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Agli svizzeri piace la via bilaterale

Si restringe, ma gli svizzeri vogliono continuare a seguire la strada dei bilaterali con l'UE Keystone

La maggioranza degli svizzeri sostiene il bilateralismo con l'UE. Il SEE o l'adesione all'UE non sono un'alternativa. La questione di riprendere il diritto comunitario polarizza fortemente. È quanto risulta da un sondaggio rappresentativo della SRG SSR.

Gli svizzeri sono “diventati grandi fans” degli accordi bilaterali con l’Unione europea (UE), dice Claude Longchamp, responsabile dell’istituto gfs.bern, che ha condotto l’indagine conoscitiva per conto della società svizzera di radiotelevisione SRG SSR.

Venti anni dopo il no di popolo e cantoni all’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo (SEE), il 54% degli intervistati ritiene che sia stata una “buona decisione”, mentre solo il 23% la considera “sbagliata”. Dunque, dal voto del 6 dicembre 1992, l’opposizione all’adesione al SEE è aumentata. Allora i no erano stati il 50,3% e i sì il 49,7%.

L’aumento degli avversari di un’adesione al SEE è dovuto ad elettori di tutti i partiti politici. I due maggiori partiti di centro – liberali radicali (PLR) e popolari democratici (PPD) – da allora si sono riposizionati. Nel 1992, la maggioranza degli elettori di entrambi era favorevole al SEE. Oggi, invece, sono in maggioranza contrari. Il fenomeno è più marcato nel PLR che nel PPD.

“Röstigraben” scomparso, resta lo “Spaghettiberg”

Dopo il no al SEE, l’elettorato elvetico ha approvato due volte (nel 2000 e nel 2005) degli accordi bilaterali tra Berna e Bruxelles. Per il 62% delle persone interrogate dal gfs.bern si è trattato di una buona decisione. La quota di chi è di questo parere, nella Svizzera francese è del 66%, mentre in Ticino è di solo il 43%.

Gli atteggiamenti nei confronti del SEE e dei bilaterali nella Svizzera tedesca e francese “si sono allineati”, afferma Longchamp, sintetizzando i risultati del sondaggio. “Il fossato dei Rösti è scomparso, la montagna degli spaghetti è rimasta”, commenta.

Nel 1992, la Svizzera francese aveva votato in maggioranza per e la Svizzera tedesca contro il SEE. Il Ticino non solo ha respinto il SEE, ma da allora, a differenza delle altre regioni linguistiche, ha rifiutato anche gli altri modelli di cooperazione con l’Europa (accordi bilaterali, Schengen-Dublino, fondo di coesione per i paesi dell’Est, libera circolazione delle persone).

L’adesione all’UE non è d’attualità

Per il futuro, il 63% degli intervistati vorrebbe continuare sulla via bilaterale. L’11% potrebbe immaginare di aderire al SEE. Il 10% desidererebbe la disdetta degli accordi bilaterali, il 10% non sa quello che preferirebbe e solo il 6% è a favore dell’adesione all’UE. Né un’adesione al SEE o all’Unione europea, né la via solitaria sono “attualmente un’alternativa” alla via bilaterale, dice Longchamp.

È vero che la maggioranza degli elettori dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) respinge ancora la via bilaterale. Ma i consensi anche in questo partito sono saliti dal 24% nel 2000 all’attuale 40%.

Centro e sinistra hanno la maggioranza

Ad essere precisi, sulla questione europea non si sono formati due poli opposti all’interno della popolazione svizzera, ma tre diversi gruppi, rileva Longchamp.

Oltre ai tradizionalisti conservatori, che si oppongono a qualsiasi riavvicinamento con l’Unione europea e che hanno un’alta considerazione dell’esercito, c’è un gruppo che sostiene la partecipazione della Svizzera alle organizzazioni internazionali, mantenendo tuttavia l’identità svizzera, e che al contempo vuole riformare lo Stato e l’esercito. Questo gruppo sostiene i bilaterali. Il terzo gruppo è a favore della cooperazione internazionale, del sovra-nazionalismo e del pacifismo. Questo sostiene l’adesione all’Unione europea.

Grosso modo, i tre gruppi politicamente corrispondono, nell’ordine, alla destra, al centro e alla sinistra. Il centro e la sinistra insieme hanno costituito la maggioranza a favore dell’Europa nelle votazioni popolari dal 2000 in poi.

Salari e affitti quali punti critici

Tuttavia, questa costellazione potrebbe vacillare, perché, nonostante tutto l’amore degli svizzeri per i bilaterali, questo percorso diventa sempre più irto per la Confederazione. La pressione di Bruxelles su Berna è aumentata e la libera circolazione delle persone è rimessa in discussione non solo dalle cerchie conservatrici di destra.

Cosicché, benché il 60% degli intervistati sia favorevole alla libera circolazione delle persone, la metà di costoro ritiene che essa porti dumping salariale e aumenti delle pigioni e dei prezzi immobiliari. Particolarmente alta nella sinistra è la quota di chi di principio la sostiene, ma è preoccupato per questi effetti economici. “Salari, affitti e prezzi immobiliari, sono i punti critici”, afferma Longchamp. “Se la posizione della sinistra dovesse cambiare, allora sarebbe la fine della libera circolazione delle persone”.

Ricordi del SEE

Anche la pressione dall’esterno è fortemente aumentata. L’Unione europea dice che nuovi accordi bilaterali sono possibili soltanto a strette condizioni. E chiede anche che gli accordi esistenti siano adattati allo stato attuale del diritto comunitario. Inoltre, in futuro il contenuto degli accordi dovrebbe essere controllato da una giurisdizione comune.

La questione dell’adozione del diritto comunitario è fortemente polarizzata. Il 43% degli intervistati è a favore, il 41% contrario, il 16% è indeciso. Solo nella Svizzera francese una leggera maggioranza, il 53%, è a favore. Nelle città il tasso di approvazione è invece nettamente più alto. Il quadro che esce dal sondaggio ricorda quello della votazione di 20 anni fa, osserva Longchamp: “La polarizzazione segue di nuovo gli stessi fossati e ancora una volta si pone al centro la questione della sovranità”.

Il proseguimento della via bilaterale proposta all’Unione europea, resta una priorità del governo svizzero.

“La via bilaterale è la via che conduce all’unità del paese”, ha affermato il ministro degli esteri elvetico Didier Burkhalter, il 30 novembre in una conferenza stampa a Berna.

L’adattamento del diritto interno a quello comunitario è stato respinto “quasi all’unanimità” nell’ambito della procedura di consultazione, ha rilevato Burkhalter. Un’adesione allo Spazio economico europeo (SEE) significherebbe per la Svizzera dover riprendere il diritto comunitario, senza però avere diritto di codecisione.

“Non vedo alcuna possibilità di cambiare strada”, ha aggiunto il ministro.

La scorsa estate Berna aveva presentato a Bruxelles proposte per sviluppare le relazioni. I servizi dell’alta responsabile UE per gli affari esteri Catherine Ashton avevano dato un giudizio negativo sulle proposte.

Il governo svizzero ha annunciato che, nonostante le critiche di Bruxelles, il dialogo proseguirà l’anno prossimo. La disponibilità segnalata dall’UE di continuare i colloqui con la Confederazione sulle questioni istituzionali, secondo l’esecutivo elvetico sono “un passo avanti concreto e positivo”.

L’istituto gfs.bern ha intervistato telefonicamente, tra il 16 e il 23 novembre 2012, un campione rappresentativo di 1’206 persone con diritto di voto in tutte le tre regioni linguistice della Svizzera.

Per ragioni legate alla protezione dei dati, le autorità non mettono più a disposizione le coordinate degli svizzeri residenti all’estero, che perciò non sono più presi in considerazione nei sondaggi condotti su mandato della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR in vista di votazioni federali.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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