Un paio di baffi per essere eletti
I candidati che ambiscono a un seggio in parlamento sono sempre più numerosi. Il numero delle donne registra pure una leggera progressione.
Il tema della rappresentanza femminile è però ben lungi dall’essere in primo piano, eclissato in particolare dalla campagna elettorale dai toni molto duri della destra nazional conservatrice.
A meno di due settimane dalle elezioni federali, le candidate, siano esse di destra o di sinistra, sono d’accordo su un punto: durante la campagna è stato eluso il tema della parità.
«Sono alla mia terza campagna e finora la tematica ‘donna’ non aveva mai occupato così poco spazio», osserva Géraldine Savary, deputata socialista e candidata al Consiglio degli Stati (Camera alta).
Una constatazione condivisa anche da Petra Studer, segretaria politica responsabile delle questioni dell’uguaglianza in seno al Partito liberale radicale (PLR, centro destra) e candidata basilese al Consiglio nazionale (Camera bassa).
La deputata del Partito popolare democratico (PPD, centro) Chiara Simoneschi-Cortesi, presidente della Commissione federale per le questioni femminili, stima dal canto suo che questo tema in realtà non ha mai veramente attecchito.
Un quarto di donne
A livello statistico, la proporzione di donne in lizza per il Consiglio nazionale era del 35% nel 1999 e nel 2003. Oggi è del 35,2%. Per il Consiglio degli Stati, il numero di candidate ha registrato una leggera progressione, passando da 26 nel 2003 a 32 quest’anno, secondo un conteggio dell’agenzia stampa ATS.
La proporzione di elette è però ben inferiore. Nelle due Camere, solo un quarto dei seggi è occupato da donne. Sullo scacchiere politico, la loro proporzione è più forte a sinistra.
Su 61 rappresentanti, il Partito socialista conta infatti 30 donne. Sull’altro fronte, l’Unione democratica di centro (UDC, destra nazional conservatrice) annovera tra le sue file solo tre donne su 63 parlamentari. L’UDC, del resto, è il solo partito di governo che considera apertamente che «non vi è alcuna ragione di trattare in modo differente le donne e gli uomini».
Gli altri partiti hanno invece adottato dei provvedimenti per sostenere le candidature femminili e considerano legittima la promozione – certo, in modo più o meno attivo – della parità sulle liste.
Il dibattito pubblico su questa tematica è pure importante.
Effetto Brunner
Secondo Karin Schwiter, ricercatrice nel campo dei «Gender Studies» (studi di genere) e candidata socialista per il Consiglio nazionale nel canton Svitto, la rappresentanza delle donne non migliora automaticamente. «Affinché vi siano dei cambiamenti, questo argomento deve essere tematizzato prima delle elezioni. In caso contrario il ‘riflesso donna’ è in seguito minimo o addirittura inesistente», spiega.
Specialista delle questioni legate alla rappresentanza femminile all’Ufficio federale di statistica, Werner Seitz conferma: «Dall’introduzione del diritto di eliggibilità delle donne, i partiti di destra hanno in generale meno rappresentanti di sesso femminile. Ma negli anni ’90, vi è stato un forte aumento in seno a tutti i partiti, segnatamente a causa ‘dell’effetto Brunner’».
Nel 1993, la mancata elezione della socialista Christiane Brunner in governo aveva scosso le coscienze. Quattordici anni dopo, le difficoltà a cui è andata incontro la presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey per tenere il suo discorso del primo agosto sul praticello del Rütli costituiscono un nuovo segnale di allerta, rileva dal canto suo Yvette Barbier.
La promotrice della «Veglia delle donne» del 2004 – durante la quale decine di loro si sono date il cambio a Berna per esigere l’elezione di una nuova ministra dopo lo smacco subito da Ruth Metzler – stima che «le donne, soprattutto quelle di destra, devono compiere una riflessione di fondo sulla loro condizione all’interno del partito».
Delle donne coi baffi
Quello di Svitto è un caso emblematico: tutti i sei rappresentanti del cantone a Berna sono infatti uomini. Per cercare di invertire la tendenza, Karin Schwiter e altre candidate di ogni orizzonte politico, tranne il PPD, hanno deciso di ornare il loro viso sui manifesti elettorali con un bel paio di baffoni rossi.
Malgrado questa complicità dal sapore ironico, alle donne fa però spesso difetto una carta essenziale durante una campagna elettorale: le reti sociali. Petra Studer e Géraldine Savary concordando nel sottolineare la loro importanza. Un altro fattore chiave è la sensibilità dell’elettorato, osserva Chiara Simoneschi-Cortesi.
«Gli studi mostrano che le donne ecologiste e socialiste degli agglomerati urbani della Svizzera tedesca hanno più possibilità di essere elette rispetto a quelle che figurano sulle liste dei partiti borghesi, ad esempio in Ticino. Le ragioni non sono solo aritmetiche ma anche culturali. Se l’elettorato non dà prova di apertura nei confronti delle candidature femminili, mettere delle donne sulle liste non serve a molto».
swissinfo, Carole Wälti
(traduzione di Daniele Mariani)
In Svizzera il diritto di voto e di eliggibilità delle donne è stato respinto dal popolo nel 1959 e poi accettato nel 1971 dal 65,7% dei votanti.
In Germania questo diritto era già stato introdotto nel 1919, in Francia nel 1944 e in Italia nel 1945.
La partecipazione delle donne alle più alte responsabilità dello Stato è stata caratterizzate da qualche crisi che hanno segnato la scena politica elvetica.
Nel 1988 la radicale Elisabeth Kopp, prima donna ad essere eletta in governo, presenta le sue dimissioni. La zurighese, ministro della giustizia, aveva avvertito suo marito dell’apertura di un’inchiesta nei suoi confronti.
Nel 1993 la socialista Christiane Brunner, sindacalista e femminista, non è eletta in governo. Il parlamento le preferisce dapprima Francis Matthey, che però rinuncia in seguito alle pressioni femministe e del suo partito, e poi opta per la più consensuale Ruth Dreifuss.
Nel 2003 la popolare democratica Ruth Metzler non è rieletta in governo. Modificando l’equilibrio delle forze in vigore dal 1960, il parlamento le preferisce Christoph Blocher.
In Consiglio nazionale sono in lizza 3’089 persone, di cui 1’088 donne (35,2%). Nel 2003 erano 993.
I socialisti e gli ecologisti hanno la proporzione più elevata di candidature femminili, con il 48%. La percentuale è del 44% sulle liste alternative (Partito svizzero del lavoro e Solidarités), del 35,6% al PPD, del 25,7% al PLR e del 20,6% all’UDC.
Per il Consiglio degli Stati sono in lizza 130 persone, di cui 32 di sesso femminile (26 nel 2003 e 36 nel 1999).
Il PS presenta nove donne su 21 candidati, i Verdi 5 su 12, il PPD 5 su 24, il PLR 4 su 19 e l’UDC nessuna su 22 candidati.
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