Una scuola di calcio che non è solo pallone
Lo svizzero Marc Duvillard dirige dal 2001 una scuola di calcio ad Harare. Dopo aver descritto a swissinfo la crisi che sta attraversando lo Zimbabwe, Duvillard parla del suo progetto, del calcio in Africa e di come l'Euro è seguito nel paese.
Forse qualche tifoso del Football Club Lugano lo ricorda ancora seduto sulla panchina dei bianconeri. Marc Duvillard è sbarcato sulle rive del Ceresio nel 1985, dove è rimasto fino al 1991, ottenendo nel 1988 una promozione in Serie A.
Nel 1995, dopo aver allenato il Losanna, Duvillard ha cambiato decisamente rotta, ed è approdato in Zimbabwe, paese che è diventato ormai la sua seconda patria.
swissinfo: Lei è arrivato in Zimbabwe nel 1995 per allenare una squadra di club. Cosa l’ha spinta ad abbandonare la carriera di allenatore professionista per fondare una scuola di calcio?
Marc Duvillard: La squadra che allenavo, il Black Aces Football Club, era di proprietà di uno svizzero. Il progetto era di scoprire dei talenti per poi trasferirli in Europa, nel Grasshopper di Zurigo in particolare. Si trattava insomma di fare dei soldi. Il progetto però è naufragato a causa di malversazioni.
Fin da subito mi sono reso conto che c’erano sì dei buoni giocatori, ma che non esisteva nessun tipo di formazione. Poi, col passare del tempo, sono stato confrontato sempre più spesso alla realtà di questo paese. Si cerca di preparare dei giovani a giocare a calcio, uno o due magari riescono ad imporsi, ma gli altri?
Mi sono perciò detto che bisognava creare una struttura di formazione che non fosse incentrata solo sul calcio, bensì sull’educazione in generale.
swissinfo: Si tratta insomma di formare degli uomini più che dei calciatori…
M.D.: Degli uomini e delle donne, poiché la nostra accademia accoglie, oltre a 38 ragazzi di età compresa tra 13 e 20 anni, anche venti ragazze.
Sì, è chiaro. Quando sono in Europa e parlo coi responsabili di club o dei partner dico sempre che l’aspetto calcistico del nostro progetto è importante, ma non è il principale. Conta soprattutto l’aspetto sociale.
Mi viene in mente un esempio molto recente. Nel 2000 abbiamo accolto un giovane orfano. Era un buon giocatore, ma fisicamente era così fragile da non avere alcuna chance. Ha però fatto dei buoni studi e 15 giorni fa è partito per la Malesia, dove – grazie anche al nostro sostegno finanziario – seguirà un corso universitario di tre anni in informatica. Non sarà un giocatore di calcio, ma la sua vita è cambiata. Cerchiamo insomma di dare ai nostri allievi una base per iniziare nella vita. Alcuni ci riescono, altri no.
swissinfo: Giocare in Europa è spesso un sogno per i calciatori africani. Cosa dice ai suoi allievi?
M.D.: Alcuni sono già venuti in Svizzera, in Ticino per la precisione. Un ragazzo si trova attualmente a Tenero, per seguire uno stage “sport e scuola” di due mesi.
Certo, sognano di andare in Europa. La realtà è però diversa. Il “sistema calcio” è ormai solo un grande business. Ci sono i procuratori che gravitano attorno ai giocatori, gli intermediari, i club… Tutti vogliono dei soldi.
Quando parlo coi club, la domanda classica è “sì, è un buon giocatore, ma se poi lo rivendiamo quanto possiamo guadagnarci?”.
Ai responsabili delle squadre dico sempre di venire qui per rendersi conto della realtà in cui vivono questi giovani. Se uno di loro arriva in Europa e non è sostenuto a dovere, avrà delle enormi difficoltà. Bisogna aver pazienza, continuare a formarlo per farlo crescere.
Noi abbiamo un partenariato con un club norvegese di serie A, il Lyn Oslo. Loro ci aiutano finanziariamente e in un futuro prossimo dovremmo inviar loro dei giocatori. Sono comunque ben coscienti dell’aspetto sociale del nostro progetto.
swissinfo: L’Euro è ormai alle porte. È un avvenimento che interessa anche in Zimbabwe?
M.D.: Sì, certamente. Oggi ci sono i canali televisivi via satellite. Il calcio inglese è molto seguito e le partite dell’Euro saranno sicuramente trasmesse anche qui da noi.
swissinfo: E lei come lo seguirà?
M.D.: In parte lo seguirò in Svizzera. Ho infatti in programma delle vacanze. Ho detto a mio figlio che forse andremo a vedere una partita. Chissà, con un colpo di fortuna potrei riuscire ad avere dei biglietti.
swissinfo: Il suo pronostico?
M.D.: Una squadra che ho sempre apprezzato per la qualità del gioco e dei giocatori è la Spagna, anche se non ha mai vinto nulla. Forse questa sarà la volta buona.
Per quanto concerne la Svizzera, molto dipenderà dal primo incontro. Può sicuramente fare un buon torneo. L’amichevole contro la Germania non penso possa far testo. Ci sono dei giocatori che sanno di far parte del contingente di titolari, che hanno degli appuntamenti importanti coi loro club e che naturalmente fanno fatica a dare il 100% in una partita amichevole.
swissinfo: I prossimi Campionati del Mondo si disputeranno in Sudafrica. Cosa significa questo avvenimento per l’Africa?
M.D.: Penso sia molto importante non solo per il Sudafrica, ma per tutta l’Africa australe. La FIFA ha autorizzato le squadre che si qualificheranno a risiedere a un’ora e mezzo dal luogo di competizione, quindi alcune squadre potrebbero optare per il Botswana, il Mozambico, la Namibia o anche lo Zimbabwe, a patto che la situazione si stabilizzi e vi sia un nuovo governo. I Mondiali rappresentano quindi una grossa opportunità per tutta la regione.
Il grosso problema al quale è confrontato il Sudafrica è la criminalità. Non so come si organizzeranno. Per quanto concerne gli stadi e le infrastrutture non vi è nessun problema.
swissinfo, intervista di Daniele Mariani
Marc Duvillard, classe 1952, ha militato in diverse squadre di calcio svizzere tra il 1971 e il 1983.
Nel 1983 è diventato allenatore, guidando dapprima il La Chaux-de-Fonds, poi il FC Lugano (tra il 1985 e il 1991) e infine il Losanna.
Tra il 1992 e il 1994 è stato osservatore tecnico per la nazionale svizzera.
Nel 1995 è arrivato in Zimbabwe, dove ha allenato i Black Aces di Harare e per tre partite la nazionale.
L’AYSSF è stata fondata nel 2001 da Marc Duvillard con il sostegno di diverse altre persone.
L’obiettivo di questa accademia è non solo di formare dei calciatori professionisti, ma anche di offrire una formazione di qualità ai giovani, che provengono tutti dagli strati meno favoriti della popolazione.
L’AYSSF si assume le spese della scolarizzazione, dei pasti, garantisce le cure mediche e ha avviato un programma di sensibilizzazione ai pericoli dell’AIDS.
Attualmente ospita 38 ragazzi e 20 ragazze di età compresa tra 13 e 20 anni.
La fondazione vive soprattutto grazie alle donazioni. I giovani che diventeranno dei giocatori professionisti si impegnano dal canto loro a versare il 10% del loro salario durante tre anni. Gli altri che avranno un’attività professionale al di fuori del calcio, il 5% del loro salario per un anno.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.