo, di cui 1’645 erano di persone di origine eritrea. Sempre dall’inizio dell’anno, abbiamo accettato 1’140 richieste, 700 delle quali presentate da eritrei.
swissinfo.ch: Chi bussa alle nostre porte deve poter contare su una procedura d’asilo veloce, stando a quanto ha lei stessa annunciato. I diritti dei richiedenti l’asilo non rischiano di venir ridotti?
S.S.: Attualmente le procedure durano a volte più di 1’000 giorni. La situazione è spesso insostenibile anche per gli interessati. Abbiamo molti motivi per ridurre i tempi procedurali, ma ciò non significa farlo a scapito della qualità.
I numerosi passi che finora erano compiuti in luoghi diversi e che si trascinavano su più mesi, devono essere raggruppati. Nello stesso tempo, i richiedenti l’asilo devono ricevere una protezione giuridica estesa e gratuita. La procedura deve essere corretta ed equa. Per questo deve essere condotta in maniera professionale e rapida.
swissinfo.ch: In base al trattato di Dublino, la Svizzera può rinviare i rifugiati nel primo paese dove hanno presentato la domanda. Può assumersi la responsabilità di rimandare dei rifugiati ad esempio in Italia, dove le condizioni nei centri d’asilo sono a volte più che precarie?
S.S.: Sono consapevole del fatto che l’Italia sta facendo fronte a un afflusso massiccio di persone dal Nordafrica – circa 40’000 persone. Solo a Lampedusa si trovavano 5’000 rifugiati e le infrastrutture dell’isola erano sovraccariche. L’Italia ha nel frattempo trasportato queste persone sul continente e ha provveduto ai loro bisogni.
swissinfo.ch: E se dovessero arrivare ancor più persone? La Svizzera darà il suo contributo per alleviare il carico che pesa sull’Italia?
S.S.: In un incontro coi rappresentanti degli Stati che hanno aderito a Schengen-Dublino abbiamo potuto constatare, ad esempio, che attualmente la situazione è diventata insostenibile per Malta. In quattro mesi, l’isola ha accolto 2’700 rifugiati, tra cui anche molte donne e bambini. Equiparando la popolazione di Malta con quella della Svizzera, sarebbe come se da noi fossero affluite 40’000 persone.
Per sostenere l’isola, la Commissione europea ha inviato esperti e denaro. Inoltre gli Stati dell’Unione si sono detti disposti ad accogliere parte dei rifugiati giunti a Malta.
swissinfo.ch: Anche la Svizzera?
S.S.: Sì, anche il nostro paese ha offerto la sua disponibilità ad accogliere un piccolo gruppo di profughi. A Bruxelles ho però anche fatto notare che in questo momento siamo confrontati a molte richieste di cittadini dell’Eritrea.
Ogni paese europeo deve fornire il suo contributo, ma in modo volontario. Se la solidarietà non dovesse funzionare, tutto il sistema di Dublino rischia di cadere a pezzi e ciò non è nell’interesse di nessuno.
swissinfo.ch: Attualmente meno dell’1% della popolazione svizzera ha uno statuto di rifugiato. Fino a quanto può salire questa percentuale?
S.S.: In Svizzera sono presentate circa 15’000 richieste d’asilo all’anno. Si tratta di una cifra relativamente elevata se paragonata ad altri paesi europei. Da noi bisogna anche prendere in considerazione i cantoni e i comuni, responsabili del sostentamento dei richiedenti l’asilo.
Il 40% delle domande sono dei cosiddetti «casi Dublino». Queste persone possono quindi essere rinviate nel primo paese dove hanno presentato richiesta d’asilo. Tenuto conto della situazione in Nordafrica, dobbiamo partire dal presupposto che presto il numero di richiedenti l’asilo aumenterà. La mia responsabilità è di garantire a tutti coloro che arriveranno in Svizzera una procedura corretta ed equa.
«La loro storia è la nostra storia, 60 anni al fianco dei rifugiati». È questo lo slogan scelto dall’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) per la Giornata mondiale che si celebra lunedì e che commemora la promulgazione della Convenzione di Ginevra del 1951, relativa proprio allo statuto di rifugiato. In Svizzera la giornata è stata celebrata sabato 18 giugno.
Stando alle cifre dell’UNHCR, attualmente sono 43,7 milioni le persone costrette alla fuga. Negli ultimi 15 anni, il loro numero non era mai stato così elevato.
Gli afgani sono i più numerosi (3 milioni), seguiti dagli iracheni (1,6 milioni), dai somali (770’200), dai cittadini della Repubblica democratica del Congo (476’700) e da quelli della Birmania (415’700).
I 4/5 dei rifugiati sono accolti da paesi in via di sviluppo. Pakistan (1,9 milioni), Iran (1,1) e Siria (1) sono gli Stati che ospitano il maggior numero di profughi.
(traduzione di Daniele Mariani)
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