Un po’ di Svizzera per i pescatori tailandesi
A due anni dallo tsunami che ha devastato i villaggi costieri della Tailandia, la Svizzera ha consegnato alle comunità di pescatori locali quattro villaggi rimessi a nuovo.
Il progetto, realizzato con fondi pubblici e privati, vuole offrire agli abitanti un posto dove vivere in modo sostenibile e non solo delle case.
Sono stati ufficialmente inaugurati sabato in Thailandia quattro villaggi di pescatori, distrutti dallo tsunami del 26 dicembre 2004 e ricostruiti grazie all’aiuto svizzero. I villaggi ospitano una comunità di circa mille persone.
«Ci vuole del tempo per ricostruire qualcosa dopo uno tsunami», ha detto Jean-Michel Jordan, responsabile dell’ufficio di Bangkok della Direzione elvetica dello sviluppo e della cooperazione (DSC). «E due anni non sono molti. Per trovare delle soluzioni buone e sostenibili, abbiamo cercato la collaborazione tra esperti svizzeri e tailandesi, tra organizzazioni internazionali e locali e accolto i suggerimenti delle persone alle quali questi villaggi erano destinati».
La Svizzera ha stanziato per la ricostruzione dei villaggi tailandesi un contributo di 4 milioni di franchi. Il progetto comprendeva case, scuole, centri sanitari, infrastrutture comunitarie, porticciuoli e barche per la pesca.
Vivere in modo sostenibile
Grazie a questo progetto, circa 280 famiglie hanno ritrovato condizioni di vita normali e prospettive di sussistenza in un ambiente rispettoso delle risorse naturali.
«La Svizzera non ha cercato di risolvere solo un problema, ma ha adottato un approccio integrato», ha spiegato Jordan a swissinfo. «Non si è pensato solo alle abitazioni, ma anche all’educazione e alle condizioni di vita delle minoranze etniche che non avevano il diritto di possedere della terra».
«Ora, i pescatori che prima erano impiegati da un padrone, hanno le loro proprie barche e la loro attrezzatura per la pesca».
I promotori del progetto sono soddisfatti del risultato. L’obiettivo principale era quello di ristabilire le possibilità di sussistenza e ripristinare le infrastrutture.
«Nel corso degli ultimi due anni siamo riusciti a raggiungere la popolazione più povera e maggiormente vulnerabile», spiega Jordan. «Le nuove case sono state costruite in posti diversi e in modo da non danneggiare l’ambiente. Ora gli abitanti sono molto più al sicuro».
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Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC)
Un impegno a livello regionale
La DSC non ha contribuito solo alla ricostruzione dei villaggi in Tailandia, ma si è mossa anche negli altri paesi colpiti dallo tsunami.
In Indonesia la DSC ha finanziato programmi per 12,5 milioni di franchi, di cui 10,5 milioni per il finanziamento degli aiuti urgenti. Un milione di franchi è servito a sostenere economicamente circa 7500 famiglie della regione di Banda Aceh che hanno dato ospitalità ai sopravvissuti.
Un altro milione, al quale si sono aggiunti 5 milioni della Croce Rossa Svizzera e della Catena della solidarietà, è servito soprattutto al ripristino della principale stazione di depurazione delle acque di Banda Aceh.
Nello Sri Lanka la DSC ha investito circa 16 milioni di franchi, di cui 4,5 milioni a favore degli aiuti urgenti. Otto milioni di franchi sono serviti a finanziare programmi di ricostruzione di una dozzina di scuole nelle regioni di Jaffna, al nord dell’isola (sotto controllo tamil), e a Matara, nel sud.
swissinfo
Altri sviluppi
Catena della solidarietà
In totale l’aiuto elvetico in favore delle vittime del maremoto in Asia ammonta a 220 milioni di franchi.
La Catena della solidarietà, attraverso delle organizzazioni partner, sostiene 112 progetti per un valore di 187,9 milioni di franchi.
I contributi del governo elvetico hanno raggiunto i 35 milioni di franchi.
Il progetto in Tailandia è stato sostenuto dalla DSC, dalla Catena della solidarietà e da privati.
In totale sono stati investiti 4 milioni di franchi, di cui 2 versati dalla stessa Catena della solidarietà, 1,7 dalla Confederazione e 0,3 da privati.
Per meglio comprendere i problemi affrontati dalla popolazione colpita dallo tsunami, sono stati interpellati anche antropologi ed esperti ambientali.
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