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Un accordo storico, ma ora bisogna fare molto di più

Il presidente della COP21 Laurent Fabius ha accolto con entusiasmo e a colpi di martello l'accordo raggiunto a Parigi dai 195 paesi partecipanti alla conferenza sul clima. Keystone

Dopo l’euforia con la quale è stato accolto il trattato raggiunto dalla Conferenza internazionale sul clima di Parigi, bisogna ora concretizzare gli impegni presi dai 195 paesi partecipanti, osserva la stampa svizzera. Secondo molti commentatori, la svolta energetica rappresenta una grande chance per l’economia e quindi anche per la Svizzera.

“Con tenacia fino al successo”, così la Neue Zürcher Zeitung riassume l’esito del vertice internazionale sul clima, chiedendosi però se entrerà veramente nei libri di storia oppure se sarà solo il proseguimento della politica sul clima ipocrita in corso da 25 anni. “Vi sono buoni argomenti per entrambi i punti di vista”, risponde il quotidiano zurighese. 

“Da una parte vi è il fatto che, dopo molti tentativi falliti, per la prima volta disponiamo di un contratto che impegnerà tutti i principali paesi, dalla sua ratifica, a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. D’altra parte, vi è però il divario tra le parole e i fatti: la comunità internazionale si è fissata un obbiettivo ancora più ambizioso, ossia limitare il surriscaldamento del pianeta a ben meno di due gradi Celsius. Ma manca ancora la volontà di adottare le misure necessarie per raggiungere questo obbiettivo: i piani nazionali sul clima, presentati finora, farebbero aumentare la temperatura sul pianeta di almeno 3 gradi”.

Accordo di Parigi 

L’accordo, che sostituisce il Protocollo di Kyoto del 1997, fissa come obiettivo il mantenimento del riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2 °C» e chiede di «proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5 °C» rispetto all’era preindustriale. Prevede anche una revisione degli impegni obbligatori «ogni 5 anni» a partire dal 2025, così come un aiuto finanziario per i paesi del Sud. 

L’aiuto ai paesi in via di sviluppo, che deve totalizzare 100 miliardi di dollari all’anno nel 2020, dovrà essere rivisto e aumentato. Questa è una delle esigenze di lunga data dei paesi del Sud. 

L’intesa conclusa a Parigi deve permettere di riorientare l’economia mondiale verso un modello a debole consumo di carbonio. Questa rivoluzione implica un abbandono progressivo delle risorse fossili (carbone, petrolio, gas), che attualmente dominano la produzione energetica mondiale, una crescita delle energie rinnovabili, una forte riduzione del consumo energetico e una maggiore protezione delle foreste.

Anche se la sua importanza potrà essere valutata solo tra diversi anni, il trattato di Parigi crea in ogni caso le premesse per evitare cambiamenti del clima catastrofici, ritiene la Neue Zürcher Zeitung. “L’accordo assume un carattere vincolante dal profilo del diritto internazionale e costringerà tutti i membri a formulare nuove proposte e a discutere ogni cinque anni sul loro inasprimento. Nessun paese potrà quindi sfuggire alle sue responsabilità. Un mondo senza emissioni di gas ad effetto serra appare ancora oggi come un’utopia. Ma, grazie a ‘Parigi’, vi è perlomeno una strategia accettata da tutti per andare in questa direzione”. 

Energie fossili senza futuro 

“Iniziata una trentina di anni fa, finora la lotta mondiale contro il surriscaldamento del clima non aveva mai ottenuto una risposta all’altezza della posta in gioco: proteggere il pianeta e i suoi abitanti dalle conseguenze devastanti di cambiamenti climatici provocati dalla nostre emissioni di gas ad effetto serra”, osserva Le Temps. “Ebbene, questa volta, circa 200 paesi, che producono la stragrande maggioranza di queste emissioni, hanno accantonato le loro divergenze, o almeno una parte, per impegnarsi assieme nella battaglia climatica”. 

Secondo il quotidiano romando, “vi è quindi da rallegrarsi per le ambizioni mostrate con l’accordo di Parigi. Purtroppo, vi è anche da preoccuparsi per la sua inadeguatezza rispetto alla realtà. Gli scienziati stimano che le temperature mondiali sono già aumentate in media di 1 grado rispetto all’era preindustriale. E, secondo le stime, le promesse di riduzione delle emissioni di CO2 formulate dai paesi prima della COP21 porteranno ad un aumento di 3 gradi delle temperature”. 

“Per correggere la traiettoria, bisogna quindi andare molto più lontano di quanto è stato fatto finora”, aggiunge Le Temps, secondo il quale “le energie fossili, responsabili di tre quarti delle emissioni di gas ad effetto serra provocate dall’uomo, non possono più far parte del nostro futuro energetico. Bisogna effettuare il più presto possibile la transizione verso le energie rinnovabili”. 

L’importanza del mercato 

A Parigi, “la politica climatica ha ormai raggiunto il suo punto di non ritorno”, ritiene la Südostschweiz. “Finora la protezione del clima veniva vista come un pericolo per la competitività dei paesi e ogni paese aveva paura di fare più del vicino. L’accordo di Parigi pone fine a questa logica: invia un segnale inequivocabile a paesi, città, produttori, consumatori e investitori per far sapere che l’era del carbone, del petrolio e del gas è ormai finita”. 

“Chi, dopo il 2050, emette ancora gas ad effetto serra, si troverà dalla parte sbagliata della storia”, prosegue il giornale della Svizzera sud-orientale. Da ora in poi, “la competitività di un paese sarà misura in base alla velocità della sua svolta energetica. E ciò vale anche per le imprese e gli investitori. Parigi ha evidenziato chiaramente che molti attori lo hanno già capito. Mentre i governi stavano negoziando, 10’000 imprese, federazioni industriali, casse pensioni e banche di 180 paesi hanno presentato le loro iniziative”. 

In tal modo si rafforza la protezione del clima, rileva la Südostschweiz. “Sempre più denaro scorre verso le energie rinnovabili, ciò che permette di abbassare il loro costi e di aumentare la loro competitività. Perché, per finire, non potranno essere né gli Stati né i cittadini a bloccare i cambiamenti climatici, ma il mercato”. 

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Sopravvivere assieme 

Anche la Tribune de Genève saluta l’accordo, ma avverte che bisogna ora rimanere vigilanti. “Lo slancio profuso dalla diplomazia francese durante i preparativi della conferenza ha contribuito a far avanzare, tutti assieme, mastodonti come gli Stati uniti, la Cina, il Sudafrica, l’India e via dicendo. Per ora, la sincerità di questi paesi, colpiti dagli effetti del riscaldamento del clima e dell’inquinamento, non può essere messa in dubbio. Ma è il caso di chiedersi se dei paesi satelliti, che hanno scelto di approvare l’accordo sabato sera, non tenteranno di farlo fallire al momento in cui dovrà essere validato a livello nazionale”. 

In particolare, “sarà interessante vedere in che modo l’Arabia saudita, il Venezuela e gli altri paesi produttori di petrolio rispetteranno gli impegni presi a Parigi questo 12 dicembre 2015 – una data che potrebbe diventare storica”, sottolinea il giornale ginevrino, secondo il quale i segnali lanciati dalla COP21 sono forti, nonostante le lacune a livello di strumenti. “Il segnale di un’unione universale prende tutta la sua dimensione. Nel loro villaggio planetario, i Terrestri mostrano la loro volontà di vivere o, perlomeno, di sopravvivere tutti assieme”. 

Ruolo di primo piano per la Svizzera 

“L’accordo di Parigi è un contratto globale tra le generazioni, che impegna anche la ricca Svizzera ad assumere una più grande responsabilità nella protezione internazionale del clima”, sostengono il Tages-Anzeiger e il Bund, per i quali spetta ora al parlamento il compito di migliorare gli obbiettivi sul clima, affinché la Svizzera possa svolgere un ruolo di primo piano nella lotta contro i cambiamenti climatici”. 

“L’obbiettivo formulato finora dalla Svizzera non è scolpito nella pietra. Entro il 2030 le emissioni di gas ad effetto serra dovrebbero essere ridotte della metà. Finora, il governo non ha definito in che misura questo obbiettivo possa essere raggiunto tramite progetti sul clima realizzati all’estero. Adesso dovrà però mostrare, in modo trasparente e convincente, perché questo obbiettivo ambizioso non può essere raggiunto soltanto in Svizzera”, rilevano i due giornali. 

La prospettiva di essere all’avanguardia nel campo della protezione del clima non attira per nulla i partiti borghesi, aggiungono il Tages-Anzeiger e il Bund. “Ma vi sono altri argomenti più significativi, come le prospettive che si aprono per l’economia, le imprese high-tech, le aziende energetiche, gli istituti finanziari e le assicurazioni. Anche se la maggioranza dei politici svizzeri non vuole ancora crederci”.

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