La Svizzera non farà più da intermediario tra Washington e l’Avana
Washington e L'Avana riaprono le ambasciate. Con la conclusione di questo lungo capitolo della Guerra fredda, termina anche il mandato di intermediario tra i due paesi assunto per oltre mezzo secolo dalla Svizzera. Qual è stato il ruolo di Berna tra due visioni del mondo che hanno posto il pianeta sull'orlo della deflagrazione?
“Grazie al suo ruolo storico e alla sua esperienza, la Svizzera occupa una posizione ideale per accompagnare il processo di transizione in corso a Cuba”, rileva il Dipartimento elvetico degli affari esteri. Già nel 1961, in virtù del suo statuto di paese neutrale, la Confederazione aveva ricevuto da Washington la richiesta di rappresentare gli interessi statunitensi all’Avana.
Il governo svizzero si è congratulato con le autorità cubane e statunitensi per la riapertura dell’ambasciata di Cuba a Washington e dell’ambasciata degli Stati Uniti a l’Avana il 20 luglio.
Con la riapertura delle due ambasciate cessano anche i mandati in qualità di potenza protettrice che la Svizzera aveva assunto dal 1961 in rappresentanza degli Stati Uniti a Cuba e dal 1991 in rappresentanza di Cuba negli Stati Uniti.
In una lettera inviata al consigliere federale Didier Burkhalter a inizio gennaio 2015, il ministro degli esteri statunitense John Kerry aveva espresso «profonda gratitudine» per gli sforzi profusi dalla Svizzera e per il suo intervento in veste di potenza protettrice degli interessi degli Stati Uniti a Cuba.
L’impegno della popolazione svizzera per un avvicinamento tra i due Stati, in particolare durante la guerra fredda, è «di ispirazione per tutti noi nonché esempio di azione paziente in favore della pace», ha scritto Kerry.
Nel 1959, nel tempo record di 72 ore, gli Stati uniti riconobbero il governo sorto dalla Rivoluzione cubana. Ma la “luna di miele” durò poco. Due anni più tardi, il personale dell’ambasciata americana all’Avana tornò negli Stati uniti a bordo di un traghetto. “È stata una grande delusione”, ha ricordato recentemente all’AFP Wayne Smith, allora terzo segretario dell’ambasciata statunitense.
La Confederazione assunse così da allora un compito spinoso, specialmente durante la “crisi dei missili” di Cuba (1962), momento culmine della Guerra fredda, quando l’Unione Sovietica tentò di stazionare sull’isola delle testate nucleari in grado di raggiungere Washington. Pendeva allora “la minaccia di una terza guerra mondiale, questa volta nucleare”, si legge nei Documenti diplomatici svizzeri (DDS)Collegamento esterno.
I ricercatori del DDS – che hanno annunciato la prossima pubblicazione di un dossier sulla rappresentanza da parte della Svizzera degli interessi statunitensi a CubaCollegamento esterno – ricordano come “la diplomazia elvetica svolse un ruolo di primo piano” durante questa crisi, specialmente quando la Casa Bianca chiese all’ambasciatore svizzero Emil Stadelhofer di mediare con Fidel Castro. Il diplomatico elvetico fu tra l’altro chiamato a organizzare il rimpatrio della salma del pilota americano Rudolf Anderson, abbattuto mentre sorvolava Cuba.
Contributo svizzero durante la “crisi di Camarioca”
La Svizzera ha fornito grandi sforzi di cooperazione con Cuba anche durante la “crisi di Camarioca”, tra il 1965 e il 1973. In questo periodo, oltre 260’000 cubani lasciarono l’isola, prima via mare e poi per via aerea, a destinazione degli Stati uniti.
È stato un compito arduo, ricorda Werner B, assunto allora a Berna per rafforzare il personale dell’ambasciata svizzera a Cuba, oberato di lavoro. “Tra tre e quattromila persone partivano ogni mese. Gli aerei erano pieni. C’erano due voli giornalieri. Il primo giungeva a Varadero tra le sei e le sette del mattino. A bordo c’erano due funzionari dell’immigrazione e un medico. Controllavano i documenti e la salute dei viaggiatori”.
“Ricevevamo centinaia di lettere ogni giorno da persone che chiedevano quale fosse la procedura di registrazione e cosa dovevano fare per essere inclusi nella lista di emigrazione. Abbiamo risposto a tutti. Alcuni con modelli standard. È stato un lavoro enorme”.
“Non eravamo noi a decidere chi poteva partire e chi no”, aggiunge Werner B. “Dovevamo intervistare persone con problemi particolari o che superavano l’età militare, i cui nomi figuravano nelle liste allestite dalle autorità cubane. Dovevamo poi trasmettere i formulari alle autorità statunitensi”.
Più tardi, il nostro interlocutore è entrato definitivamente al servizio del Dipartimento federale degli affari esteri, per il quale ha soggiornato in diversi paesi. Ancora oggi, in pensione, ricorda con particolare emozione l’anno trascorso sull’isola. E, soprattutto, l’apprensione degli intervistati, il dolore della separazione e la generosità di un popolo disposto a condividere quel poco che aveva. “A Cuba ho capito veramente cosa è la condizione umana”.
Il momento di agire
Dal 1991, con la caduta dei regimi comunisti nell’Europa orientale, la Cecoslovacchia cessò di rappresentare gli interessi di Cuba presso gli Stati Uniti e fu la Svizzera a riprendere anche questo mandato. Il compito di intermediario tra i due paesi era però già stato alleggerito dal 1977, ossia da quando Jimmy Carter e Fidel Castro avevano concordato di aprire “sezioni di interessi” bilaterali.
Dal 20 luglio 2015, le rispettive ambasciate riprendono quindi la funzione persa 54 anni fa. Fu tra l’altro grazie all’intervento svizzero che il governo cubano rinunciò ad attribuire la sede diplomatica americana al proprio ministero della pesca. Per la Svizzera è ora giunto il momento di ammainare la propria bandiera e, come richiesto da parlamentari e uomini d’affari, di rilanciare il commercio con l’isola.
“Come prima cosa bisogna ripristinare le relazioni bancarie”, propone Andreas Winkler, presidente della Camera di commercio Svizzera-Cuba (Cham)Collegamento esterno, deplorando il fatto che, nonostante la buona reputazione del sistema svizzero, “a Cuba non vi sia una sola banca elvetica”.
Più che all’embargo, questa assenza sarebbe legata alla “reazione eccessiva da parte delle banche svizzere dopo i problemi con gli Stati Uniti (in ambito fiscale)”, ritiene Winkler. A suo avviso, gli istituti finanziari elvetici non dovrebbero aprire necessariamente delle filiali sull’isola, ma almeno delle rappresentanze per agevolare la commercializzazione dei prodotti delle aziende interessate.
La ripresa delle relazioni diplomatiche tra l’isola e il suo potente vicino “è il più grande evento” che ha vissuto nei suoi 22 anni di vita a Cuba, sottolinea il presidente della Camera di commercio, secondo il quale, dopo la rimozione dell’isola dalla lista nera americana dei paesi terroristi, ora deve cadere anche “l’embargo, che ha fatto tanti danni a Cuba”. “Adesso che non siamo più terroristi, è il momento di agire”, ironizza Winkler.
Mozione parlamentare
Anche Hans-Peter Portmann, deputato del Partito liberale radicale e promotore del gruppo parlamentare Svizzera-Cuba, intravede buone opportunità per la Svizzera di sviluppare gli scambi economici con l’isola caraibica. Da un lato, la Svizzera dispone di un buon capitale di fiducia all’Avana e, dall’altro, Cuba offre grandi risorse naturali e umane. “Con il tempo e un piano chiaro si possono fare cose meravigliose”, afferma Portmann.
Il deputato ha presentato in maggio una mozione parlamentareCollegamento esterno, in cui chiede di “intensificare la cooperazione intergovernativa con Cuba” in campo economico e nei settori della ricerca e della formazione. Vi propone inoltre di negoziare un accordo bilaterale di libero scambio, allo scopo, come spiega a swissinfo.ch, di “migliorare la situazione economica di Cuba e di ridurre la dipendenza della Svizzera nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea”.
Il governo elvetico ha respinto la proposta, sostenendo che il commercio tra i due paesi è finora alquanto ridotto: le esportazioni cubane ammontano a 31,2 milioni di franchi e quelle svizzere a 17,8 milioni. Il Dipartimento federale degli affari esteri considera inoltre sufficienti i programmi attuali di cooperazione allo sviluppo, finanziati con 10 milioni di franchi all’anno.
In risposta a swissinfo.ch, il ministero sottolinea che la cooperazione con Cuba viene considerata come un modello: “Il peso e l’importanza della cooperazione tecnica dovrebbero essere rafforzati negli anni a venire, in quanto le riforme economiche e il disgelo delle relazioni con gli Stati Uniti aprono delle opportunità, ma allo stesso tempo rischiano di accentuare le disuguaglianze all’interno della popolazione cubana”.
Il no espresso dal governo “non è un no, non vogliamo, ma un no, per ora”, ritiene Portmann. “Attualmente non si possono fare grandi affari, ma si possono stabilire contatti e valutare le possibilità future. Ed è importante che la Svizzera si posizioni in questo momento”, afferma il deputato liberale radicale.
Un’opinione condivisa da Andreas Winkler. “Quando abbiamo aperto la Camera dodici anni fa, varie persone hanno pensato che non avrebbe funzionato, che non era possibile fare affari con Cuba. Tuttavia, oggi abbiamo 61 membri, di cui 10 società quotate presso la borsa americana”.
Cronologia
3 gennaio 1961: Stati Uniti e Cuba rompono le relazioni diplomatiche.
Da allora, e fino a questo 20 luglio, la Svizzera rappresenta gli interessi degli Stati Uniti all’Avana.
Dal 1991, la Confederazione assume anche il mandato di rappresentare gli interessi di Cuba a Washington.
Nel 1977, Stati Uniti e Cuba stabiliscono sezioni di interessi bilaterali.
17 dicembre 2014: Raul Castro e Barack Obama annunciano il ripristino delle relazioni diplomatiche.
29 maggio 2015: gli Stati Uniti annunciano la rimozione di Cuba dalla lista dei paesi sponsor del terrorismo
Traduzione di Armando Mombelli
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.