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Costituzione cilena: un rifiuto in nome della democrazia

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Persone contrarie al progetto di Costituzione festeggiano a Santiago del Cile domenica 4 settembre 2022. Keystone / Elvis Gonzalez

Più del 60% dell'elettorato cileno ha detto "no" domenica alla nuova Costituzione stilata da un'assemblea eletta direttamente dal popolo. Aveva sia buone che cattive ragioni per farlo.

“Non è stata una semplice sconfitta, ma una completa distruzione del lavoro dell’assemblea costituzionale”, dichiara David Altman che dirige l’Istituto di scienze politiche all’Università cattolica nella capitale cilena, Santiago. “La Costituzione proposta era davvero un testo redatto molto male”, aggiunge.

Dopo anni di discussioni e difficoltà, c’erano pochi dubbi su come avrebbe votato la maggioranza dei 15 milioni di cittadine e cittadini del Cile nel referendum tenutosi il 4 settembre.  Mentre il 60% della diaspora cilena, generalmente molto impegnata politicamente, ha optato per il “sì” (in Svizzera addirittura il 69%), il 62% dell’elettorato residente in patria ha scelto il “no”.

Altri sviluppi

Un voto diverso

Già in marzo, alla pubblicazione dell’articolo 388, lungo 170 pagine, i sondaggi indicavano che la maggioranza avrebbe respinto il documento nel referendum popolare (e obbligatorio).

Le previsioni negative erano però in contrasto con precedenti votazioni sul processo costituzionale, avviato da grandi proteste tre anni fa. Nell’ottobre del 2020, quasi l’80% di chi si era recato alle urne aveva approvato la proposta di un progetto di Costituzione per rimpiazzare il testo attuale, risalente al 1981 e alla dittatura di Augusto Pinochet. Tuttavia, il tasso di partecipazione era stato del 51%. Nel maggio del 2021, solo il 43% dell’elettorato aveva partecipato alle elezioni per selezionare chi avrebbe fatto parte dell’assemblea.

Combinate, queste due votazioni hanno creato una base piuttosto distorta per il processo costituzionale. Secondo un commentatore che non vuole essere identificato, i 155 membri dell’assemblea “si rallegravano di vedere il proprio personale contributo iscritto nel testo che, alla fine, mancava di coerenza e chiarezza”.    

Polemiche “plurinazionali”

Un dettaglio del documento che ha suscitato particolare interesse anche all’estero è stata una serie di clausole che descrivevano il Cile come un Paese “plurinazionale” – una definizione che aveva lo scopo di rafforzare le comunità indigene. Tuttavia, il termine ha solo inasprito il clima di contrasto, specialmente nel multietnico sud, dove gruppi radicali hanno commesso atti terroristici durante la campagna e anche nel giorno del voto.

“Queste azioni sono state molto dannose per il campo del ‘sì'”, dice Yanina Welp, del Centro Albert Hirschman per la democrazia di Ginevra. La ricercatrice nata in Argentina ha seguito il processo costituzionale cileno e fornito consulenza  fin dall’inizio.

Verso un secondo tentativo

Diversamente da Altman, tuttavia, Welp considera il progetto respinto come “un passo avanti, anche se con chiari punti deboli”. Spera che molte delle proposte contenute nel documento restino anche nel prossimo – e necessario – tentativo.

Sarà però compito del presidente cileno Gabriel Boric, favorevole al documento bocciato in votazione, tendere la mano alla vittoriosa opposizione. Un gesto che dovrà basarsi su due insegnamenti chiave: in primo luogo, l’ammissione che il progetto costituzionale respinto era politicamente di parte e sovraccarico e, in secondo luogo, la consapevolezza che il risultato del 4 settembre non è stato un rifiuto della democrazia, ma piuttosto una chiara richiesta di stilare una Costituzione migliore e più democratica capace di ottenere il sostegno della maggioranza del popolo cileno.

Traduzione: Zeno Zoccatelli   

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