Come la democrazia diretta conquistò gli svizzeri
Lo storico Olivier Meuwly pubblica 'Una storia politica della democrazia diretta in Svizzera'. Questa sintesi della lenta evoluzione verso il sistema attuale di democrazia diretta giunge in un momento il ricorso al plebiscito fa discutere, in Svizzera come all'estero. Intervista.
swissinfo.ch: La democrazia diretta è praticata da tempo in Svizzera e si ha l’impressione di conoscerla bene. Allora perché dedicare un libroCollegamento esterno alla sua storia?
Olivier Meuwly: È vero, pratichiamo molto la democrazia diretta, in modo quasi rituale. Ma non sempre la conosciamo bene. La democrazia diretta non è caduta all’improvviso sulla testa degli Elvezi. È il frutto di una storia complessa, direttamente legato ad altri aspetti della politica svizzera quali il federalismo e il senso del consenso.
Il sistema svizzero di democrazia diretta è già stato ampiamente studiato, ma mancava una sintesi che presentasse in modo compatto i molteplici cammini che ha percorso prima di assumere l’aspetto che conosciamo oggi.
“Non sono favorevole a una limitazione della democrazia diretta perché consente di lottare contro il populismo”
Nella sua introduzione parla di “un momento propizio” per scrivere un libro del genere. Perché?
Perché attualmente è in atto un reale dibattito sulla democrazia diretta. Si tratta del miglior sistema possibile?
In molti Paesi, alcuni denunciano la crescente disgiunzione che esisterebbe tra i politici e le istituzioni da un lato e il popolo dall’altro. Chiedono così un intervento diretto dei cittadini nelle decisioni. In Svizzera, c’è chi ritiene al contrario che il potere accordato al popolo sia eccessivo e che ciò permetta di adottare delle proposte populiste e contrarie ai diritti fondamentali.
Da parte mia, non sono favorevole a una limitazione della democrazia diretta siccome – ed è un profondo paradosso – essa consente per l’appunto di lottare contro il populismo. Non si tratta infatti di una cruda volontà popolare. La democrazia diretta svizzera è inquadrata da una procedura nella quale interviene anche il parlamento.
La Landsgemeinde è spesso idealizzata ed è vista come l’espressione più nobile della democrazia diretta. Un mito che nel suo libro viene però un po’ relativizzato…
Questa forma di democrazia non è forzatamente perfetta. Già in passato si era consapevoli dei suoi limiti e si sapeva che queste assemblee popolari potevano essere manipolate dalle oligarchie dominanti.
Dal XVII secolo, però, vari movimenti contestatari hanno fatto riferimento alla Landsgemeinde definendola una sorta di ideale, come hanno poi fatto anche i teorici politici del XIX secolo. Ancora oggi, la Landsgemeinde mantiene un forte carattere simbolico, sebbene stia scomparendo. La Landsgemeinde è un mito fecondo.
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Lei afferma che la democrazia diretta non è un prodotto puramente elvetico, ma che ha subito delle influenze esterne…
È in atto un dibattito tra esperti. Per alcuni, è la Landsgemeinde ad essere all’origine della democrazia diretta svizzera. Per altri, quest’ultima proviene piuttosto dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese.
Secondo me, la verità sta un po’ a metà strada. Le assemblee popolari sono importanti, ma la Rivoluzione ha apportato degli strumenti pratici quali il referendum, sebbene la stessa Francia rivoluzionaria non li abbia mai utilizzati. Di conseguenza, la democrazia diretta svizzera rappresenta un po’ la sintesi tra il romanticismo delle assemblee popolari contadine e il razionalismo della Rivoluzione.
La democrazia diretta svizzera si è sviluppata in un contesto nazionale ben preciso. È ciononostante esportabile?
No, non direttamente. In effetti, essa è legata a un contesto molto svizzero, segnato ad esempio dal federalismo, dalla cultura del dialogo e dalla ricerca del compromesso. Non si può esportare questo modello così com’è in un Paese che non ha le stesse tradizioni politiche.
Detto questo, il modello svizzero può essere una fonte d’ispirazione. Lo si è visto bene durante l’ultima elezione presidenziale in Francia, dove numerosi candidati hanno sviluppato delle proposte per una maggiore partecipazione dei cittadini nel sistema politico. Va però sottolineato che coloro che all’estero fanno riferimento al sistema svizzero di democrazia diretta, spesso non ne conoscono bene il funzionamento.
Ma quest’ispirazione può svilupparsi in qualcosa di concreto. Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, il sistema svizzero ha avuto un’influenza diretta sull’istituzione di forme di partecipazione cittadina in numerosi Stati americani (Dakota del Sud, Utah, Oregon…). Tuttavia, la democrazia diretta non è mai riuscita a imporsi negli Stati Uniti a livello federale.
Nel suo libro si nota che la democrazia diretta svizzera è il frutto di una lunga evoluzione. Un’evoluzione destinata a proseguire oppure si assiste a un certo immobilismo?
Il sistema di democrazia diretta non è inciso nel marmo. D’altronde, vediamo che attualmente c’è un dibattito in Svizzera. C’è troppa democrazia diretta? Bisognerebbe creare una sorta di Consiglio costituzionale per verificare la validità delle iniziative popolari?
Tali questioni esistono, ma ciononostante sono scettico all’idea di un cambiamento. La democrazia diretta si basa su un equilibrio sottile difficilmente trasformabile. Ogni cambiamento potrebbe avere un effetto domino che avrebbe conseguenze sull’insieme del sistema. L’abbiamo ad esempio osservato con l’iniziativa che chiedeva che il Consiglio federale venisse eletto direttamente dal popolo invece che dal parlamento, ciò che avrebbe avuto ripercussioni sulla rappresentazione delle minoranze in governo.
È comunque possibile procedere ad alcuni adattamenti. Ad esempio, se un giorno dovessimo passare a una raccolta delle firme direttamente su Internet, la questione di un aumento del numero di firme necessarie per un referendum o un’iniziativa diventerebbe inevitabile.
Traduzione dal francese di Luigi Jorio
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