Una conferenza per l’Iraq
La Svizzera vuole aprire un dibattito internazionale sulle conseguenze di un conflitto in Iraq e intensifica i preparativi per un intervento umanitario.
Minacciata dallo scoppio di una guerra, la popolazione civile irachena vive in uno stato di perenne insicurezza.
«Speriamo di poter organizzare la conferenza sulle conseguenze umanitarie di un eventuale conflitto in Iraq già per la metà di febbraio» ha dichiarato Walter Fust, capo della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (Dsc), in occasione dell’annuale conferenza stampa della Dsc tenutasi martedì a Berna.
Il raggio d’azione della Dsc non è certo limitato all’Iraq, ma i venti di guerra che soffiano nel Golfo, hanno portato la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey – dal cui dipartimento dipende la Dsc – a spingere affinché la Svizzera mettesse a disposizione delle parti in causa la sua esperienza in campo umanitario.
Una conferenza per non essere colti impreparati
Da mesi ormai le tensioni tra Stati uniti e Iraq tengono il mondo col fiato sospeso. Sarà guerra contro Baghdad? Troppo spesso limitata agli interessi americani e alla volontà di distruggere un ipotetico asse del male, la discussione sulla guerra ha dimenticato di valutare quali sarebbero le conseguenze di un conflitto per la popolazione civile.
Un punto affrontato da Micheline Calmy-Rey durante il suo incontro con Colin Powell, ministro degli esteri Usa, al Forum economico di Davos. Da qui è partita anche l’iniziativa svizzera a favore di una conferenza internazionale sulle conseguenze umanitarie di una guerra.
«La ministra Calmy-Rey era dell’opinione che l’organizzazione della conferenza spettasse a noi», ha dichiarato il direttore della Dsc, Walter Fust. «Siamo pronti, abbiamo una certa esperienza in questo campo e ci impegneremo affinché le diverse parti in causa siano sensibilizzate alle conseguenze che un conflitto in Iraq avrebbe per la popolazione civile».
Vale a dire morti e feriti. Ma anche profughi, infrastrutture distrutte, mancanza d’acqua e di generi alimentari, carenze a livello medico sanitario, trasporti e comunicazioni difficoltose. Conseguenze che, come ha puntualizzato Fust, saranno più o meno gravi a seconda del tipo di guerra condotta.
Lavori in corso
A Ginevra dovrebbero intervenire responsabili dell’Onu, della Croce rossa internazionale, i paesi coinvolti direttamente nel conflitto e i paesi che confinano con l’Iraq, i più esposti al flusso di profughi che una guerra metterebbe inevitabilmente in moto.
Il direttore della DSC afferma che i preparativi per la conferenza sono in corso da circa una settimana «Non sappiamo ancora esattamente chi parteciperà, ma abbiamo già riscontrato delle reazioni positive».
«Sì» di massima in attesa di maggiori informazioni
Interpellate da swissinfo, le rappresentanze diplomatiche di Stati uniti, Gran Bretagna e Iraq hanno detto di non aver ancora ricevuto un invito ufficiale. Prima di decidere su un’eventuale partecipazione alla conferenza aspettano di conoscere nei dettagli quali temi saranno all’ordine del giorno.
Tuttavia, Samir Khairi Annama, ambasciatore iracheno all’Onu di stanza a Ginevra, si è detto felice della scelta svizzera di parlare di gente e non solo di petrolio: «Tutti parlano della volontà americana di mettere le mani sul petrolio iracheno e nessuno parla delle conseguenze disastrose che questa guerra avrebbe sulla società e sulle infrastrutture dell’Iraq».
In attesa di un invito ufficiale sono anche le organizzazioni Onu che però si dicono pronte senz’altro a partecipare. Per Ruud Lubbers, alto commissario Onu per i rifugiati, quella svizzera è «una buona idea». È necessario condividere il peso delle conseguenze umanitarie di un eventuale conflitto.
Far fruttare un’esperienza di anni
Oltre alla conferenza ginevrina, i preparativi della Dsc sono in pieno svolgimento anche nelle regioni interessate dalla crisi. Si prevede infatti un’intensificazione degli aiuti umanitari forniti insieme all’Onu e alla Croce rossa internazionale.
Un coordinatore è già di stanza a Baghdad e altri esperti del Corpo svizzero di aiuti umanitari della Dsc sono pronti ad intervenire se ci fossero dei cambiamenti nella situazione umanitaria.
Una delle preoccupazioni principali della Dsc è raggiungere quelle persone che già oggi, per ragioni geografiche o di sicurezza interna, non hanno accesso agli aiuti alimentari internazionali.
«L’Iraq è l’antica Mesopotamia, un melting pot di civilizzazioni, 13 religioni, diversi gruppi etnici: un terreno su cui muoversi è tutt’altro che facile», ha affermato Walter Fust in un’intervista rilasciata a swissinfo. E questo anche se la collaborazione con il programma alimentare mondiale dell’Onu è buona e le autorità irachene, contrariamente a quanto da molti supposto, cooperano in modo positivo con la Dsc.
Indipendenti dagli Usa
L’aveva già detto Micheline Calmy-Rey a Powell, chi si prepara ad una guerra dovrebbe tenere in considerazione le esigenze di chi si occupa dell’aiuto umanitario. «Tuttavia» aggiunge Walter Fust «l’aiuto umanitario non deve essere parte dell’intervento militare».
La Dsc è ben intenzionata ha mantenere una propria autonomia decisionale, anche se in caso di guerra c’è da aspettarsi che gli Usa cercheranno di controllare le operazioni di aiuto umanitario.
swissinfo, Doris Lucini
La Dsc è presente in Iraq dal 1993
Per il 2003 sono stati stanziati 5 milioni di franchi per l’aiuto umanitario in Iraq
In caso di guerra il budget dovrà essere aumentato
Sono pronti beni di prima necessità per un valore di 250’000 franchi
Per l’UNHCR in caso di guerra ci saranno 1,2 milioni di profughi e saranno necessari 37,4 milioni di dollari in aiuti umanitari
La Dsc agirà nel 2003 secondo il motto «la sicurezza tramite lo sviluppo». Oltre all’Iraq, punti d’intervento importanti saranno la Corea del Nord e la Costa d’Avorio.
I conflitti generano insicurezza nella popolazione e sono all’origine di flussi migratori. Walter Fust, direttore della Dsc, ha sottolineato l’importanza della cooperazione e del dialogo con i paesi da cui parte l’emigrazione.
Altri temi centrali per la Dsc sono la sicurezza alimentare, l’accesso all’acqua, il diritto alla salute, la protezione contro l’arbitrio e la violenza: tutti pilastri della sicurezza degli esseri umani.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.