I parlamentari svizzeri fanno sempre più fatica a capirsi?
Troppi eletti federali svizzero tedeschi non capirebbero una parola di francese. A lanciare il sasso nello stagno è stato un deputato vodese. Semplice provocazione o c’è del vero? Lo abbiamo chiesto a dei testimoni super partes, dei parlamentari di lingua italiana.
«Contrariamente a un’idea preconcetta, a Berna i romandi non sono gli ultimi della classe nelle lingue. Molti eletti svizzero tedeschi non capiscono una parola di francese». L’opinione pubblicata lunedì 6 giugno sulle colonne del giornale della Svizzera francese Le Temps dal deputato vodese Fathi Derder non è passata inosservata nel resto del paese.
Altri sviluppi
Del buon uso delle lingue nella Berna federale
Due giorni dopo, il quotidiano zurighese Tages-Anzeiger ha pubblicato a sua volta un articolo intitolato «Abrechnung mit Deutschschweizer Französisch-BanausenCollegamento esterno» (Regolamento di conti con gli svizzero tedeschi senza cultura francofona) nel quale riportava le critiche di Derder, suscitando una valanga di commenti. Inoltre il giornale ha chiesto ai lettori se ritenevano che i futuri parlamentari dovessero sottoporsi a un test linguistico prima di entrare in carica. Un verdetto senza appello, poiché circa il 70% affermava di sì.
Dal 2007 in Consiglio nazionale e capogruppo del Partito liberale radicale alle Camere federali, il ticinese Ignazio CassisCollegamento esterno ritiene che la provocazione del suo collega di partito «non sia priva di fondamento».
E l’italiano?
Se parlare francese può a volte rappresentare uno svantaggio nei dibattiti alle Camere, esprimersi in italiano significa avere possibilità ancora inferiori di essere capiti dai propri colleghi.
«Lo faccio ogni tanto, consapevole dei limiti dell’esercizio – afferma Ignazio Cassis. Parlare italiano alla tribuna può avere una funzione dimostrativa o mediatica. Non è però assolutamente una lingua di lavoro».
Marco Chiesa ha dal canto suo deciso di utilizzare sempre la sua lingua madre quando prende la parola davanti al plenum.
Silva Semadeni, perfetta poliglotta poiché oltre alla sua lingua madre padroneggia anche tedesco, francese e romancio (la quarta lingua nazionale, parlata in parlamento da quattro eletti), parla in un idioma diverso a seconda delle occasioni. «Se ad esempio mi esprimo a titolo personale, parlo italiano. Cerco comunque di insistere affinché si usi il più possibile la nostra lingua, poiché più è presente, più è accettata».
Incomprensione reciproca
«È difficile dire se fosse meglio in passato. Ho però l’impressione che col passare degli anni questa comprensione reciproca sia sempre meno scontata», afferma Cassis, che si esprime correntemente sia in francese che in tedesco. Ciò vale però non solo per i germanofoni, ma anche per i francofoni, sottolinea il consigliere nazionale ticinese.
La socialista grigionese Silva SemadeniCollegamento esterno, che ha seduto una prima volta in Consiglio nazionale vent’anni fa, indica dal canto suo di «non avere indizi» di un peggioramento della situazione. È vero però, continua la deputata, che «soprattutto tra i parlamentari della Svizzera orientale ve ne sono molti che non parlano francese».
Neoeletto nella Camera del popolo, il rappresentante dell’Unione democratica di centro (UDC) Marco ChiesaCollegamento esterno afferma dal canto suo di non avere finora constatato nessun problema. «All’interno del nostro gruppo possiamo esprimerci liberamente in francese e in tedesco. Inoltre, vi sono molti colleghi di partito che capiscono bene anche l’italiano».
Un problema soprattutto nelle commissioni
Il problema d’incomprensione non si pone tanto durante le sedute plenarie. In Consiglio nazionale, chi ha qualche difficoltà a capire la lingua di Goethe o di Molière può infatti far capo al servizio di traduzione simultanea. Durante i lavori di commissione, dove si prendono importanti decisioni, la storia è diversa. «Ho vissuto situazioni abbastanza imbarazzanti, dove dopo mezz’ora vi erano colleghi esausti che non riuscivano più a seguire il dibattito nell’altra lingua o dove mi sono ritrovato a dover tradurre al vicino di tavolo», osserva Cassis. Visto che la grande maggioranza dei parlamentari parla tedesco, è facile capire chi si spossi per primo.
A suo agio in francese, meno in tedesco, Marco Chiesa ammette che a volte quando si discute di questioni tecniche è difficile stare al passo. «È però un passaggio obbligato, mi sto dando da fare per migliorare le mie conoscenze di tedesco», spiega.
Per Silva Semadeni il problema è un altro: un parlamentare che si esprime in francese spesso «non riesce a incidere». Diversi optano quindi per il tedesco.
Insofferenti verso il francese?
Ed è del resto l’opzione che ha scelto anche il ministro degli esteri Didier Burkhalter – «Lo dirò in tedesco, sennò non sarei capito» – durante il dibattito sull’aiuto allo sviluppo in Consiglio nazionale, ha sottolineato Fathi Derder nel suo articolo.
A dimostrare maggiore insofferenza verso il francese (e scarsa comprensione) sarebbero soprattutto i rappresentanti dell’UDC, ha inoltre osservato il deputato vodese. Una critica che secondo Ignazio Cassis va relativizzata: «Dipende dal tema. L’insofferenza a cui faceva riferimento Derder riguardava il dibattito sull’aiuto allo sviluppo. E visto che su questo tema vi è un’ostilità maggiore nei ranghi dell’UDC…».
Marco Chiesa, che fa parte appunto dell’UDC, non nasconde una certa irritazione per i propositi di Derder: «Non ho assolutamente mai percepito questa avversione nei confronti del francese. Tanto più che il numero di esponenti francofoni dell’UDC è aumentato e che dall’inizio dell’anno abbiamo un ministro romando, Guy Parmelin».
2’000 franchi all’anno per corsi di lingua
I parlamentari hanno la possibilità di seguire di corsi di lingua (lingue nazionali e inglese) e di farsi rimborsare al massimo 2’000 franchi all’anno.
Per questa offerta, i servizi del parlamento hanno a disposizione un budget di 60’000 franchi annui.
Coesione nazionale
Che questa insofferenza sia reale o solo percepita, un fatto è però irrefutabile: in alcuni cantoni della Svizzera tedesca il francese non sembra più essere una priorità. Turgovia è intenzionata ad abolire l’insegnamento del francese alle elementari, mettendo l’accento sull’inglese quale prima lingua straniera. E altri cantoni stanno valutando se procedere nella stessa direzione.
«Queste iniziative, sostenute soprattutto dall’UDC, rafforzano l’idea – anche tra alcuni eletti – che il francese in fondo non sia poi così importante», sottolinea Silva Semadeni. Mi sorprende che siano i nazionalisti ad avere questa ritrosia nei confronti della seconda lingua nazionale, continua la deputata grigionese.
La tendenza preoccupa molto anche Ignazio Cassis: «Ci sono voluti anni per giungere a un concordato intercantonale Harmos che fissa un minimo comune denominatore in materia di insegnamento delle lingue. E oggi ci sono dei cantoni che lo rimettono de facto in discussione. La pace delle lingue non è però un fatto scontato. Se si guarda all’esempio di altri paesi come il Belgio o il Canada, è facile rendersi conto di quanto questa pace sia fragile e degli impatti nefasti che ci possono essere quando essa viene rotta. La pace delle lingue è un fattore determinante per la coesione nazionale e la prosperità economica. Dobbiamo quindi fare molta attenzione a non spezzare questo equilibrio».
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