Cosa ci aspetta in Svizzera: i grandi temi politici del 2024
La nuova ministra dell'interno dovrà affrontare una serie di votazioni popolari, ma le riforme sembrano ancora lontane. Sulla scena internazionale, la Svizzera fa un passo verso Bruxelles e cerca di ritagliarsi uno spazio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
L’anno 2024 si preannuncia essere una maratona per la nuova ministra dell’interno, Elisabeth Baume-Schneider. La socialista dovrà affrontare almeno sei votazioni popolari in un anno, il che la metterà più volte in contrapposizione con il suo partito.
Si tratta di una rara sfida politica che la consigliera federale ha deciso di affrontare in prima persona. Dopo un anno alla guida del Dipartimento federale di giustizia e polizia, criticata dalla destra per la sua politica di asilo, lo ha ceduto al nuovo consigliere federale socialista Beat Jans per assumere quello dell’interno lasciato libero da Alain Berset.
Già il 3 marzo, Elisabeth Baume-Schneider dovrà affrontare la spinosa questione delle pensioni. Dovrà lottare contro due iniziative popolari sul futuro dell’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), il primo pilastro del sistema pensionistico svizzero.
La prima, lanciata dalla sinistra, propone il pagamento di una tredicesima pensione di vecchiaia. I sindacati, le organizzazioni femminili e le organizzazioni dei pensionati e delle pensionate che sostengono l’iniziativa ritengono che gli importi attualmente versati dall’AVS non siano sufficienti per vivere.
Tuttavia, il Governo si oppone a questa proposta, che peggiorerebbe la situazione finanziaria del regime assicurativo, comportando una spesa aggiuntiva di circa 5 miliardi di franchi entro il 2032. La ministra socialista dovrà quindi combattere la sua prima battaglia contro il suo stesso schieramento politico.
L’altra proposta viene da destra. Si tratta di un’iniziativa lanciata dai Giovani liberali radicali, che prevede di innalzare inizialmente l’età pensionabile a 66 anni per tutti e tutte, per poi collegarla all’aspettativa di vita. Se l’idea non piace al Governo, è improbabile che convinca anche l’elettorato, che ha appena accettato di aumentare l’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni.
Missione: riforma della previdenza professionale
Superato questo primo ostacolo, Elisabeth Baume-Schneider non si libererà della questione delle pensioni. Avrà infatti una più grande gatta da pelare con la riforma della previdenza professionale, che la ministra si troverà nella posizione di dover difendere, ancora una volta contro l’avviso del suo partito.
Elaborata dal Parlamento e dal Governo, la proposta di legge mira a garantire il finanziamento del secondo pilastro, poiché l’aumento dell’aspettativa di vita lo mette in discussione. Un modo per farlo è abbassare il tasso di conversione. In pratica, ciò significa che i contributi versati dalle persone assicurate daranno diritto a una pensione inferiore a quella che ricevono oggi.
Questo è inaccettabile per la sinistra e i sindacati, che hanno presentato un referendum. Senza un accordo tra le parti sociali, la riforma sarà difficile da approvare, soprattutto in un contesto di inflazione persistente.
Soluzioni all’aumento dei costi sanitari
Dopo la battaglia sulle pensioni, sarà il momento di affrontare l’aumento dei costi sanitari che, secondo diversi sondaggi, sono in cima alla lista delle preoccupazioni degli svizzeri e delle svizzere. La popolazione elvetica, infatti, continua a vedere aumentare i premi dell’assicurazione sanitaria.
L’elettorato sarà chiamato a votare su due iniziative volte a frenare questa tendenza. L’iniziativa del Centro mira a obbligare il Governo a intervenire quando il costo medio dell’assicurazione malattie obbligatoria di base aumenta del 20% in più all’anno rispetto agli stipendi. L’altra, presentata dal Partito socialista (PS), limiterebbe i premi dell’assicurazione sanitaria al 10% del reddito.
Il Consiglio federale si oppone a entrambe le proposte e anche in questo caso sarà la ministra dell’interno (responsabile anche della sanità) a dover condurre la battaglia. Il compito è delicato, in un ambito in cui Alain Berset e chi lo ha preceduto non sono riusciti a trovare soluzioni.
La pandemia, ancora nell’agenda politica
Un’altra questione appesantisce la lunga lista delle votazioni che occuperanno la ministra dell’interno: l’iniziativa popolare “Per la libertà e l’integrità fisica”, nota anche come iniziativa anti-vaccini. Lanciata nel contesto della pandemia di Covid-19 dal Movimento svizzero per la libertà, l’iniziativa chiede che in Svizzera non venga introdotta la vaccinazione obbligatoria.
Attualmente la Legge federale sulle epidemie prevede una simile possibilità solo “se esiste un pericolo considerevole” e solo per gruppi di popolazione a rischio, ad esempio persone che esercitano determinate attività.
Dato che il popolo svizzero ha già approvato per tre volte alle urne la politica del Governo di lotta contro la pandemia, l’iniziativa ha poche possibilità di successo, soprattutto perché è sostenuta solo dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice).
Anche se Elisabeth Baume-Schneider sarà sotto i riflettori, non sarà l’unica a dover affrontare delle sfide quest’anno. Il suo collega di partito Beat Jans muoverà i primi passi nel Governo come capo del Dipartimento di giustizia e polizia, dove dovrà far fronte alla delicata questione dell’asilo.
Lo spettro della crisi bancaria
Il Consiglio federale dovrà inoltre rendere conto del suo operato nella vicenda di Credit Suisse. In aprile dovrà presentare un rapporto sull’acquisizione della seconda banca svizzera da parte di UBS. L’obiettivo è quello di analizzare i fattori che hanno portato al crollo della seconda banca svizzera e di stabilire perché la regolamentazione “troppo grande per fallire” non ha funzionato.
Il Parlamento attende con impazienza il rapporto del Governo in merito: vuole assicurarsi che un simile fallimento non si ripeta mai più.
Dopo le elezioni federali dell’ottobre 2023, il Governo dovrà fare i conti anche con un nuovo Parlamento più a destra e meno verde. Con la crescita dell’UDC e del PS nella Camera bassa, sarà più difficile trovare compromessi. Il Centro, che ha fatto progressi in entrambe le camere, avrà quindi un ruolo centrale nell’aiutare a trovare maggioranze e a evitare lo stallo.
Nuovi progressi verso Bruxelles
In politica estera, il 2024 sarà l’anno dei legami più stretti con l’Unione Europea (UE). I colloqui esplorativi su un pacchetto di accordi di cooperazione e di accesso al mercato sono stati più fruttuosi del previsto. Anche gli osservatori e le osservatrici più scettici hanno dovuto riconoscerlo, quando il Consiglio federale ha presentato i risultati a metà dicembre.
La Svizzera ha raggiunto un accordo con l’UE su una serie di questioni che in precedenza erano fonte di stallo, come il tribunale arbitrale per le controversie legali, la clausola ghigliottina che si applica in caso di risoluzione di un accordo bilaterale e la direttiva sulla cittadinanza europea. Si prospetta anche la fine delle misure di ritorsione applicate da Bruxelles all’equivalenza delle borse e al programma di ricerca Horizon Europe.
L’UE sembra ora concedere alla Svizzera lo status speciale di fatto di cui gode in quanto isola di costi e salari elevati in Europa. Tuttavia, la protezione dei salari rimane il tallone d’Achille dei futuri negoziati. I sindacati, e con loro il PS, hanno criticato le soluzioni delineate ritenendole insufficienti.
Senza il PS, tuttavia, è difficile vincere una votazione sull’Europa – i trattati internazionali devono essere sottoposti a referendum obbligatorio – tanto più che l’UDC ha già annunciato il suo netto rifiuto di qualsiasi accordo con Bruxelles. Sarebbe a dir poco ironico se i ranghi socialisti eurofili bloccassero ancora una volta la strada verso legami più stretti con l’UE.
Ma sarebbe prematuro trarre conclusioni in questa fase. In ogni caso, i negoziati da condurre sul fronte interno potrebbero rivelarsi più delicati di quelli con Bruxelles per il Consiglio federale, e più in particolare per il ministro degli esteri, il liberale-radicale Ignazio Cassis. Senza contare gli elementi imponderabili di qualsiasi negoziato e il fatto che in estate altre negoziatrici e negoziatori si siederanno al tavolo delle trattative, dal momento che l’UE eleggerà un nuovo Parlamento. Resta il fatto che, dopo anni di procrastinazione, la Svizzera sta uscendo dal guscio; il testo dell’accordo dovrebbe essere pronto per la fine del 2024.
Prova di multilateralismo a New York
Ignazio Cassis rimane relativamente impopolare in Svizzera. Lo dimostrano i vari sondaggi di opinione e il punteggio piuttosto mediocre ottenuto in occasione della sua rielezione in Consiglio federale a metà dicembre. Questo disincanto interno ha spinto il ministro ticinese nelle braccia del multilateralismo, che non apprezzava molto all’inizio del suo mandato? Nessuno tranne lui può dirlo.
Quello che è certo è che Ignazio Cassis apprezza la scena internazionale. Nel 2022 ha organizzato una conferenza sull’Ucraina nella sua città natale, Lugano. Oggi, il conflitto gli offre una seconda opportunità di brillare sulla scena diplomatica. Prima del Forum economico mondiale (WEF), Davos ospiterà a gennaio un nuovo “round di discussioni” dedicato al piano di pace del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Tuttavia, l’aggressore russo non sarà presente al tavolo dei negoziati.
Questo evento è un’occasione per la Svizzera di ribadire i suoi buoni uffici in un momento in cui il contesto geopolitico sta sempre più marginalizzando la diplomazia elvetica. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, che la Svizzera presiederà per la seconda volta nell’ottobre 2024, ne è un esempio. Le grandi potenze con potere di veto vi fanno valere i loro interessi, trasformando l’organo in un club di discussione diplomatica.
Un caso da manuale è quello della Svizzera: all’inizio della sua campagna, la delegazione elvetica si è rallegrata per il successo di una risoluzione lanciata insieme al Brasile, che prevedeva di mantenere aperto il valico di frontiera di Bab al-Hawa tra Turchia e Siria. Solo pochi mesi dopo, tuttavia, ha dovuto assistere impotente al veto della Russia, che ha tagliato questo collegamento così importante per gli aiuti umanitari.
I valori cedono il passo agli interessi
Sulla scena internazionale, la Svizzera è ancora considerata la parte “buona”, quella che agisce senza un’agenda nascosta. Questa osservazione riflette una certa ingenuità da entrambe le parti.
In Svizzera, la politica estera basata sui valori lascia sempre più il posto a un approccio funzionale. La cooperazione allo sviluppo ne è un esempio: alla fine del 2024, la Svizzera si ritirerà da 11 Paesi su 46, compresi quelli dell’America Latina.
La strategia di politica estera si concentra su altre regioni del mondo: Nord Africa, Medio Oriente e Africa subsahariana. Gli sguardi più critici vedono un legame tra la politica di sviluppo e la politica migratoria.
In ogni caso, la solidarietà svizzera con il mondo non è al massimo. È vero che Ignazio Cassis vuole fornire all’Ucraina aiuti alla ricostruzione per 6 miliardi di dollari in dieci anni. Ma l’impegno preso in precedenza, secondo cui questo non deve andare a scapito del resto del bilancio per la cooperazione allo sviluppo, si sta erodendo.
Dopo un anno di discussioni sul blocco delle forniture di armi agli alleati dell’Ucraina e sull’implementazione di sanzioni contro la Russia, durante il quale la sua politica estera è sembrata sulla difensiva e priva di stimoli come la sua squadra di calcio nazionale, la Svizzera sta nuovamente cercando di giocare la propria partita.
A cura di Samuel Jaberg
Traduzione dal francese: Sara Ibrahim
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