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“I rom sono diventati il bersaglio ideale”

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L'area di sosta di Wileroltigen si troverebbe a 1 km circa dal villaggio, a fianco dell'autostrada. In Svizzera oggi esistono solo due aree di sosta fisse per i nomadi europei, nei cantoni di Friburgo e Grigioni. © Keystone / Thomas Delley

I cittadini del canton Berna voteranno il 9 febbraio sulla creazione di un'area di sosta per i nomadi. Un progetto controverso che mette in luce i sentimenti antizigani ancora molto presenti in Svizzera e nell'Unione europea. Intervista a Samuel Delépine, specialista delle comunità zigane.

La creazione di un’area di sosta per i nomadi nel canton Berna suscita tensioni. I cittadini dovranno esprimersi il 9 febbraioCollegamento esterno su un credito di 3,3 milioni di franchi per l’allestimento dell’area, situata vicino all’autostrada presso il villaggio di Wileroltigen.

Lo spazio potrebbe accogliere fino a 36 carovane di nomadi europei che vengono a lavorare in Svizzera durante la bella stagione. Il progetto è combattuto dalle autorità comunali e dai giovani dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazional-conservatrice) del canton Berna, che hanno lanciato un referendum contro il credito.

Le comunità itineranti hanno la vita dura in Svizzera, perché il numero di aree di sosta è largamente insufficiente. Questa situazione provoca conflitti con la popolazione locale e tra i diversi gruppi nomadi. Dal punto di vista legale, i cantoni sono obbligati a creare delle aree di sosta, ma spesso i progetti si scontrano con l’opposizione dei comuni e dei loro abitanti.

Il caso di Wileroltigen illustra bene il razzismo nei confronti dei rom, degli jenisch e dei manouche, ritiene l’Associazione per i popoli minacciatiCollegamento esterno, che denuncia un antiziganismo strutturale e persistente. I giovani UDC sono stati del resto condannati per discriminazione razzialeCollegamento esterno per una caricatura pubblicata nelle reti sociali.

L’antiziganismo è un tema che preoccupa in modo particolare il Consiglio d’EuropaCollegamento esterno, che ha avviato numerosi programmi per lottare contro la discriminazione dei rom e dei nomadi in vari paesi d’Europa.

Samuel DelépineCollegamento esterno è docente di geografia sociale all’università di Angers, in Francia. È autore di Atlas des TsiganesCollegamento esterno (L’atlante degli zigani) e di un saggioCollegamento esterno che mette in relazione la crescita dei populismi in certi paesi europei con l’aumento dell’antiziganismo.

swissinfo.ch: Quando oggi si parla di antiziganismo, cosa si intende?

Samuel Delépine: Il rifiuto dei cosiddetti “zigani” ha purtroppo radici storiche. In passato queste popolazioni hanno vissuto situazioni molto dolorose in Europa, in particolare durante la Seconda guerra mondiale, quando hanno subito uno sterminio. Ancora oggi esiste un razzismo puro e duro nei loro confronti, ma c’è stata anche un’evoluzione nel tempo di questo atteggiamento.


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L’antiziganismo è un termine emerso all’inizio degli anni 2000, in particolare nel Consiglio d’Europa. Analogamente all’antisemitismo, descrive l’avversione di principio nei confronti di una popolazione. La parola è legata all’identificazione da parte delle istanze europee di una minoranza unita e omogenea a livello europeo. Il fenomeno è però più antico.

L’Unione europea si è dunque interessata alla popolazione rom e nomade e ha creato una categoria?

Il processo di categorizzazione è evoluto nel corso del XX secolo. Durante la Seconda guerra mondiale i nazisti non si sono preoccupati molto della diversità delle popolazioni. Volevano semplicemente eliminare gli “zingari”. Oggi gli intenti sono completamente diversi, ma si resta in un processo di categorizzazione che consiste nell’identificare una minoranza etnica europea. A mio avviso si tratta di un errore.  

La categorizzazione permette certo di finanziare determinati programmi nell’ambito dell’educazione, degli alloggi o dell’impiego, ma facilita soprattutto l’identificazione di una minoranza particolare e questo alimenta l’antiziganismo.

È chiaro che non è colpa dell’Unione europea se c’è l’antiziganismo, ma il fatto di aver creato una categoria unica permette ai populisti e ai nazionalisti di identificare molto facilmente un bersaglio.

Lo scopo era tuttavia di aiutare queste popolazioni laddove subivano delle discriminazioni. Pensa che questo obiettivo sia stato mancato?

Gli obiettivi erano e rimangono lodevoli, ma le misure hanno avuto effetti perversi. A livello locale, soprattutto in Europa centrale e orientale, il fatto di gestire dei progetti specifici per i rom ha generato in taluni casi reazioni di rigetto: perché loro e non noi. E i rom in un simile contesto sono serviti da bersaglio per i populisti, che si oppongono alle istituzioni europee e alle comunità che sostengono e finanziano

I rom sono diventati un bersaglio ideale, una sorta di nemico interno, una minaccia, l’altro che non è “come noi”. Anche se oggi, in molti discorsi populisti, lo zigano è stato sostituito da un’altra figura di rigetto: il migrante, in particolare se musulmano. In vari paesi europei l’antiziganismo non è tuttavia diventato meno virulento.

L’Unione europea utilizza spesso i termini rom e nomadi. Lei dice che non esiste una minoranza etnica unica. Allora quali popolazioni sono comprese da questa definizione?

Non dico che non ci siano caratteristiche comuni. Ci sono collegamenti tra le comunità. Ma sono soprattutto le popolazioni che le hanno accolte ad aver attribuito loro queste qualifiche. Oggi non dico che non ci siano punti in comune tra un gitano in Andalusia, un rom kosovaro o un manouche in Bretagna, ma dire che tutte queste persone costituiscono una sola minoranza, mi sembra un errore.

Si può capire che un’istituzione sopranazionale abbia bisogno di simili categorie per agire, che non possa raggiungere i suoi scopi se distingue ogni singolo gruppo, ma il rovescio della medaglia è la crescita dell’antiziganismo.

“La continua etnicizzazione non permette di ottenere a una trasformazione sociale.”

Si collegano spesso i termini rom e nomade. Anche questo è discutibile?

È il primo errore. A livello europeo, le comunità nomadi sono molto minoritarie. I nomadi rumeni, per esempio, non esistono. L’espressione è utilizzata in Svizzera, in Francia e in Belgio. In Francia i nomadi costituiscono una categoria amministrativa che in realtà è una categoria etnica non dichiarata. Questo crea molta confusione, perché anche se la legge del 1969 relativa a quello statuto è stata abrogata, la categoria rimane.

Lei è molto scettico rispetto all’etnicizzazione di queste popolazioni. Quale approccio bisognerebbe favorire secondo lei?

Studiando la questione da anni ho l’impressione che questo velo etnico, questa rappresentazione primaria, assuma le forme di una conoscenza e arrivi a influenzare la politica. Si ignora invece tutto quanto dirige l’attenzione verso i problemi sociali.

La questione culturale ed etnica esiste, non la si può semplicemente cancellare. Il problema è che la si alimenta. Non si tratta di ignorare le categorie o le particolarità culturali, ma a un certo punto bisogna riconoscere che molte questioni sono sociali: la disoccupazione, l’accesso all’educazione, la formazione professionale, l’accesso alle cure mediche. La continua etnicizzazione non permette di ottenere una trasformazione sociale.

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Traduzione dal francese: Andrea Tognina

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