Dalla Russia al Sudan del Sud: la sfida delle indagini sulle violazioni dei diritti umani
Come lavorano gli esperti e le esperte in diritti umani? Tre di loro raccontano a SWI swissinfo.ch di questo difficile compito e del perché hanno deciso di svolgerlo.
Il Consiglio dei diritti umani dell’ONU, riunito a Ginevra dal 19 giugno al 14 luglio, conferisce molti incarichi a esperti ed esperte indipendenti. Relatrici e relatori speciali e gruppi di lavoro forniscono consulenze su specifici Paesi o su problematiche legate ai diritti umani con visite sul campo, supporto, sensibilizzazione pubblica sulle violazioni e, quando possibile, interazione con le autorità.
Ci sono anche corpi investigativi come le commissioni di inchiesta internazionali sui diritti umani, e le missioni esplorative. Per esempio, nel marzo del 2022, il Consiglio dei diritti umani ha creato una commissione di inchiesta sull’Ucraina, la quale ha concluso che la Russia ha commesso “un ampio ventaglio di crimini di guerra” nell’ambito dell’invasione del Paese vicino.
Tutte queste persone e gruppi stilano rapporti per il Consiglio e giocano un ruolo fondamentale nel lavoro di quest’ultimo. Alcuni hanno specifici mandati di salvaguardia delle prove per eventuali processi futuri. Non sono membri dell’ONU e non ricevono compensi in denaro. Sono confrontati con molte difficoltà, tra cui l’accesso a determinati luoghi, Paesi, testimoni e vittime, senza contare le sfide logistiche. Un lavoro che può avere anche un forte impatto sulla loro vita private.
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Mariana Katzarova, bulgara, il primo maggio ha ricevuto l’incarico come prima relatrice speciale sui diritti umani in Russia. Ha raccontato a SWI swissinfo in una recente intervista che si aspettava che il lavoro sarebbe stato difficile.
Jan Mendez, ex relatore speciale dell’ONU sulla tortura (2010-2016) e ora membro del Meccanismo di esperti incaricato della promozione della giustizia e dell’uguaglianza razziale nel contesto delle forze dell’ordine, concorda sul fatto che essere un esperto o un’esperta di diritti umani per l’ONU è una sfida. “Non è facile, e ha un forte impatto sulla persona che riveste questo ruolo”, dice a SWI swissinfo.ch. “Ma sono contento che abbia un impatto su di me, perché se non l’avesse vorrebbe dire che ormai considero naturali situazioni che sono davvero tragiche”.
“Commosso e scioccato”
“Quando ascolto e incontro le persone, sono invece sempre commosso o scioccato, anche se ho sentito molti racconti simili prima”, confida Andrew Clapham, professore di diritto internazionale al Graduate Institute di Ginevra. Ha appena concluso un mandato di sei anni come membro della commissione ONU per i diritti umani in Sudan del Sud. “Le loro storie descrivono situazioni davvero umilianti e avvilenti, che nessun essere umano dovrebbe mai subire”.
“Quando ascolto e incontro le persone, sono invece sempre commosso o scioccato, anche se ho sentito molti racconti simili prima.”
Andrew Clapham, Graduate Institute di Ginevra
Nel suo rapporto di aprile 2023, la commissione di cui Clapham ha fatto parte ha denunciato l’impunità in Sudan del Sud per quelle che ha definito “atroci” violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni, stupri, schiavitù sessuale e sfollamenti forzati di massa di civili. Si legge nel rapporto, che il Governo e i militari implicati in questi crimini sono rimasti al loro posto, e hanno conferito cariche ad altre persone che meriterebbero di essere indagate penalmente.
Negli anni, i rapporti della commissione sono diventati sempre più duri nei confronti di membri del Governo e alte cariche militari. Come la prendono? “Ovviamente, non sono molto contenti”, risponde Clapham. “Vorrei però sottolineare che le discussioni sono molto costruttive”.
Racconta che, anche se si ha l’impressione che l’impunità ancora regni in Sudan del Sud, sono stati compiuti passi nella giusta direzione. “Vogliamo evidenziare i casi in cui delle persone sono state punite in tribunale e sollevate dall’incarico, per chiedere che si faccia ancora di più”.
Ottenere l’accesso
Tra le varie sfide, un problema frequente è quello già citato dell’accesso, specialmente quando si ha a che fare con un Governo non cooperativo o addirittura ostile. Un principio fondamentale dell’ONU è che i suoi esperti ed esperte di diritti umani, così come le sue forze di mantenimento della pace, ricevano un invito ufficiale del Paese in questione prima di recarvisi.
Mendez ricorda che da relatore speciale sulla tortura ha visitato 12 Paesi in sei anni, alcuni dei quali diverse volte. Tuttavia, da Stati come Venezuela, Cuba, Iran e India – a cui ha chiesto un permesso di visita a più riprese – non ha mai ricevuto un invito. Gli Stati Uniti l’hanno invitato, ma a condizioni che non ha potuto accettare. Avrebbe dovuto visitare la prigione militare di Guantanamo, in cui persone sospettate di terrorismo sono state rinchiuse indefinitamente dal 2022. Gli è stato però detto che non avrebbe potuto parlare con nessuno di loro. La relatrice speciale sui diritti umani e l’antiterrorismo Fionnuala Ní Aoláin ha poi visitato Guantanamo lo scorso anno e ne ha denunciato le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
“Alcuni Paesi si rendono conto di avere un problema e cercano assistenza per risolverlo”, spiega Mendez. “Altri ti invitano con l’intenzione di gettarti fumo negli occhi, rendendo la visita complicata. Ci sono poi Paesi in cui l’autorità centrale è in buona fede, ma non ha il controllo su tutto e tutti”.
Indagare senza accesso
Katzarova spera che le autorità russe vogliano collaborare poiché pensa sia importante parlare con tutti, specialmente con funzionarie e funzionari governativi, allo scopo di ottenere una panoramica completa della situazione dei diritti umani. Tuttavia, non è per nulla sicuro che in questo caso potrà farlo. La Russia ha condannato la risoluzione del Consiglio dei diritti umani dell’ONU dell’ottobre 2022 che ha creato il mandato di Katzarova, ritenendola una manovra politica.
“Sembra ci sia un’idea preconcetta che le autorità russe non siano pronte ad instaurare una forma di comunicazione”, dice l’esperta. “Non so se sia vero, perché non ho ancora ricevuto una risposta ufficiale alle lettere che ho inviato subito dopo l’inizio del mio incarico”.
“Alcuni Paesi si rendono conto di avere un problema e cercano assistenza per risolverlo”.
Jan Mendez, ex relatore speciale ONU sulla tortura
Capita anche che alcuni Paesi non vogliano che un loro rifiuto ufficiale diventi di pubblico dominio, quindi semplicemente non rispondono alle missive. Anche in questo caso, le regole ONU non permettono a esperti ed esperte di recarsi nel Paese.
Se non potrà andare in Russia, Katzarova spiega che dovrà basarsi su fonti della sempre più grande diaspora, cercando di verificare le informazioni come meglio potrà. Tramite social media e internet anche chi si trova in Russia “può raggiungermi, e sono all’ascolto di chiunque pensi che io possa amplificare la sua voce e porre le giuste domande al Governo”.
Il metodo di lavoro varia a seconda della situazione. Per il Sudan del Sud, Clapham racconta di come la commissione intervisti persone rifugiate nei Paesi vicini, “specialmente quando sono arrivate da poco e possono descrivere esperienze recenti”. È difficile farlo all’interno del Paese, spiega, perché i luoghi colpiti da un attacco o in cui ci sono state violenze sono generalmente inaccessibili. “Se si va lì, le persone che hanno subito abusi sono quasi sempre già fuggite”. La commissione discute poi dei casi con il Governo, per affrontare le problematiche strutturali.
Perché farlo?
Clapham ammette una certa frustrazione. Dopo tutti questi anni, la violenza nel Sudan del Sud continua, mentre i meccanismi di giustizia e riconciliazione previsti dall’accordo di pace non sono stati implementati.
D’altra parte, indica anche alcuni successi, come l’identificazione di particolari unità e individui associati ai crimini e la raccolta di testimonianze per raccontare quanto sia accaduto dal punto di vista delle vittime.
Secondo lui, il lavoro della commissione sulla violenza sessuale nella società sud sudanese “è stato importante per una migliore comprensione e, auspicabilmente, una migliore prevenzione”. La commissione ha inoltre redatto un rapporto sulla carestia “che credo abbia contribuito a far comprendere come anche la fame possa essere un crimine di guerra individuale. Non è qualcosa che semplicemente accade, ma può essere causato da determinate persone ed è quindi possibile che ci sia anche una responsabilità individuale”.
Spera che questo aiuti a prevenire futuri attacchi ai convogli di aiuti umanitari. “Piccoli passi sono meglio di nessun passo”, conclude.
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