Petizioni poco graffianti? L’apparenza inganna…
Le petizioni appartengono alla più antica tradizione democratica elvetica. A tutt’oggi, sono numerose le petizioni con migliaia di firmatari che vengono depositate ogni anno in Parlamento. Uno sguardo alle cifre mostra l’evoluzione sull’asse temporale, sia per quanto riguarda i promotori, sia i motivi.
Le petizioni risalgono almeno ai tempi delle piramidi egizie. All’epoca gli operai assunti per spostare blocchi di pietra di diverse tonnellate insorsero per ottenere condizioni di lavoro migliori. La prassi sopravvisse nei secoli, con petizioni presentate ad imperatori o re da sudditi che chiedevano cambiamenti o sostegno. Il diritto di petizione venne inserito nella Costituzione svizzera nel 1848, anno di fondazione dello Stato federale.
A differenza del referendum e dell’iniziativa popolare (introdotti rispettivamente nel 1874 e 1891) le petizioni non danno seguito a una votazione nazionale né motivano una risposta formale da parte dell’esecutivo.
– Iniziativa popolare: i cittadini che esigono una modifica della Costituzione federale possono raccogliere 100’000 firme di aventi diritti di voto nel giro di 18 mesi. Se il Parlamento ritiene valida l’iniziativa, il testo viene sottoposto a votazione popolare.
– Referendum: i cittadini che contestano una decisione del Parlamento hanno 100 giorni di tempo dalla pubblicazione ufficiale della legge per raccogliere 50’000 firme valide e indire una votazione popolare.
– Petizione: chiunque può lanciare e firmare una petizione su qualsiasi argomento. Non è richiesto un numero minimo di firme. La forma è libera e non viene indetta una votazione. Le autorità si limitano a prenderne atto, ma non sono tenute a rispondere.
L’apparente mancanza di mordente di questo strumento, che non vincola alcuna reazione formale, nulla ha tolto alla sua popolarità. Nell’ultimo ventennio le autorità svizzere hanno ricevuto e trattato un numero rilevante di petizioni. Dalle sole 9 nel 1999 alle 68 del 2012, le tematiche spaziano dalla richiesta di misure contro una presunta invasione di cormorani fino al chiarimento della posizione della Svizzera in merito alle violazioni dei diritti umani all’estero.
Chi inoltra le petizioni?
La gran parte delle petizioni viene trasmessa a nome di gruppi e organizzazioni, dai lettori della Bibbia alle piccole associazioni animaliste fino ai potenti sindacati. Dalla sua fondazione nel 1991, il Parlamento dei Giovani ha inoltrato da solo la bellezza di 150 petizioni. Spesso troppo in erba per partecipare alla vita politica in altro modo, i 200 deputati della sessione giovanile trasmettono molte delle richieste elaborate nella sala del Consiglio nazionale (camera bassa) sotto forma di petizioni.
Anche molti individui – principalmente uomini – lanciano petizioni. Alcuni vi ricorrono a più riprese per trovare ascolto in Parlamento. Uno degli attori più solerti ha inoltrato 22 petizioni a proprio nome.
Maggie Blackhawk, professoressa assistente all’Università della Pennsylvania, ha analizzato il profilo dei petizionisti al Congresso degli Stati Uniti fino al 1950. I risultati del suo studio evidenziano che negli USA le donne e i gruppi di minoranza sono molto attivi in questo campo.
“Sul piano storico (nel mondo) la procedura di petizione non era ritenuta uno strumento maggioritario. Controbilanciava il diritto di voto, lo completava e in questo senso rappresentava un vettore per chi era ai margini e voleva partecipare al processo legislativo senza dover considerare il proprio potere politico”, afferma. “Sembra che questo meccanismo di rappresentazione sia andato perso nella Svizzera moderna”, afferma.
SWI swissinfo.ch ha passato in rassegna le petizioni inoltrate negli ultimi 30 anni, rilevando che tra i petizionisti i nomi stranieri sono assai pochi.
Prima di conquistare il suffragio universale nel 1971, le donne svizzere erano molto attive e già nel 1929 avevano inoltrato una petizione sul diritto di voto. Oggi le donne che avviano da sole una petizione sono rare.
“Per determinati argomenti bisogna animare la gente a discuterne. Per il passo successivo, costituire una comunità, le petizioni si prestano particolarmente bene.”
Daniel Graf, WeCollect
La blogger e autrice Regula Heinzelmann ha all’attivo quattro petizioni e come donna si colloca in testa alla classifica degli ultimi 30 anni. “Se ho l’impressione che un argomento (che tratto nel mio blog) ha una buona risonanza mi sento in obbligo di rappresentare pubblicamente l’opinione dei miei lettori, ad esempio tramite una petizione”, ci spiega la giurista in pensione. “In fin dei conti sono pensionata e ho tutto il tempo di impegnarmi a titolo volontario.”
Poiché consentono a tutti – a prescindere da età, cittadinanza o diritto di voto – di partecipare al dibattito politico, le petizioni non rappresentano soltanto uno strumento basilare della libertà di espressione, ma forse addirittura della democrazia nella sua forma più pura. Nella Costituzione degli Stati Uniti, cui si ispira la Costituzione svizzera, il diritto di petizione è saldamente ancorato nel Primo Emendamento, che come noto assicura la libertà di espressione, a differenza del diritto di voto, che non vi figura. “Questo dovrebbe aiutarci a considerare il diritto di petizione come complemento di pari valore del diritto di voto, e non come parte di esso”, puntualizza Blackhawk.
Regula Heinzelmann è consapevole del fatto che spesso le petizioni non hanno alcun impatto sul piano politico. Per evitare questo vicolo cieco evita di avviare una petizione su ogni argomento, ma segue invece il programma parlamentare. A detta del deputato al Consiglio nazionale e copresidente del Partito socialista Cédric Wermuth la tempistica è essenziale. “Nell‘80 per cento dei casi si stima che il problema non risieda nella mancata volontà del Parlamento di trattare la petizione, ma nel momento poco propizio del suo inoltro, ossia quando i lavori sono già troppo avanzati.”
Wermuth è uno dei pochi parlamentari attivi il cui nome figura anche come autore di una petizione. Tuttavia non vuole considerarsi un’eccezione: molte organizzazioni che lanciano delle petizioni contano infatti politici attivi tra i loro ranghi.
Le cifre contano
Quello che storicamente era un atto individuale è oggi sottoscritto da centinaia di migliaia di persone. Nel febbraio di quest’anno, la richiesta di non toccare l’età di pensionamento delle donne ha raccolto 314’000 firme. Nel giungo del 2019, 340’000 persone hanno sottoscritto una petizione dell’associazione svizzera dei farmacisti che chiedeva al Governo di rinunciare ai piani di austerità a favore del potenziamento delle cure mediche di base.
Senza un numero minimo di firme richiesto, una petizione sottoscritta da molte persone ha probabilmente un altro peso rispetto alla lettera di un singolo individuo. “Si tratta di un modo supplementare per fare pressione, per alzare la voce, come dire che se proseguite su questa strada troverete molte opposizioni”, spiega Wermuth. “Si può mettere in pericolo la riuscita di un progetto segnalando che una determinata decisione potrà essere sottoposta a referendum. In sostanza si tratta di un primo passo in questa direzione.”
Visto che per i referendum e le iniziative le firma vanno raccolte entro un breve lasso di tempo, la riuscita del processo dipende dalla rete di firmatari dello stesso colore che si riesce ad intessere. Firmare una petizione, online o su carta, può contribuire a creare questi contatti. “Per determinati argomenti bisogna animare la gente a discuterne. Per il passo successivo, costituire una comunità, le petizioni si prestano particolarmente bene”, conferma Daniel Graf, fondatore di WeCollect, una piattaforma svizzera online per la raccolta di firme, che tuttavia non comprende le petizioni. “Se si analizzano i cambiamenti concreti generati dalle petizioni si vede che l’effetto è debole”, puntualizza.
Inoltrare una petizione può diventare anche un evento mediatizzato allo scopo di attirare l’attenzione. I petizionisti posano davanti alle firme raccolte e creano scalpore con maschere o striscioni colorati o acrobazie di animali.
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Le petizioni nel mondo
Il diritto di petizione non è una prerogativa svizzera. Molti Paesi lo contemplano nelle rispettive Costituzioni. Anche il Parlamento europeo consente a chiunque risieda in uno Stato membro di sottoporre una petizione relativa a uno dei 44 ambiti della politica europea.
Tuttavia, i requisiti e l’efficacia delle petizioni possono variare molto da Paese a Paese. In Gran Bretagna bastano 100’000 firme per discutere una petizione in Parlamento. In Austria invece dev’essere sostenuta e trasmessa da un parlamentare per poter essere trattata.
In alcuni Paesi si rileva una netta discrepanza tra teoria e prassi. In Cina il diritto di petizione è una tradizione che risale agli esordi del grande Impero cinese, quando il potere centrale era storicamente in grado di risolvere le magagne respinte dalle autorità locali. I rapporti investigativi hanno tuttavia fatto luce su comportamenti illegali che tramite violenze e intimidazioni impediscono ai cittadini di annunciare al governo centrale le ingiustizie subite a livello locale.
Le petizioni e il loro valore democratico
“L’importanza del diritto di petizione è fondamentale per la legittimità del quadro e del processo democratici. Infatti, se una democrazia rappresenta solo gli interessi di pochi lasciando gli altri ad ubbidire senza alcuna forma di rappresentanza, il processo democratico è in pericolo”, afferma Maggie Blackhawk. “Non si può dunque parlare di demos popolare. Sembra piuttosto che una parte della popolazione regolamenti l‘altra.”
Oggi in Svizzera le petizioni servono soprattutto a politici radicati o uomini svizzeri come veicolo elettorale. Tuttavia il potenziale rimane intatto: le petizioni restano aperte e accessibili a tutti.
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Traduzione dal tedesco: Lorena Mombelli
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