Aung San Suu Kyi, simbolo della lotta per la democrazia in Birmania, è stata liberata sabato. La Confederazione accoglie con soddisfazione il rilascio della dissidente.
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swissinfo.ch e agenzie
Dopo sette anni consecutivi di arresti domiciliari, San Suu Kyi ha potuto di nuovo respirare aria di libertà. Accolta da una folla festante all’esterno della sua villa-prigione a Rangoon, ha ricordato ai sostenitori che occorre «lavorare insieme, all’unisono» per raggiungere l’obiettivo di una Birmania democratica e che «c’è un tempo per il silenzio e un tempo per parlare», invitandoli a tornare ad ascoltarla il giorno dopo.
La leader dell’opposizione democratica birmana era reclusa fra le quattro mura domestiche dal lontano 2003, quando un convoglio sul quale viaggiava finì in un’imboscata, organizzata apparentemente dal regime. Suu Kyi, sopravvissuta alla sparatoria, che causò la morte di un centinaio di persone (quattro secondo il governo), venne arrestata, insieme ad altri collaboratori.
È iniziato così per lei un altro periodo di arresti domiciliari, il terzo. Nel 1989 era stata reclusa per la prima volta in casa. Liberata nel 1995, viene di nuovo imprigionata cinque anni più tardi, nel 2000. Liberata nel 2002, il suo ennesimo arresto avviene un anno dopo, nel 2003.
Oggi pare concludersi l’odissea del premio Nobel per la Pace. La 65enne San Suu Kyi, figlia del “Padre della patrià generale Aung San – ucciso quando lei aveva solo due anni – ha trascorso 15 degli ultimi 21 anni in detenzione.
Intanto, anche Berna si unisce al coro di Stati che salutano la liberazione della dissidente birmana. La Confederazione si aspetta che la leader dell’opposizione possa operare senza limitazioni dei diritti dell’uomo, quali le libertà d’espressione, di riunione e di movimento, si legge nel comunicato del Dipartimento federale degli affari esteri.
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