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I frontalieri italiani sul piede di guerra

Ogni giorno oltre 60mila frontalieri italiani varcano il confine per venire a lavorare in Svizzera. Keystone

Dopo la Camera bassa, anche il Consiglio degli Stati ha dato il via libera alla Convenzione di doppia imposizione tra Svizzera e Italia. La vertenza fiscale tra i due paesi non è però ancora risolta. Manca ancora la ratifica del nuovo accordo sui frontalieri, contestato di qua e di là del confine.

Il 23 febbraio 2015, Svizzera e Italia hanno sottoscritto un protocollo di modifica della Convenzione sulla doppia imposizione, così come una “road map” per risolvere le altre vertenze fiscali e finanziarie in sospeso, in particolare quella sui frontalieri. Con la nuova convenzione i due paesi s’impegnano a adottare gli standard dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che prevedono lo scambio d’informazioni su richiesta.

In altre parole, l’Italia potrà ottenere dalla Svizzera assistenza amministrativa per interi gruppi di contribuenti sospettati di aver nascosto denaro nelle banche elvetiche. Da parte sua, la Svizzera non sarà discriminata dal programma italiano di autodenuncia (“voluntary disclosure”), che stabilisce sanzioni più pesanti per il rientro dei capitali depositati in paesi non cooperativi a livello fiscale.

Dopo il via libera della Camera bassa lo scorso dicembre, il protocollo è stato approvato anche dal Consiglio degli Stati (Camera alta) con 42 voti senza opposizione. La strada è invece tutt’altro che spianata per il nuovo accordo sull’imposizione dei frontalieri. 

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Uno ‘splitting’ fiscale invece dei ristorni

Al termine di negoziati lunghi ed estremamente difficili, per riprendere il termine usato dalla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, il 15 dicembre 2015 Svizzera e Italia hanno sottoscritto un accordo sull’imposizione dei frontalieriCollegamento esterno, che sostituirà quello del 1974.

Le pressioni per una riforma sono giunge soprattutto dal Ticino, dove la presenza quotidiana di oltre 60mila frontalieri suscita da tempo malumore e incomprensione tra la popolazione. Il cantone ritiene inoltre di essere svantaggiato fiscalmente.

Attualmente i lavoratori frontalieri sono imponibili soltanto nel luogo in cui lavorano, ossia in Ticino, in Vallese o nei Grigioni. La Svizzera ristorna poi il 38,8% delle imposte ai comuni di frontiera.

Secondo il nuovo accordo, invece, il reddito di un frontaliere verrà tassato al 70% in Svizzera, mentre il restante 30% spetterà all’Italia. In un primo momento Roma applicherà delle aliquote speciali che dovrebbero mantenere inalterata la pressione fiscale del frontaliere.

Proteste dei frontalieri

Sul lungo termine, questo sistema di ‘splitting’ si tradurrà però in un aumento del carico fiscale dei frontalieri, perché le imposte sul reddito sono sensibilmente più alte in Italia rispetto alla Svizzera. I lavoratori italiani sono dunque sul piede di guerra e si sono riuniti in diverse associazioni per far sentire la loro voce.

Ma anche le città lungo il confine, che ora ricevono direttamente i ristorni dalla Svizzera, sono preoccupate. Col nuovo accordo, i soldi finiranno nelle case di Roma e solo in seguito saranno riversati ai comuni. I sindaci temono ritardi e imprecisioni nei pagamenti.

“Mi fido ciecamente di quello che fa Berna, ma non mi fido per nulla di ciò che farà Roma in futuro”, ha dichiarato a inizio febbraio Omar Iacomelli, sindaco della cittadina di Piuro, in provincia di Sondrio.

Anche Roberto Maroni si è schierato contro l’accordo e ha detto di volersi erigere a portavoce della causa dei frontalieri. Anche perché la regione Lombardia non è stata invitata ai negoziati, un fattore che ha particolarmente indisposto il presidente della regione. La Lega Nord ha inoltre accusato il governo Renzi di aver “svenduto” i lavoratori italiani.

Frontalieri e lavoratori stranieri secondo lo Stato di domicilio

swissinfo.ch

Malcontento anche in Ticino

L’accordo con l’Italia non suscita però entusiasmi nemmeno in Ticino, che si attendeva molto di più da questa riforma. Con un’aliquota al 70%, rispetto all’attuale 61,2%, le entrate supplementari per il cantone sono soltanto “briciole”, affermano in molti.

Marco Bernasconi, professore di diritto tributario alla SUPSI, ha calcolato che il Ticino oggi incassa dalle imposte sui frontalieri 150 milioni di franchi e ne riversa 60 all’Italia. Col nuovo accordo incasserebbe invece 105 milioni, 15 milioni in più. Questo importo andrà poi diviso tra cantoni (6 milioni), comuni (5 milioni) e Confederazione (4 milioni).

Il governo ticinese ha preso conoscenza della firma dell’accordo, ma finora non ha preso ufficialmente posizione. “A marzo incontreremo il consigliere federale e ministro delle finanze Ueli Maurer”, ha dichiarato a swissinfo.ch Christian Vitta, capo del dipartimento delle finanze e dell’economia del canton Ticino.

L’Italia mette un freno

Per poter entrare in vigore, l’accordo sui frontalieri dovrà essere ratificato dal governo e dal parlamento dei due paesi.

Mentre in Svizzera il processo di ratifica sta per giungere a conclusione, in Italia il dossier ha subito uno stop al Senato, dopo essere stato approvato dalla Camera dei deputati. Il senatore del PD Claudio Micheloni – relatore della Commissione degli affari esteri – ha infatti chiesto ulteriori chiarimenti, in particolare sull’imposizione degli immobili posseduti da italiani residenti in Svizzera o dagli emigrati rientrati in patria.

L’Italia ha inoltre posto una condizione: in una dichiarazione unilaterale, Roma si riserva il diritto di non proseguire il processo di ratifica se Berna ostacolerà la libera circolazione delle persone.

I prossimi passi, ha fatto sapere il Ministero italiano dell’economia e delle finanze, “sono subordinati all’assenza di ogni forma di discriminazione e all’individuazione di una soluzione ‘euro-compatibile’ nell’adeguare la legislazione svizzera al risultato del voto popolare sull’iniziativa del 9 febbraio 2014”.

Un monito anche al Ticino. A Roma non è infatti piaciuta la decisione del cantone di obbligare i frontalieri a procurarsi un estratto del casellario giudiziale. Una misura ritenuta discriminante, così come la scelta del governo ticinese di imporre un’aliquota al 100% sui frontalieri, invece di fare una media cantonale. Lo scorso giugno, l’Italia aveva d’altronde chiesto alla Commissione europea di avviare una procedura d’infrazione contro la Svizzera. 

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I datori di lavoro che non rispettano le condizioni minime salariali dovrebbero essere sanzionati in modo più severo: è quanto ha deciso il 1° marzo 2016 il Consiglio nazionale (126 voti contro 65), dando seguito a un progetto governativo. Le multe dovrebbero passare da 5mila a 30mila franchi.

La riforma riguarda in particolare i datori di lavoro stranieri che operano in Svizzera con personale distaccato e che non rispettano i contratti collettivi o la legge sul lavoro. La deputazione ticinese alle Camere ha chiesto inoltre un rafforzamento delle misure accompagnatorie. Il Nazionale ha autorizzato i cantoni a prolungare più facilmente i cosiddetti Contratti normali di lavoro (Cnl) che stabiliscono salari minimi nei settori dove sono stati constatata casi di dumping. 

Traduzione dal tedesco, Stefania Summermatter

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