Diritti popolari, croce e delizia della Svizzera
Tre referendum non riusciti hanno sollevato un bufera politica in Svizzera. I loro promotori imputano il fallimento alla negligenza amministrativa. L'episodio mostra la mole di lavoro che richiedono nella pratica i diritti democratici.
Tramite iniziative e referendum, il popolo svizzero ha il diritto di partecipare direttamente alla politica. Da sempre le formazioni di sinistra utilizzano ampiamente questi strumenti, perché non hanno i numeri per far passare le loro idee in governo e in parlamento.
Negli ultimi anni, tuttavia, ne hanno fatto sempre più frequentemente uso anche cerchie conservatrici di destra. Nei tre referendum falliti di recente, movimenti di destra (l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente, ASNI) e di sinistra (la Gioventù socialista) hanno perfino lavorato fianco a fianco, benché senza successo.
I tre referendum contro le convenzioni sull’imposizione alla fonte, concluse dalla Svizzera con Germania, Gran Bretagna e Austria, non sono riusciti perché le firme attestate dai comuni non sono arrivate in tempo alla Cancelleria federale. Nel caso degli accordi con la Germania e la Gran Bretagna, dopo la scadenza del referendum sono pervenute circa 2’800 firme, che se fossero state consegnate in tempo avrebbero consentito di raggiungere la soglia necessaria di 50mila sottoscrizioni.
I promotori del referendum attribuiscono alle autorità la responsabilità di questo ritardo. Rimproverano a determinati comuni di avere trascurato l’attestazione delle firme.
Alla ribalta delle cronache è salito il caso di un comune ginevrino dove sono state depositate ancora 1’500 firme appena quattro giorni prima della scadenza referendaria. Per eseguire in tempo le verifiche, i dipendenti del comune interessato hanno addirittura fatto gli straordinari. Poi, però, per disattenzione, le liste con le firme certificate non sono state spedite come “posta prioritaria”. Cosicché sono giunte ai destinatari dopo che il termine di consegna delle firme per il referendum era scaduto.
Il caso ha anche suscitato un dibattito pubblico sulle responsabilità: da una parte c’è chi sostiene che è colpa del comune, dall’altra c’è chi ritiene che siano in torto i promotori dei referendum, perché hanno inoltrato all’ultimo momento le firme per l’attestazione.
Sarà comunque la Corte suprema a stabilire le responsabilità. I referendaristi hanno infatti inoltrato ricorso.
“Un monumento culturale esclusivo in pericolo”?
Nel coro degli indignati si sono levate anche le voci di politici di diversi partiti. “Gli elettori sono stati truffati per negligenza… per trascuratezza”, è per esempio insorto nelle pagine del quotidiano popolare zurighese Der Blick Oswald Sigg. L’ex portavoce del governo svizzero rimprovera alle cancellerie comunali in questione di “non prendere il loro lavoro sul serio”. Perciò vede in pericolo la democrazia diretta, che descrive come un “monumento culturale politico unico al mondo” che è stato “lasciato andare in rovina”.
Una certa comprensione per lo sdegno è espressa anche dal professor Wolf J. Linder. Il direttore emerito dell’Istituto di scienze politiche dell’università di Berna non si aspetta tuttavia che il ricorso al Tribunale federale cambi ancora qualcosa per i tre referendum in questione. “Credo che siano definitivamente falliti”. A parte le difficoltà tecniche, a suo avviso, è in gioco anche la sicurezza giuridica. “E si dovrebbe essere in grado di dimostrare un comportamento maligno da parte dei comuni, per supporre che hanno sabotato il referendum”.
Certamente “non è una bella cosa” che le firme attestate non siano state trasmesse tempestivamente, dice Linder. “I promotori di referendum hanno una certa fiducia che le autorità svolgano i loro compiti conformemente alla legge”.
La legge federale sui diritti politici stabilisce che il servizio competente, dopo aver verificato che i firmatari hanno diritto di voto in materia federale nel comune indicato sulla lista , “senza indugio, rinvia le liste ai mittenti”.
Ma le opinioni si dividono sul significato di “senza indugio”. Secondo taluni, il termine non è abbastanza vincolante. Invocano perciò una revisione della legge che fissi scadenze precise.
Per Linder, invece, il termine è abbastanza chiaro. “I comuni devono fare tutto il possibile per garantire che le firme vengono controllate e rispedite al mittente entro i termini stabiliti”. Il professore dubita che nuove regole potrebbero cambiare le cose. “Degli errori capitano. E d’altra parte, solo i gruppi che promuovono il referendum possono veramente fare qualcosa per raccogliere firme in numero sufficiente”.
Una valanga di firme
Il comune che deve controllare il maggior numero di firme è Zurigo. Nel caso dei referendum contro le convenzioni fiscali le ha attestate e rinviate tutte in tempo.
“Prendiamo molto sul serio questo lavoro”, spiega Andreas Bichsel, capo del controllo abitanti della città di Zurigo. “Siamo consapevoli del significato politico di questo mandato in una democrazia diretta”. Inoltre, c’è un attento controllo da parte del comitato referendario e dei media.
Solo quest’anno (fino all’inizio di ottobre), per 33 tra iniziative federali e cantonali e referendum, la città di Zurigo in totale ha controllato 140mila firme (nel 2011 sono state 110mila). Non di rado vi sono nello stesso tempo raccolte di firme per diverse iniziative e referendum. Ciò richiede una accurata pianificazione e organizzazione.
Un gruppo di lavoro di otto persone è responsabile di tutte le procedure di voto. L’attestazione delle firme è solo una parte delle sue funzioni. In un’ora di lavoro vengono controllate circa 100-150 firme. La capacità non dipende non solo dalle prestazioni dei dipendenti, ma anche dalla qualità dei formulari con le firme.
Poiché spesso poco prima della scadenza sono inoltrate ancora centinaia di firme, vengono formate anche impiegati di altri servizi, in modo che in caso di necessità possano essere chiamati a dare una mano.
“Priorità assoluta”
Ma anche se a questo lavoro vien data la priorità assoluto, tutto ha un limite. Nei piccoli comuni, il limite viene raggiunto con un volume di firme molto più ristretto. “Nessun comune può permettersi finanziariamente di assumere persone da impiegare soltanto per questo lavoro e solo quando si ha bisogno, chiamandole con un fischio”, rileva Bichsel.
Ma gli errori capitano anche nei grandi comuni. La città di Zurigo all’inizio di quest’anno ha avuto problemi con una iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC), quando sono state dimenticate 6’000 firme. L’errore non ha però avuto conseguenze sulla riuscita dell’iniziativa, perché l’UDC aveva depositato un numero di firme sufficiente già prima della scadenza dei termini.
L’iniziativa popolare consente ai cittadini di proporre una modifica della Costituzione federale. Affinché il testo sia sottoposto a votazione popolare, devono essere depositate alla Cancelleria federale 100mila firme valide entro 18 mesi dal suo lancio.
Il referendum facoltativo permette ai cittadini di chiedere che una legge varata dal parlamento sia sottoposta al voto popolare. Per poter indire lo scrutinio, il comitato referendario consegnare 50mila firme valide alla Cancelleria federale entro 100 giorni.
Gli strumenti della democrazia diretta sono principalmente utilizzati da partiti e gruppi che non hanno la maggioranza in parlamento e in governo o che non sono vi sono rappresentati.
Negli ultimi anni il numero di iniziative e referendum è aumentato quasi di continuo. Dei critici accusano promotori di iniziative e referendum di abusare di questi strumenti di democrazia diretta per farsi pubblicità.
René Rhinow, esperto di diritto costituzionale, ha detto a swissinfo.ch che spesso le iniziative degli ultimi anni contenevano formulazioni popolari, ma la cui applicazione causa grossi problemi, perché non sono state create nella logica del diritto costituzionale, bensì per perseguire un obiettivo politico.
Quasi tutti i grandi partiti hanno anche pagato delle persone per raccogliere le firme per le loro iniziative e referendum. “Non tutti possono permetterselo”, osserva il professor Rhinow. “Questo è uno sviluppo problematico, perché non c’è parità”.
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
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