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“C’è la tendenza a credere che la Croce Rossa possa fare cose fuori dalla sua portata”

Fabrizio Carboni
Fabrizio Carboni, direttore regionale del CICR per il Medio Oriente, afferma che la capacità del CICR di costruire "rapporti di fiducia" con tutte le parti in conflitto armato ha permesso di facilitare il rilascio degli ostaggi. swissinfo.ch

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) facilita la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza e di prigionieri palestinesi incarcerati da Israele, un'operazione delicata resa possibile dalla sua neutralità. Il suo lavoro è spesso mal compreso, afferma Fabrizio Carboni, direttore per il Medio Oriente presso l'organizzazione umanitaria.

“Tesi” e “complicati”. È con questi termini che Fabrizio Carboni, direttore regionale del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) per il Vicino e il Medio Oriente, descrive i giorni appena trascorsi quando lo incontriamo a Ginevra lunedì 27 novembre. Per quattro giorni i suoi colleghi e colleghe a Gaza hanno operato per  la liberazione di 50 ostaggi israeliani detenuti e detenute nella Striscia di Gaza e di 150 prigionieri palestinesi incarcerati in Israele.

Queste liberazioni quotidiane di ostaggi e prigionieri, da venerdì scorso a lunedì, facevano parte di un accordo tra Israele e Hamas che prevedeva anche una tregua di quattro giorni, poi prolungata. Martedì, altri dieci  ostaggi israeliani sono stati scambiati icon  30 prigionieri palestinesi.

Al CICR è stata affidata l’implementazione delle operazioni di liberazione e trasferimento di queste persone. In quanto intermediario neutrale, non ha partecipato ai negoziati.

Secondo Carboni, è grazie alla capacità del CICR di stabilire dei “rapporti di fiducia” con tutte le parti in conflitto  che l’organizzazione con sede a Ginevra può condurre, come ha fatto molte volte in passato, operazioni così delicate. Questa fiducia, spiega, si basa sulla promessa “che resteremo neutrali. Non faremo commenti sulla situazione politica. Non prenderemo posizione sulle ragioni per cui si combatte o sul diritto di utilizzare la forza”.

“Questo ci permette, nell’ambito della liberazione di ostaggi, di essere presenti sul campo di battaglia, di partire in piena notte per recarci in un luogo segreto e accogliere degli ostaggi. Simultaneamente, ci assicuriamo che a centinaia di chilometri di distanza si sta svolgendo un’operazione analoga, in questo caso con detenuti palestinesi”, spiega Carboni.

A prima vista, la missione sembra essere puramente logistica. In realtà, essere percepiti come intermediari degni di fiducia in un conflitto armato tra “parti tra le quali non c’è fiducia reciproca e che vogliono distruggersi a vicenda” è “estremamente difficile” e necessita un lavoro sul lungo termine, sottolinea il responsabile.

++++ Fabrizio Carboni spiega l’importanza della neutralità del CICR. Una versione più lunga di questa intervista sarà disponibile in inglese nel nostro podcastCollegamento esterno Inside Geneva il 9 gennaio.

Accesso alle persone in ostaggio

In queste ultime settimane, il CICR è stato criticato, tra gli altri, dal ministro degli esteri israeliano Eli Cohen, il quale ha detto che l’organizzazione “non ha diritto di esistere” se non incontra gli ostaggi israeliani nella Striscia di Gaza. Le Convenzioni di Ginevra conferiscono al CICR un mandato speciale per le visite ai prigionieri di guerra, per verificare il loro stato di salute e portare notizie alle persone a loro care. Ma queste visite si possono svolgere solo con l’accordo delle autorità interessate.

“C’è la tendenza a credere che possiamo fare cose al di fuori dalla nostra portata. Non abbiamo un esercito. Non abbiamo armi. Non abbiamo un peso politico che potrebbe obbligare le parti a fare ciò che non vogliono”, spiega Carboni.

Il CICR ha chiesto a più riprese la liberazione degli ostaggi. Ha anche chiesto di visitare tutte le persone detenute, ma questo accesso è particolarmente difficile da ottenere. In altri conflitti,  i luoghi di detenzione sono lontani dal fronte, ma a Gaza gli ostaggi si trovano nel mezzo di una zona diventata un campo di battaglia. “In primo luogo, le parti non vogliono concederci l’accesso. In secondo luogo, c’è un rischio per la sicurezza”, riassume l’esperto.

Ospedali e diritto internazionale umanitario

La guerra ha avuto un impatto terribile sul sistema sanitario di Gaza. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, quasi tre quarti degli ospedali della Striscia (26 su 36) hanno chiuso a causa dei danni causati dai combattimenti o dalla mancanza di carburante. L’esercito israeliano ha recentemente effettuato un bombardamento sull’ospedale di Al-Shifa, il più grande di Gaza. Secondo Tel Aviv, Hamas avrebbe usato dei tunnel situati sotto il nosocomio per nascondersi e immagazzinare armi.

Carboni non si esprime sulla questione di sapere se gli ospedali siano stati utilizzati come basi militari oppure no. “Quel che posso garantire – dice –  è che nell’ambito del nostro dialogo confidenziale con tutte le parti, siamo stati chiari su ciò che sappiamo e su ciò che loro dovrebbero fare”.

In virtù del diritto internazionale umanitario gli ospedali devono essere protetti, il che significa che non possono essere bersaglio di attacchi né utilizzati a fini militari. Se perdono la protezione perché dei soldati li utilizzano, la forza deve essere usata con accortezza e proporzionalità.

Una tregua e poi?

La tregua in corso ha permesso un maggiore accesso dell’aiuto umanitario nella Striscia di Gaza. La sua estensione è stata una “buona notizia”, afferma Carboni, poiché permette alla popolazione civile di tirare un poco il fiato e di distribuire  aiuti e  liberare le persone detenute. Ma c’è anche un retrogusto amaro perché solleva la questione di cosa succederà dopo. “Gli operatori umanitari non hanno una soluzione a questa crisi, la soluzione deve essere politica”.

“Se non si affrontano le cause profonde della violenza, essa si ripeterà”, aggiunge il responsabile del CICR. Secondo lui, decenni di esperienza nei conflitti nel mondo hanno insegnato all’organizzazione che “concentrarsi unicamente sui piani di sicurezza” non funziona.

La guerra a Gaza, “un luogo chiuso, densamente popolato”, ha avuto un “impatto devastante sulla popolazione civile”, dice. “Abbiamo inviato a Gaza il nostro personale più competente e con maggiore esperienza. Ma anche questi nostri collaboratori e collaboratrici sono rimasti davvero scioccati da ciò che hanno visto”.

Secondo Hamas, quasi 15’000 persone, di cui oltre 6’000 di meno di 18 anni, sono state uccise a Gaza dall’esercito israeliano. L’attacco di Hamas del 7 ottobre aveva ucciso 1’200 persone, secondo Israele, che stima il numero di ostaggi a 240.

Carboni si rammarica del fatto che la preoccupazione del CICR per tutta la popolazione civile – sia essa palestinese o israeliana –  è “un messaggio difficile da trasmettere”. “È possibile occuparsi di tutte le persone civili senza gerarchizzare le sofferenze”, conclude.

A cura di Virginie Mangin

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