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Difendere i diritti popolari… limitandoli?

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La democrazia diretta elvetica è stata spesso oggetto di ammirazione. Ciononostante, l'esito del voto sui minareti suscita parecchie domande in merito ai suoi reali benefici.

Parecchi tra i commenti inviati dai lettori a swissinfo.ch riguardano questo particolare aspetto della Confederazione, che consente ai cittadini di partecipare in prima persona al processo legislativo.

La storia degli ultimi 150 della democrazia diretta elvetica costituisce un processo di evoluzione e adattamento: anche il risultato della votazione sui minareti è sfociato in un appello al cambiamento e alla riflessione.

Infatti, secondo l’opinione di numerosi giuristi, la scelta di proibire la costruzione di nuovi minareti viola chiaramente la Convenzione europea sui diritti umani (CEDU), di cui la Svizzera è firmataria. Ciononostante, non è possibile bloccare un’iniziativa che risulta inapplicabile fino a che quest’ultima è stata votata dal popolo.

Meccanismo complesso

Attualmente, l’unico motivo per dichiarare non valida un’iniziativa prima di sottoporla al voto è la violazione di norme derivanti dal diritto internazionale pubblico, per esempio la proibizione della schiavitù, della tortura, dei genocidi, dei crimini contro l’umanità. Le indicazioni della CEDU non sono considerate norme vincolanti, ma la Confederazione è comunque tenuta a rispettarle.

Due anni or sono, il deputato ecologista Daniel Vischer aveva presentato al parlamento una mozione volta a dichiarare irricevibili le iniziative che violano i diritti fondamentali. In particolare, Vischer intende evitare situazione paradossali che vedono il popolo esprimersi su cambiamenti della Costituzione che in seguito non possono essere implementati. La sua proposta sta seguendo l’iter previsto dal complesso sistema parlamentare elvetico.

Come procedere?

«È necessario trovare una soluzione per impedire il lancio di iniziative che violano i diritti umani tutelati a livello internazionale», sottolinea dal canto suo Andreas Auer, professore di diritto costituzionale all’Università di Zurigo e direttore del Centro per la democrazia di Aarau.

«Si tratta di una decisione che concerne quello che vogliamo fare nel nostro paese. È un nostro problema, è la nostra democrazia diretta. Di conseguenza, dobbiamo dotarci di procedure che ci consentano di risolvere il problema, prima che intervenga un tribunale», fa presente Auer.

Agire il tal senso, evidenzia Auer, non significherebbe affatto mettere in discussione la democrazia diretta: «Proprio perché vogliamo difenderla, è necessario riconoscere che questo sistema presenta dei limiti».

L’esperto rammenta che, così come le decisioni popolari a livello cantonale devono essere compatibili con il diritto federale e le disposizioni relative ai diritti umani, lo stesso deve accadere a livello nazionale. Come ottenere tale risultato? Auer spiega che la risposta a questa domanda deve essere trovata riflettendo e discutendo.

Secondo Auer, il governo e il parlamento possono esaminare le proposte d’iniziativa, ma la decisione finale sull’opportunità di sottoporle al voto popolare non dovrebbe spettare a loro. «Questa scelta, a mio parere, compete ai giudici. I diritti umani sono questioni delicate».

«Nessuna contraddizione»

Secondo Ulrich Schlüer, membro dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazional-conservatrice) e del comitato che ha lanciato l’iniziativa contro la costruzione di nuovi minareti, non vi è alcuna contraddizione tra i diritti umani e la democrazia diretta. Il contrario, afferma, è invece vero.

«Per quanto mi concerne, non soltanto i diritti umani, ma tutti i diritti e la democrazia vanno di pari passo. I diritti che risultano dal processo decisionale tipico della democrazia diretta costituiscono la legge più stabile e accettata». A suo parere, chiedere ai tribunali di decidere in merito alla legittimità delle iniziative popolari costituirebbe la fine della democrazia diretta.

Schlüer accusa poi l’establishment politico di voler cambiare il sistema unicamente a causa della recente sconfitta. Secondo lui, invece, «in una democrazia – segnatamente in una democrazia diretta – le persone possono decidere l’opposto di quello che vuole il governo».

Bruno Kaufmann, il presidente dell’Istituto europeo sull’iniziativa e il referendum (un laboratorio d’idee transnazionale) ritiene che la votazione sui minareti pone il problema dei limiti per il sistema svizzero. «Una moderna democrazia diretta deve considerare i limiti dei propri poteri, ciò che peraltro devono fare anche tutte le altre istituzioni».

Julia Slater swissinfo.ch
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

In Svizzera, oltre al parlamento (democrazia rappresentativa), anche i cittadini possono proporre modifiche costituzionali e nuove leggi. Per questo il sistema politico svizzero è definito una democrazia semidiretta.

I due principali strumenti di democrazia diretta sono l’iniziativa popolare e il referendum. Entrambi sono presenti a livello federale, cantonale e comunale.

L’iniziativa popolare mira ad una revisione parziale o totale della costituzione. Il testo dell’iniziativa è presentato al popolo se in suo favore vengono depositate alla Cancelleria federale le firme di 100’000 aventi diritto di voto.

Tra il 1891 e il 2007, i cittadini svizzeri hanno accettato solo 15 delle numerose iniziative popolari sottoposte al loro giudizio.

Il referendum rappresenta una specie di «freno»: a livello federale, le leggi approvate dal parlamento possono essere sottoposte al giudizio popolare se vengono raccolte 50’000 firme in tre mesi.

Un’altra espressione della democrazia diretta in Svizzera sono le assemblee comunali, che in buona parte dei comuni fungono da legislativo.

In Svizzera, le donne hanno ottenuto il diritto di voto e di elezione nel 1971, in ritardo rispetto ad altri paesi europei. In Germania il diritto di voto è stato riconosciuto alle donne nel 1918, in Italia nel 1945.

In alcuni cantoni e comuni il diritto di voto e di elezione è concesso anche ai cittadini stranieri.

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