Una campagna quasi secondo la buona tradizione
A pochi giorni dalle elezioni federali, si delinea un quadro politico alquanto stabile, almeno secondo gli ultimi sondaggi. Un quadro che riflette una campagna elettorale piuttosto sotto tono, in cui nessun partito è veramente riuscito ad imprimere grandi accenti. Questa volta, neppure la destra.
Salvo drammatici avvenimenti negli ultimi mesi, il 2011 resterà probabilmente nella memoria come un anno globalmente positivo per la Svizzera dal profilo economico e sociale. Niente grandi catastrofi, una crescita economica discreta, tenendo conto del contesto internazionale, un tasso di disoccupazione al di sotto del 3% e casse statali in buona salute.
Un quadro confortevole per la maggior parte della popolazione, ma non di certo per gli addetti alle campagne elettorali, che si sono ritrovati poco pane da mettersi sotto i denti. L’anno elettorale è stato contrassegnato finora da tre eventi, il cui impatto politico si è rivelato piuttosto limitato, almeno in base agli ultimi sondaggi.
I dibattiti sulla politica energetica, aperti dall’incidente di Fukushima, sono stati smorzati dalla rapida rinuncia del governo a nuove centrali atomiche. Le inquietudini legate al rafforzamento del franco sono state alleviate dal deciso intervento della Banca nazionale. Le dimissioni della ministra socialista Micheline Calmy-Rey non hanno catalizzato molto l’attenzione, dal momento che la battaglia sulla futura composizione del governo debutterà veramente solo dopo le elezioni del 23 ottobre.
Campagna meno intensa
Il risultato è stato per finire una campagna elettorale relativamente sotto tono – per alcuni osservatori addirittura fiacca – rispetto al clima più arroventato degli ultimi anni elettorali 2003 e 2007. “Direi che non si possa parlare di una campagna fiacca. Però, se la paragoniamo con quella di 4 anni fa, è stata sicuramente meno intensa, soprattutto per quanto concerne il grado dei conflitti”, ritiene Silvano Moeckli, politologo dell’università di San Gallo.
La campagna, tutto sommato piuttosto garbata, potrebbe iscriversi nella tradizione politica che aveva caratterizzato la Svizzera fino agli anni ‘90. Ossia prima che l’Unione democratica di centro (UDC) desse fuoco alle polveri con manifesti provocatori, attacchi al governo, toni aggressivi e inusitati per i costumi politici elvetici. Il partito di destra ha lanciato anche questa volta la sua offensiva anti stranieri e anti Unione europea, ma senza poter dominare il dibattito nazionale come nelle ultime due o tre elezioni.
“L’UDC è riuscita ad accaparrarsi il tema numero uno, ossia quello dell’immigrazione, però la sua strategia è stata disturbata da alcuni eventi, come quello di Fukushima. Inoltre, questa volta, non ha potuto personalizzare e drammatizzare la campagna come 4 anni fa, quando aveva fatto della permanenza di Christoph Blocher in governo una questione di vita o di morte per il futuro del paese”, osserva Silvano Moeckli.
Un’opinione condivisa da Michael Hermann, politologo dell’Università di Zurigo, che intravede ulteriori ragioni. “Da un lato, si denota una certa usura per quanto riguarda il tema dell’immigrazione. E, dall’altro, gli altri partiti hanno imparato a rispondere con un certo distacco alle provocazioni dell’UDC, quali i cartelloni antistranieri. Rinunciando a reagire, non hanno permesso all’UDC di monopolizzare i dibattiti con i suoi temi preferiti”.
Marchio elettorale
Se i maggiori schieramenti di sinistra – Partito socialista (PS) e Partito ecologista svizzero (PES) – e del centro – Partito liberale radicale (PLR) e Partito popolare democratico (PPD) – hanno potuto impedire all’UDC di monopolizzare i dibattiti, non sono stati in grado, neppure quest’anno, di imporre a loro volta dei temi dominanti e dei forti accenti alla campagna elettorale. E, questo, nonostante alcuni progressi.
“Questa volta gli altri grandi schieramenti hanno portato dei temi più mirati e concreti: ad esempio, il PS ha puntato sulla questione della giustizia sociale, il PLR sul risanamento delle assicurazioni sociali e la lotta alla burocrazia, il PPD sulla famiglia e le piccole e medie imprese. Ma, rispetto a loro, l’UDC si è già costruita un vero e proprio marchio presso l’elettorato, martellando i suoi temi abituali dagli anni ‘90”, afferma Michael Hermann.
Progressi denotati anche da Silvano Moeckli, che osserva inoltre come il sistema politico svizzero, basato sulla concordanza, penalizzi i due partiti storici del centro. “La posizione al centro del PLR e del PPD costringe questi due partiti a svolgere continuamente un ruolo integrativo per riunire delle maggioranze in parlamento. Per vincere una campagna elettorale bisognerebbe invece polarizzare, come può fare la destra e la sinistra. È difficile vincere un’elezione affermando di voler seguire una politica di moderazione e di consenso”.
Quadro piuttosto stabile
Anche in questa campagna è mancata inoltre a tutti i partiti la capacità di proporre una nuova visione sul futuro della Svizzera, di aprire un vasto dibattito sulle grandi sfide per il paese, la globalizzazione, i rapporti con l’Europa, la società. “La Svizzera vive una situazione quasi paradisiaca dal profilo economico e sociale, rispetto a molti paesi. Oggi la preoccupazione non è tanto di creare una nuova società, come alcuni decenni orsono, ma piuttosto di salvaguardare il benessere attuale”, spiega Michael Hermann.
Ribadendo le loro posizioni abituali – e in modo più efficace rispetto al passato per quanto riguarda i rivali dell’UDC – i partiti sembrano essersi per finire neutralizzati durante questa campagna. L’ultimo barometro elettorale pronostica un quadro piuttosto stabile: a vincere sarebbero solo le due nuove forze emergenti al centro, i Verdi liberali e il Partito borghese democratico, che guadagnerebbero alcuni punti a scapito del PLR. Ma questa tendenza traspariva già prima dell’avvio della campagna, osservando i risultati delle elezioni cantonali degli ultimi 4 anni.
Il prossimo 23 ottobre il popolo svizzero è chiamato a rinnovare le Camere federali.
I 200 membri della Consiglio nazionale (Camera del popolo), vengono eletti secondo il sistema proporzionale, ossia tenendo conto della forza numerica dei partiti. I seggi vengono ripartiti tra i cantoni in base alla loro popolazione.
Gli elettori dovranno inoltre eleggere 45 dei 46 membri del Consiglio degli Stati (Camera dei cantoni) – il rappresentante di Appenzello interno è già stato eletto in aprile. Ogni cantone dispone di due seggi ed ogni semicantone di un seggio. Le elezioni avvengono in base al sistema maggioritario, tranne nei cantoni di Neuchâtel e del Giura.
La politica svizzera è dominata da quattrograndi partiti di governo, che da oltre un secolo si spartiscono circa l’80% dell’elettorato. Si tratta dell’Unione democratica di centro (28.9% degli elettori nel 2007), il Partito socialista (19.5%), il Partito liberale radicale (17.7%) e il Partito popolare democratico (14.5%).
Dagli ’80 è emersa una nuova forza politica, il Partito ecologista svizzero, salito nel 2007 fino al 9,6% dei voti. Gli ecologisti non stati però finora ammessi nell’esecutivo.
Altri due partiti emergenti – nati negli ultimi anni da scissioni – si stanno ritagliando un certo spazio: i Verdi liberali (separatisi dagli ecologisti nel 2004) e il Partito borghese democratico (separatosi dall’Unione democratica di centro nel 2008). Stando ai sondaggi, questi due schieramenti potrebbero uscire vincitori dalle prossime elezioni, ma non dovrebbero superare il 5% risp. 4% dei voti.
In parlamento siedono inoltre cinque partiti minori che complessivamente rappresentano il 5.5% dell’elettorato e dispongono ciascuno da uno a tre rappresentanti. In questa legislazione si tratta della Lega dei ticinesi, dell’Unione democratica federale, del Partito cristiano-sociale, della Sinistra e del Partito evangelico.
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