“La Svizzera non ha un’agenda segreta”
Dalla finestra del suo ufficio al sesto piano, Valentin Zellweger gode di una vista panoramica sul suo nuovo regno: la Ginevra internazionale. Un quartiere che va dal Lago Lemano all’aeroporto di Cointrin et dove si trovano le sedi europee di alcune tra le più importanti organizzazioni internazionali, come l’ONU, l’OMS, l’UNHCR e l’OMC.
È dal 1° di agosto, festa nazionale, che Valentin Zellweger ha assunto la carica di ambasciatore svizzero presso le Nazioni UniteCollegamento esterno e le organizzazioni internazionali a Ginevra. Dopo le prime settimane di lavoro, ha già fatto sua l’affermazione del suo predecessore Alexandre Fasel: questo è sicuramente il miglior posto che può offrire il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE):
“Ginevra è molto più importante di quanto immaginassi. Sono rimasto colpito dalla grande varietà e dall’importanza del lavoro svolto qui”, spiega il 54enne dalla carriera già rodata.
Dal suo arrivo a Ginevra, il diplomatico si è ritrovato subito in prima linea: ha presieduto la riunione annuale degli ambasciatori svizzeri, ha assistito al Consiglio dei diritti umaniCollegamento esterno e si è occupato dell’accoglienza del segretario di Stato americano John Kerry, a Ginevra per i negoziati sulla Siria col suo omologo Sergueï Lavrov.
“In fondo, è il miglior modo per imparare. Quando si ha troppo tempo per apprendere qualcosa di nuovo, diventa molto più complicato”.
A Ginevra, Zellweger ha modificato la sua routine quotidiana, a partire dai tragitti quotidiani. “Ora prendo il battello per andare al lavoro. Ma non è uno yatch, dice ridendo. Questo mezzo di trasporto pubblico lacustre mi permette di attraversare il lago in 15 minuti soltanto”.
A difesa del Consiglio dei diritti umani
In quanto rappresentante della Svizzera sulla scena internazionale, Zellweger ha un’agenda che assomiglia quasi a un elenco telefonico. Ma c’è una sfida che gli sta particolarmente a cuore: il buon funzionamento del Consiglio dei diritti umani, di cui la Svizzera è uno dei 47 paesi membri, per il periodo 2016 al 2019.
Le critiche contro questo organismo, la cui creazione nel 2006 è stata fortemente voluta da Berna, sono ricorrenti. Di recente, il presidente del Consiglio, l’ambasciatore coreano Choi Kyong-lim, ha evocato la frustrazione di alcuni paesi di fronte a quello che ha definito un clima di ostruzionismo.
Valentin Zellweger avverte: “Il Consiglio dei diritti umani vale molto di più della sua reputazione. È vero, ci sono delle inquietudini, ma il Consiglio è uno specchio dell’attualità. Il mondo sta diventando più complicato e frammentato”.
Il modus operandi della Svizzera
Durante la 33esima sessione del ConsiglioCollegamento esterno, svoltasi a settembre, la Svizzera ha sostenuto un certo numero di iniziative. Tra queste figurano una risoluzione sui legami tra crimini di massa e giustizia transnazionale e un’altra sui diritti culturali in situazioni di conflitto armato. Berna si è inoltre impegnata molto nella lotta contro l’estremismo violento.
Ma in che modo la piccola Svizzera affronta queste sfide in seno al Consiglio dei diritti umani?
“Cerchiamo di adattare il nostro contributo ai diversi problemi che incontriamo. A volte può essere utile un consiglio teorico, altre invece si privilegia un lavoro alla base, con la società civile, o la creazione di canali di dialogo. Non c’è una soluzione pronta per l’uso”.
Vantaggi e svantaggi del sistema multilaterale sono stati un importante tema di dibattito durante la conferenza annuale degli ambasciatori svizzeri. Un incontro che per la prima volta si è svolto nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra, il mese scorso. Il ministro degli esteri Didier Burkhalter ha dichiarato che la Svizzera ha buone carte in mano per rafforzare il sistema, nel campo della ricerca di consensi, l’elaborazione di idee innovative o la promozione di un approccio di lavoro pragmatico, in piccoli gruppi.
Valentin Zellweger concorda: “Uno dei punti forti della Svizzera è che siamo considerati come un giocatore onesto. Non abbiamo un’agenda nascosta o obiettivi strategici che comportano importanti cambiamenti di direzione. Pragmatismo e realismo aiutano spesso a trovare soluzioni che permettono di colmare il fossato tra le diverse posizioni”.
Si tratta di trovare il buon compromesso, aggiunge l’ambasciatore. “Si ottengono risultati solo ascoltando gli altri e cercando di capire cosa vogliono. Per poi, alla fine, trovare una via comune. Questo approccio fa quasi parte del nostro DNA”.
Società civile, università, imprese
Un’altra grande priorità per la missione svizzera sarà quella di seguire i piani di rinnovo di diverse sedi di organizzazioni internazionali a Ginevra, come il Palazzo delle Nazioni Unite. Oltre due milioni di franchi svizzeri saranno investiti nella costruzione di nuovi stabili e nella ristrutturazione di quelli vecchi, così come nella rete di trasporti. Una parte considerevole di questi finanziamenti proverrà da prestiti federali e cantonali.
Di recente, un editoriale del quotidiano Le Temps esortava la Svizzera a “liberarsi dalla sua mentalità di albergatore discreto e neutrale”, per partecipare in modo più attivo alle discussioni di fondo, difendendo i valori democratici. “Se c’è un atout di cui la Svizzera può ancora godere, è la sua democrazia, che garantisce una partecipazione inclusiva alla costruzione di un buon governo mondiale”.
Valentin Zellweger preferisce non esprimersi sull’accusa fatta alla diplomazia elvetica di “mentalità di albergatore”, ma sottolinea che il modello e i valori democratici svizzeri possono essere estremamente utili per i diplomatici. “Ovunque si va, la gente considera la Svizzera come un’oasi di pace e di dialogo. Ciò ci dà molta credibilità”.
Valentin Zellweger osserva inoltre che Confederazione e cantone hanno una strategia sul lungo termine per rafforzare il ruolo della Ginevra internazionale. Il diplomatico ammette comunque che è necessario uno sforzo supplementare, al di là dei mattoni e della malta.
“I problemi di oggi non possono essere risolti dai singoli governi. Abbiamo bisogno di un approccio inclusivo, che tenga conto non solo della società civile e del mondo accademico, ma anche delle imprese. Come si può far fronte con le crisi sanitarie senza l’aiuto dell’industria farmaceutica e medica? Ginevra ha un grande potenziale, grazie all’importante presenza di aziende internazionali e al suo spirito di apertura. Siamo bravi in questa ricerca di compromesso e di inclusione”.
Traduzione di Stefania Summermatter
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