Violenze a Gaza: “una dimostrazione arrogante di potere”
Dopo il terribile bagno di sangue di lunedì a Gaza, la stampa svizzera punta il dito contro gli estremisti di entrambe le parti, in particolare contro il presidente americano. Con la sua decisione di spostare la sua ambasciata a Gerusalemme, Donald Trump ha gettato "sale sulle ferite dei palestinesi".
«Il riconoscimento da parte americana di Gerusalemme quale capitale di Israele era veramente necessario?”, si chiedono il Tages-Anzeiger e il Bund, nel loro commento comune. Per i due giornali, l’inaugurazione della nuova ambasciata statunitense è stata una “dimostrazione arrogante di potere”, una “provocazione insuperabile” nei confronti dei palestinesi. Tanto più che è stata organizzata proprio il giorno in cui i palestinesi commemoravano la “Nakba”, la loro espulsione, 70 anni fa, dal territorio oggi occupato da Israele.
Tutto questo è stato come gettare “del sale sulle ferite dei palestinesi, le proteste e i morti nella Striscia di Gaza testimoniano della loro rabbia e della loro frustrazione”, osservano i due giornali. Ai loro occhi, non vi era nessun motivo per cedere alle pressioni del governo israeliano di Benjamin Netanyahu e trasferire l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme: finora si voleva regolare la questione della “città santa” nel quadro di un accordo di pace per il Medio Oriente.
La decisione del presidente americano Trump, presa solo “per far felici gli elettori evangelici e gli amici israeliani”, avrà ora “conseguenze pesanti”, ritengono il Tages-Anzeiger e il Bund. Permetterà “ai fanatici, che negano l’esistenza di Israele, da Hamas a Hezbollah, IS, al Qaida e tutto il calderone terroristico islamico, di giustificare il loro odio nei confronti dello Stato ebraico. E farà perdere la speranza ai palestinesi che non volevano avere a che fare con Hamas. Chi perde la speranza è più ricettivo nei confronti dei predicatori che seminano l’odio. I quali hanno ora nuovi argomenti. Grazie a Donald Trump”.
Enormi pericoli
Anche per la Neue Zürcher Zeitung, il nuovo corso politico sulla Palestina imboccato dal presidente Trump apporta “enormi pericoli”. “Una soluzione di pace appare ora più che mai lontana. Trump ha dato il suo beneplacito alla politica seguita da Netanyahu di drammatizzazione incessante, esacerbazione e umiliazione dei palestinesi. Il capo del governo israeliano può ora trionfare. I sostenitori della linea dura giubilano, Trump diventa il loro messia. Molti lo considerano la reincarnazione del re persiano Kyros II, che aveva reso possibile il ritorno degli ebrei a Gerusalemme”.
“I sostenitori della linea dura si sostengono a vicenda in tutti i conflitti”, prosegue il quotidiano zurighese. “Ciò che serve agli estremisti ebrei, giova anche ad Hamas. Entrambi vogliono e cercano un’escalation. Hamas potrà ora dire di aver sempre saputo che Israele non vuole la pace e che Netanyahu ha ingannato l’ingenuo presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas. E che è giunto di nuovo il momento di pensare alla guerra, invece che alla riconciliazione”.
Le fiamme della disperazione
“Che disprezzo per la vita umana! Come non indignarsi per un uso così sproporzionato della forza?”, si chiedono la Tribune de Genève e 24 Heures nel loro commento comune. “E come non vedere la brutalità senza complicazioni di un leader che sa di essere ciecamente appoggiato dal presidente degli Stati Uniti? Prima di Donald Trump, Israele aveva certamente un alleato leale a Washington. Ma quest’ultimo gli imponeva ancora dei limiti. Ora tutto è permesso”.
“Il trasferimento da Tel Aviv a Gerusalemme dell’ambasciata degli Stati Uniti (inaugurata lunedì) ne è un chiaro esempio”, continuano i due fogli romandi. “Invece di esercitare pressioni su Israele e rilanciare i negoziati, Donald Trump ha offerto a Benyamin Netanyahu ciò che sognava: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale. E suo genero, Jared Kushner, la cui famiglia finanzia gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, sta elaborando un “piano di pace” per cercare di liquidare la questione palestinese senza sacrificare Israele. Trump e Netanyahu credono di schiacciare la rivolta palestinese. Ma alimentano solo le fiamme della disperazione”.
Tocco personale di Trump
“Dobbiamo dare a Cesare ciò che è di Cesare”, scrive La Liberté. “Donald Trump non ha inventato la legge che impegna gli Stati Uniti a spostare la loro ambasciata a Gerusalemme. Tutto quello che ha fatto è stato di applicare un testo approvato dal Congresso americano nel 1995. Ma in passato, come oggi, l’obiettivo rimane lo stesso: applicare senza esitazioni la politica del fatto compiuto in Palestina, far implodere ogni speranza (per quanto scarsa possa essere) di un processo di pace”.
Secondo il giornale friburghese, Trump ha voluto inoltre aggiungere il suo “tocco personale”, ossia “mostrare al resto del pianeta chi comanda, in spregio al diritto internazionale e ai suoi “alleati” occidentali. In altre parole, le circonvoluzioni oratorie dei leader europei, per condannare il gesto di provocazione rivolto ieri al resto del mondo, hanno testimoniato soprattutto la loro impotenza”.
La più grande prigione del mondo
Per il Corriere del Ticino, il trasferimento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme è “una mossa controcorrente, come ama fare l’inquilino della Casa Bianca, che un commentatore francese ha definito un regalo avvelenato per Israele. Da un lato infatti il passo mosso dall’amministrazione americana ha spinto alcuni Stati ad annunciare di voler seguire l’esempio di Washington, ma dall’altro la sempre più ampia scia di sangue che accompagna la repressione da parte israeliana delle proteste palestinesi rischia di avviare una spirale della violenza dagli esiti imprevedibili”.
“Nell’interminabile conflitto tra israeliani e palestinesi sono sempre i più deboli a subire le conseguenze più devastanti”, rileva ancora il quotidiano ticinese. “Si pensi alla popolazione di Gaza che ha sempre pagato il prezzo più alto nelle rappresaglie israeliane al lancio di missili di Hamas contro obiettivi civili nello Stato ebraico. Ora migliaia di palestinesi vivono in condizioni disperate in quella che molti reporter hanno definito la più grande prigione del mondo a cielo aperto. I leader di Hamas ora ordinano ai giovani di prendere d’assalto le barriere lungo il confine con Israele, mentre sul fronte opposto i vertici politici e militari ordinano ai cecchini di sparare contro chi minaccia la sicurezza dello Stato ebraico. I «militi» di entrambi i fronti obbediscono agli ordini, convinti di agire nel giusto”.
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