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Come i partiti populisti plasmano l’opinione sulla manodopera frontaliera

manifesto che parla degli indiani d America che non sono riusciti a fermare l immigrazione e ora vivono nelle riserve.
Manifesto anti-immigrazione della Lega dei Ticinesi durante la campagna per le elezioni federali del 2011. Keystone / Karl Mathis

La manodopera frontaliera in Svizzera è percepita e accettata in modo diverso da parte della popolazione tra un Cantone e l'altro. I partiti nazionalisti e populisti, come la Lega in Ticino, svolgono un ruolo importante nella creazione di ostilità nei confronti di frontalieri e frontaliere, sostiene un nuovo studio.

Nel settembre del 2020, il popolo elvetico è stato chiamato alle urne per pronunciarsi sull’iniziativa “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)”Collegamento esterno. Il testo, lanciato dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice e anti-immigrazione), avrebbe rimesso in questione gli accordi di libera circolazione tra la Svizzera e i Paesi dell’Unione europea (UE).

L’iniziativa è stata poi respinta dal 60% dell’elettorato a livello nazionale. Osservando i Cantoni in cui si fa più ricorso alla manodopera frontaliera si notano importanti differenze. La proposta ha ottenuto i suoi peggiori risultati a Basilea Città (quasi il 75% di “no”), Vaud (71%) e Ginevra (69%); il suo migliore in Ticino (53% di “sì”).

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Prendendo spunto da questo scrutinio, due politologi ticinesi dell’Università di Losanna (UNIL) Andrea Pilotti e Oscar Mazzoleni, hanno lanciato nell’autunno del 2020 un progetto di ricerca sulla politicizzazione delle frontiere e il suo impatto sull’opinione pubblica in Svizzera. Le principali conclusioni* sono state presentate il 12 luglio all’UNIL, nell’ambito di una giornata di studio del gruppo di ricerca LABOR SwissLuxCollegamento esterno sull’impiego, la mobilità e le identità transfrontaliere alla quale SWI swissinfo.ch era presente.

Cooperazione a Basilea, ostilità in Ticino

Un sondaggio svolto nei Cantoni Ginevra e Ticino e nei due semi-Cantoni di Basilea Città e Basilea Campagna è servito da base per il lavoro dei due ricercatori. Nel Cantone italofono, la popolazione sembra essere sistematicamente più critica riguardo all’apertura delle frontiere. Chi abita a Basilea, invece, pare esserne entusiasta. Ginevra rappresenta una via di mezzo.

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I tre Cantoni di confine sono stati scelti come casi di studio perché presentano differenze economiche, politiche e istituzionali, spiega Pilotti. “Le diversità del caso svizzero forniscono dei campioni dei differenti modi in cui trattare il tema della cooperazione transfrontaliera in Europa”, sottolinea.

Schematizzando, in Svizzera e altrove in Europa si osservano due reazioni alla trasformazione delle frontiere, due metodi di gestire la prossimità con l’estero: un modello “cooperativo”, in cui gli attori stringono accordi transfrontalieri, e un modello “conflittuale”, legato all’euroscetticismo e caratterizzato dalla presenza durevole di attori politici molto critici sull’apertura delle frontiere.

Basilea si distingue come modello cooperativo mentre il Ticino si situa nettamente nell’approccio conflittuale. Ginevra sarebbe invece un modello ibrido.

Queste differenze rispecchiano un insieme di fattori che si alimentano a vicenda, dice Pilotti. “La storia delle scelte passate degli attori di ogni territorio contribuiscono a plasmare l’opinione”. La regione di Basilea ha dimostrato fin dagli anni Sessanta la volontà di puntare sulla collaborazione transfrontaliera. Nel Cantone Ginevra, la cooperazione si è istituzionalizzata all’inizio degli anni Settanta. In Ticino, invece, è molto più recente: esiste dal 1995.

Il cantone italofono è anche più vulnerabile sul piano socioeconomico. “È un cantone periferico sotto diversi punti di vista: linguistico, geografico ed economico”, sottolinea Pilotti. “I salari sono più bassi che altrove in Svizzera, l’economia è meno forte ed è storicamente incentrato su un’industria a basso valore aggiunto”. È anche il Cantone in cui la proporzione di lavoratrici e lavoratori frontalieri rispetto all’insieme della popolazione attiva è più elevata.

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“Il ruolo dei movimenti nazionalisti e populisti non è marginale nella crescita del sentimento anti-frontalieri”, spiega Pilotti. Dove si mobilitano in modo duraturo e con successo, la popolazione diventa più critica nei confronti della manodopera e della cooperazione transfrontaliera.

“I nostri” e “gli altri”

Lo studio considera come “nazional-populisti” il Movimento dei Cittadini Ginevrini (in francese Mouvement Citoyens Genevois, MCG), la Lega dei Ticinesi e l’UDC. “Hanno in comune il fatto di evidenziare una distinzione tra ‘i nostri’ e ‘gli altri'”, illustra il politologo.

In Ticino, dove l’ostilità è più marcata, la politicizzazione della questione transfrontaliera è ben più radicata che altrove. La Lega è nata nel 1991, ovvero quattro anni prima dell’istituzionalizzazione di una cooperazione transfrontaliera. “Anche prima della sua fondazione il movimento pubblicava già il settimanale gratuito Il Mattino della Domenica“, spiega Pilotti. “All’epoca era il giornale con la tiratura maggiore e martellava la sua narrativa anti-italiana e anti-UE e in modo disinibito”. La Lega, sostenuta dall’UDC, ha alimentato le controversie, per esempio tramite una campagna pubblicitaria che paragonava i lavoratori e le lavoratrici d’oltre frontiera a dei ratti che mangiavano il formaggio della popolazione svizzera.

Questa forte mobilitazione ha permesso alla Lega di superare il Partito liberale radicale (destra), che era la prima forza politica, fino a diventare un attore imprescindibile della politica cantonale. “C’è stata una svolta all’inizio degli anni 2000”, indica Pilotti. “Il comportamento alle urne in Ticino, in precedenza molto più in linea con quello degli altri Cantoni latini, è diventato più simile a quello dei Cantoni della Svizzera centrale sulle questioni di frontiera”. Con due seggi su cinque nel Consiglio di Stato (il Governo cantonale) per la Lega, il Ticino è oggi il Cantone dove il partito anti-frontalieri è più forte.

Ginevra, il “caso ibrido”, presenta analogie ma anche notevoli differenze con il Ticino. La crescita della manodopera frontaliera è più marcata e anche la proporzione rispetto alla popolazione attiva è elevata. Come in Ticino, il dibattito politico è stato animato da un partito, l’MCG, chiaramente posizionato come anti-frontaliero e con slogan come “Prima Ginevra e i ginevrini” o “Frontalieri: stop!”. Era la seconda forza politica del Cantone all’inizio degli anni 2010. Il presidente del Governo cantonale Mauro Poggia proviene dai ranghi dell’MCG ed è riuscito a far adottare una misura che ha fatto scuola: la preferenza cantonale nell’assunzione di personale.

Tuttavia, la maggioranza del popolo ginevrino tende a votare contro i testi che intendono limitare l’immigrazione e l’apertura delle frontiere. Perché a Ginevra il discorso anti-frontaliero non trova altrettanta eco che in Ticino? L’MCG è stato fondato nel 2005, non è radicato da tanto tempo come la Lega in Ticino, analizza Pilotti. “L’MCG si è inserito in un terreno meno fertile per lo sviluppo di queste idee, poiché il Cantone era già aperto e rivolto all’internazionale”, aggiunge. “L’MCG ha avuto alcuni successi, ma sono stati piuttosto situazionali. Poggia stesso è meno sovversivo di altre personalità del partito”.

Per ciò che riguarda Basilea, esempio di cooperazione politica di lunga data tra la popolazione residente e il personale transfrontaliero, lo studio sottolinea che le rivendicazioni nazionaliste e populiste di chiusura o di controllo accresciuto delle frontiere sono praticamente assenti e non influenzano minimamente la politica.

*I risultati saranno pubblicati in un’opera collettiva sulla Svizzera, intitolata Nazional-populismo e frontiere, entro la fine dell’anno

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