“Super Tuesday” negli USA: le primarie si arroventano
La lotta per la candidatura alle elezioni presidenziali statunitensi entra in una fase cruciale con l'appuntamento del "supermartedì".
Al centro della contesa vi sono Hillary Clinton e Barack Obama fra i democratici e John McCain e Mitt Romney fra i repubblicani.
“Contrariamente a quanto spesso avvenuto in passato, la corsa finale è completamente aperta”, commenta l’ex ambasciatore svizzero negli Stati Uniti Alfred Defago.
Il 5 febbraio è la scadenza più importante della maratona delle primarie, nelle quali i partiti decidono chi candidare alla successione di George W. Bush. L’attuale inquilino della Casa Bianca, dopo due mandati, non può infatti più ripresentarsi.
I temi su cui verte la campagna sono l’economia (la crisi dei mutui e la paura della recessione), il sistema sanitario, l’immigrazione e la guerra in Iraq.
Mentre fra i candidati all’interno dei partiti le posizioni non si differenziano molto, fra democratici e repubblicani le opinioni divergono profondamente.
Lotta per i voti dei delegati
Il “supermartedì” più di venti Stati saranno impegnati nella corsa ai candidati democratici e repubblicani. Dalla California a New York, dall’Alaska all’Alabama, si voterà attraverso tutto il paese.
Nelle primarie i candidati devono conquistare il maggior numero possibile di delegati dei loro partiti. La nomination per la corsa alla Casa Bianca verrà infatti decisa più tardi dai delegati nel corso dei congressi dei rispettivi partiti.
La tensione degli ultimi giorni
“Se il super tuesday deciderà i giochi è ancora da vedere. La situazione è dominata dalle sorprese”, dichiara Defago a swissinfo. “Negli ultimi giorni non sono mancati gli effetti drammatici”, prosegue il diplomatico, riferendosi all’assottigliamento del numero di candidati e al sostegno del senatore Ted Kennedy e di sua nipote Caroline Kennedy a Obama.
Dopo il ritiro dell’ex senatore John Edwards, nel campo democratico restano in lizza solo Hillary Clinton e Barack Obama. Si dovrà vedere se guadagnerà più punti l’esperienza (Clinton) o il cambiamento (Obama).
In campo repubblicano, dopo il fallimento dell’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, praticamente tutto si gioca ormai fra John McCain e Mitt Romney. Fra il senatore e l’ex governatore si tratterà di dimostrare chi dei due è il vero conservatore.
Mike Huckabee e Ron Paul sono ufficialmente ancora in lizza, ma in realtà non viene attribuita loro alcuna chance.
Faccia a faccia
Se il 5 febbraio sarà la data decisiva nel duello Clinton-Obama è ancora un’incognita. Gli ultimi sondaggi danno i due quasi appaiati in diversi Stati, con Hillary che sente sempre più il fiato del suo avversario sul collo. Le sorprese dell’ultimo minuto non sono escluse.
“L’interrogativo è se Obama riuscirà a guadagnare altro terreno. È una corsa contro il tempo”, osserva Defago.
Sui programmi i due pretendenti alla candidatura democratica presentano differenze minime. “La Clinton dispone di un grosso e solido bagaglio di conoscenze, sulle questioni fondamentali è più concreta e dunque più convincente di Obama”.
Quest’ultimo ha però il bonus del visionario. Riesce a destare speranze per un cambiamento. Molti chiedono una svolta e Obama risponde a questo desiderio. “Ha carisma, lo si sente ovunque egli si presenta”, commenta lo svizzero.
Un fattore da non sottovalutare è l’eleggibilità: qui la senatrice di New York ha un handicap, emerso all’entrata in scena di suo marito nelle ultime settimane. I Clinton sono una coppia polarizzata. Molti temono una presidenza in tandem.
Sforzi repubblicani
Pure completamente incerto appare l’esito del duello repubblicano McCain-Romney. Al secondo vengono tuttavia attribuite sempre più possibilità di successo.
“I repubblicani sono in una situazione di desolazione”, giudica Defago. La coalizione Reagan, che aveva riunito tre ali conservatrici – cristiana, economica e militare – si è ormai dissolta. Huckabee, Romney e McCain rappresentano ciascuno una di queste tre correnti.
Romney è più convincente nelle questioni economiche, ma ha la fama di essere inaffidabile e opportunista. McCain è giudicato da molti come qualcuno che pratica una politica non sempre coerente.
swissinfo, Rita Emch, New York
(Traduzione dal tedesco di Sonia Fenazzi)
L’idea del sistema elettorale statunitense è di permettere agli elettori dei singoli Stati di partecipare alla designazione dei candidati alla presidenza. La ripartizione dei voti dei delegati varia da uno Stato all’altro.
Il numero dei delegati dipende dal numero degli abitanti: quelli con le popolazioni più numerose dispongono del maggior numero di delegati.
Il Partito democratico applica un sistema proporzionale, mentre in quello repubblicano chi ottiene la maggioranza dei voti si aggiudica tutti i delegati. In entrambi i partiti vi sono poi i cosiddetti “superdelegati”, ossia deputati, senatori e altri esponenti politici.
L’elezione avrà luogo il 4 novembre. In tale occasione verranno nuovamente eletti dei delegati, i cosiddetti “grandi elettori”. Il candidato che raccoglierà il maggior numero di voti non diventerà però per forza il nuovo presidente.
Ad esempio nel 2000 Al Gore perse contro George W. Bush: quest’ultimo aveva ottenuto meno suffragi, ma aveva ottenuto le preferenze di 271 “superelettori”, contro 266 per Gore.
Voti dei delegati finora alle primarie:
Democratici:
Hillary Clinton: 257
Barack Obama: 187
Totale dei delegati: 4049
Minimo di voti necessari per la nomination: 2025
Repubblicani:
John McCain: 93
Mitt Romney: 59
Mike Huckabee: 40
Ron Paul: 4
Totale dei delegati: 2380
Minimo di voti necessari per la nomination: 1191
Alfred Defago è professore invitato di relazioni internazionali alla University of Wisconsin-Madison e alla Florida Atlantic University.
Dal 1997 al 2001 è stato ambasciatore svizzero a Washington.
In precedenza, dal 1994 al 1997, era stato console generale di Svizzera a New York.
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